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La Siria che non c’è – 3 –

Oggi in Siria è stata una giornata più tranquilla delle precedenti (a parte che la Turchia ha schierato missili terra-aria lungo il confine). Mi sembra un buon momento per presentare la terza pagina del mio vecchio taccuino di viaggio del luglio 1997. Oggi prime sabbie del deserto…

Deserto – martedì 15.07.1997
Lasciata Palmira c’è solo deserto. Lungo la pista incontriamo solo due villaggi che sembrano sobborghi (bombardati) di Beirut. A guardare bene, nel deserto siriano si vedono spesso anche delle pecore. La guida ce le indica in lontananza; ci sono anche le tende dei beduini e dei cammelli.

 

 

 

 

 

 

 

Mio cognato, che vive a Damasco da alcuni anni, mi aveva raccontato una storiella interessante a proposito dei beduini e dei loro cammelli. Lui è svizzero e lavora per una ditta elvetica. Un giorno erano arrivati a Damasco dei manager tedeschi per trattare un affare con lui. Com’è noto, svizzeri e tedeschi non vanno molto d’accordo. A Zurigo girano gustose barzellette dove uno svizzero e un tedesco devono cavarsela in situazioni pericolose (tipo l’aereo che sta precipitando) e dei due uno fa la cosa giusta e il tedesco quella sbagliata.

Bene, durante le trattative, mio cognato svizzero e i manager tedeschi si prendono un giorno di ferie e vanno in gita nel deserto. Per strada incontrano dei beduini con i loro cammelli. Uno dei tedeschi dice:
– Ah, come vorrei mollare tutto e venire qui nel deserto, vivere come i beduini e non avere più preoccupazioni.
Mio cognato lo guarda e a denti stretti gli dice:
– Quando il cammello sta male, il beduino ha preoccupazioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

Sorrido. Mi immagino la battuta detta in tedesco con l’accento svizzero: una finezza. E intanto ragiono sul fatto che anche qui, nel posto più affascinante e inospitale della terra, l’uomo trova qualcosa da fare. Fosse solo sdraiarsi a terra accanto al proprio cammello quando sta male.

La Siria che non c’è – 2 –

Oggi sono morte più di 300 persone a Damasco durante gli scontri tra l’esercito di Bashar al Assad e gli oppositori del regime. Oltre trentamila civili sono rifugiati in Libano. Quindici anni fa, nella Siria che non c’è, passeggiavo per le vie di Damasco e cercavo una macchina per andare a Palmira. All’epoca Bashar era un medico di cultura occidentale, un uomo che sembrava mite e del tutto indifferente alla politica del padre e del fratello maggiore, che sarebbe morto dopo poco quasi obbligandolo a prendere il potere.
Ricordo quella Siria che non c’è pubblicando la seconda pagina del mio vecchio taccuino di viaggio. Oggi Palmira.

Palmira – lunedì 14.07.1997
Questo posto è magico, letteralmente. Intendiamoci, anche Paestum è un posto magico, ma qui la magia è self-service; non ci sono biglietti da pagare, recinti da valicare, flash da non far scattare. Qui non entri, arrivi. E vivi tra le rovine, passeggi, vai e vieni, fai quello che vuoi all’ora che vuoi. Le tre del pomeriggio non sono però l’orario migliore per fare qualcosa a Palmira. D’accordo che il clima è secco, ma il caldo è disumano. Mi rifugio sotto un fico e cerco il Paradiso in un sorso d’acqua. A proposito di Paradiso, mi viene in mente la Bibbia, il libro di Rut. In particolare un versetto in cui Booz, il padrone, discute sotto il suo fico. Mi ero sempre domandato perché venisse data tanta importanza a un fico; pensavo che si trattasse di un qualche richiamo divino al valore dell’umiltà. Adesso so che da queste parti possedere un fico è come avere uno yacht a Montecarlo. Una cosa da ricchi…

Palmira (foto di Giovanni Camici)

 

 

 

Palmira, tempio di Bel (foto di Giovanni Camici)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Torno allo scoperto in serata. Giriamo per la città romana e piano piano prendiamo confidenza con il luogo. Il clima cambia molto a seconda della posizione del sole e della direzione del vento. Puoi fare quello che vuoi e nessuno ti dice niente. Cioè, gli antichi sono ancora qui che svolazzano. Invisibili. Ti guardano, li senti, ma ti lasciano fare. Basta che ti muova con rispetto e discrezione. Non è difficile: il luogo incute rispetto e ispira discrezione. Decido infine di fare due passi nell’agorà. Poi me ne vado al tempio di Bel e prima di cena faccio un po’ di vasche lungo il viale colonnato.

Qasr-al-Hayr (foto da Wikipedia)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Domani si va in gita nel deserto, al Qasr-al-Hayr. Per lavoro devo fare una ricerca di nomi. Così prendo il taccuino e me ne torno nell’agorà. Mi sdraio su una pietra tiepida e penso. Non mi viene in mente niente, ma sono felice lo stesso. Più felice.

La Siria che non c’è: postcards from the edge.

Anche oggi in Siria si spara. Il paese è in guerra, con se stesso innanzitutto. Una guerra civile – forse di liberazione – scatenata dalla violenza del regime e da quarant’anni di dittatura.

Quindici anni fa, nel mese di luglio del 1997, ero in Siria. Non era un paese libero, ma potevo visitarlo e cercare di capirlo. L’anno scorso ho scritto un racconto sul caffè intitolato “L’aroma delle note” e l’ho ambientato nella città di Aleppo che ricordavo. Il racconto è stato pubblicato ed è diventato anche un concerto e uno spettacolo teatrale. Ha portato in scena una Siria che non c’è.

Di quel viaggio ho ritrovato alcune immagini (diapositive, perché le macchine digitali non c’erano) e alcuni fogli di appunti. Li ho riletti e mi sono sembrati come cartoline da un mondo lontano: postcards from the edge.

Voglio pubblicarle così com’erano, senza cambiare niente, per ricordare la Siria che non c’è.

Le immagini invece sono di Giovanni Camici che ringrazio per l’aiuto e la disponibilità. Le mie diapositive – difficili da scannerizzare – restano nei loro raccoglitori. Le guardo in controluce, puntandole verso il cielo.
Altre cartoline da un tempo lontano.

città di Damasco (foto di Giovanni Camici)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Damasco – sabato 12.07.1997

Oggi ho visto molte cose, alcune interessanti, altre utili. Tra le cose utili metto senz’altro il fatto di aver imparato i numeri indiani che usano gli arabi; sì, perché quelli arabi li usiamo già noi. Non sono diventato Fibonacci, ma almeno quando voglio comprare qualcosa nel suk so quanto devo spendere e non mi fregano più.

evoluzione dei numeri.

 

 

 

 

 

 

 

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Tra le cose interessanti segnalo invece la grande moschea degli Omayyadi. Non starò a dire quanto sia bella e ricca e affascinante; dirò piuttosto della gente e dell’aria di festa che si respirava all’interno durante la funzione. Un’orda di bambini scorrazzava in mezzo ai corpi raggomitolati dei fedeli. Li guardavo sgusciare tra gli adulti e talvolta incespicare nei piedi o nelle mani di qualcuno, oppure nelle pieghe dei tappeti stesi a terra. Qualcuno di loro, tanto per prendere fiato e fare qualcosa di diverso, smetteva di correre e s’inginocchiava a terra, ribaltandosi a testa in giù nel tentativo di imitare i genitori. Solo che davano tutti la schiena al profeta, e quando abbassavano la testa gli alzano il sedere in faccia.

moschea del Omayyadi (foto di Giovanni Camici)

interno della moschea (foto di Giovanni Camici)

 

 

 

 

 

 

 

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Dirò anche del suk, e di come tutti, ma proprio tutti qui a Damasco, abbiano sempre qualcosa da fare. In Siria la metà della popolazione è disoccupata, però non si vede perché nei mille (e uno) negozi del bazar sono tutti indaffarati a muovere qualcosa. Magari solo aria.

suk di Damasco (foto di Giovanni Camici)

 

 

 

 

 

 

 

 

Picasso in copertina.

La copertina di un libro è uno degli elementi fondamentali del suo successo. Dopo aver trascorso oltre vent’anni a lavorare in pubblicità, dovrei saperlo bene. Eppure, negli ultimi tempi, tendevo a non occuparmi delle copertine dei miei libri, lasciando l’editore libero di agire per il meglio. Come se, in qualche misura, volessi dimenticare le mie origini di art director e rifugiarmi nei successivi panni di copywriter e scrittore. Niente di più sbagliato. L’autore deve, a mio avviso, interessarsi anche alla grafica del suo libro, perché l’immagine di copertina, l’impaginazione del testo e la scelta delle fotografie sono elementi visivi che incidono in maniera spesso determinante sulla fruizione del testo.

Ogni libro è un viaggio, per chi lo scrive e per chi lo legge. E l’immagine di copertina fa parte di quel viaggio, come l’incipit e la fine. Oggi ho una consapevolezza diversa del mio ruolo di scrittore e partecipo volentieri a tutto ciò che accompagna la scrittura. E allora, quale copertina scegliere per “Il sarto di Picasso”, in uscita in Italia e in Francia il prossimo autunno?

Non abbiamo ancora deciso, però c’è un’immagine che amo molto e che sintetizza l’amicizia tra Pablo Picasso e il suo sarto Michele Sapone. In un precedente post avevo pubblicato la fotografia di David Duncan (scattata il primo aprile 1957, alla Californie di Cannes), dove si vedeva l’artista realizzare una caricatura del sarto.

In pochi tratti di pastello a cera, Picasso aveva saputo racchiudere tutta la personalità del “bandito Sapone”, tutta la sua spumeggiante vitalità. Vengono alla mente le parole di Alberto Giacometti, quando nel 1959, dipingendo il ritratto di Aika (la figlia di Sapone) si lamentava di non riuscire “a cogliere la somiglianza” e diceva alla ragazza, immobile di fronte a lui:
– Picasso sì che avrebbe fatto un bel ritratto!

1 aprile 1957, La Californie – Cannes. “Ritratto del bandito Sapone”, Picasso

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Mi piace” il sarto di Picasso.

“Il sarto di Picasso” sta per essere tradotto in francese, ma nel frattempo la prima stesura del libro è stata letta da alcuni “autorevoli” amici. Persone che mi sono vicine nella vita e nel lavoro, alle quali chiedo sempre un’opinione personale sulle cose che scrivo prima che vengano pubblicate. Tra tutti i commenti ne segnalo tre, particolarmente positivi.

Il primo è di Guido Leotta, scrittore, editore e musicista. Mi ha mandato una mail che era già una recensione.
Di seguito le sue parole:
Che la realtà superasse di gran lunga la fantasia è una faccenda banale già nota a tutti. Ma “questa” realtà che Luca Masia ci racconta, con stile, ha un ritmo così incalzante fin dalle prime pagine che potrebbe costituire la sceneggiatura per un film d’azione… Col pregio che la (documentatissima) azione, in queste pagine, si muove con eleganza e tatto, con alcune pennellate d’ironia (che non guasta). E con tanta partecipazione emotiva, che si comunica immediatamente al lettore, trascinandolo nel mondo dell’arte più sublime e in un’epoca magica, così ricca di creatività da lasciare senza fiato. Come in un film in 3D noi ce ne stiamo lì, comodamente seduti nella bottega di Sapone, nel salotto di Picasso (& Co.), a godere di ogni sfumatura di colore e – persino – del profumo della pastasciutta che sigilla i momenti più gioiosi o toccanti.

Il secondo commento è di Davide Rampello, regista e direttore artistico, presidente del Padiglione Zero di Expo 2015:
Complimenti Luca, hai fatto di un memoir un vero romanzo; un racconto avvincente dove con grande sensibilità hai saputo fondere la ricerca documentaria con la capacità di immedesimarti nei personaggi (e che personaggi, da Picasso a Giacometti, da Hartung a Severini…) e nell’epoca storica (e che epoca: la volontà della ricostruzione, i sogni degli anni cinquanta, il boom dei sessanta…).Hai saputo ascoltare e metterti sulla lunghezza d’onda della memoria, permettendo al lettore di “entrare” nella vicenda e dialogare con i suoi protagonisti. Leggendo (d’un fiato) il tuo libro, sembra di ascoltarne le voci, coglierne i pensieri, anche quelli più nascosti! Un risultato eccellente, davvero.

Il terzo è invece di un mio caro amico, compagno di tante corse su e giù per i bricchi di Genova. Si chiama Mauro Semonella e non è né un direttore artistico né un editore, ma un intelligente imprenditore (la sua ditta si chiama Tigullio Design) oltre che un appassionato podista. Mi ha detto una cosa molto bella, e me l’ha detta mentre correvamo nei boschi del Peralto:
– Luca, ho iniziato il tuo libro al mattino e prima di pranzo ero già a pagina 120. Ho dovuto interrompere, ma non vedevo l’ora di tornare a leggere. L’ho finito la notte, e l’indomani sono andato alla Feltrinelli a sfogliare dei volumi d’arte di Picasso e Giacometti. Il tuo libro mi aveva fatto nascere un interesse che non sapevo di avere.

Grazie a tutti e tre. E grazie soprattutto a chi tra i primi lettori ha invece espresso dei giudizi negativi. Nel lavoro di editing ho tenuto conto soprattutto del loro parere.

Foto David Duncan – La Californie, Cannes 1957: Picasso mentre disegna una caricatura di Michele Sapone

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La bellezza dell’editing.

In un precedente post avevo annunciato di aver terminato la prima stesura del mio ultimo libro intitolato “Il sarto di Picasso”. Da un paio di giorni ho iniziato la fase di editing, che durerà circa un paio di settimane. In questo periodo leggerò “il sarto” almeno tre, forse quattro volte. E’ un lavoro che mi piace molto, perché mi obbliga a concentrarmi sulla forma definitiva da dare al testo. I contenuti sono ormai a posto; ciò che conta adesso è solo la forma, capace di esaltare o deprimere il racconto. Dopo tanti colpi di accetta è il momento di lavorare di lima, affinché le frasi scorrano lievi e si leghino le une alle altre dando vita a una narrazione fluida e omogenea.

Come dicevo, dedico sempre molta attenzione al lavoro di editing, scrivendo e riscrivendo interi periodi. Quante volte? Dipende. A un certo punto mi fermo, quando mi tornano in mente le parole di Raymond Carver che diceva che un testo è veramente a posto solo quando ti accorgi di mettere ciò che hai appena tolto e togliere ciò che hai appena messo.

La raffinata bellezza del lavoro di editing è che ti permette di abbracciare il tuo testo e dargli finalmente le giuste misure. Un po’ come faceva Michele Sapone (il sarto di…) con Picasso in questa bella foto di André Villers (La Californie, Cannes, 1956).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Caravaggio rubato

Qualche giorno fa ho letto che Luca Scarlini ha scritto un libro su un Caravaggio (ed. Sellerio) rubato a Palermo, si dice dalla mafia. Il quadro era posto sopra l’altare dell’Oratorio di San Lorenzo. Non ho ancora letto il libro ma lo farò senz’altro, perchè parla di una storia che conosco bene e che mi è rimasta nel cuore. Nove anni fa, l’Oratorio di San Lorenzo era stato riaperto al pubblico dopo un lungo periodo di restauri. Una stanza piccola, rettangolare, di un bianco abbagliante. Il bianco degli stucchi di Giacomo Serpotta che letteralmente ricoprono le pareti della chiesa. Quell’anno, il Comune di Palermo aveva deciso di dedicare alla figura di Giacomo Serpotta tutte le manifestazioni natalizie. Mi chiesero di scrivere uno spettacolo che  facesse conoscere il maestro dello stucco al pubblico palermitano, trecento anni dopo la sua morte.

Abbiamo realizzato un monologo in cui Serpotta, in punto di morte, detta a un invisibile notaio il suo testamento. Era il pretesto narrativo per farlo parlare di sé, della sua arte, della sua vita. L’attore che lo interpretava era Mariano Rigillo (nella ripresa del 2004 sarebbe stato Ludovico Caldarera, nella foto) il teatro l’Oratorio di San Lorenzo. Tutto bianco, con un rettangolo di cemento vivo posto sopra l’altare. Lì c’era la Natività del Caravaggio. Una ferita grigia al centro di una parete bianca. Un pezzo di cemento, in mezzo agli stucchi del Serpotta.

 

 

 

 

 

 

 

 

Luca Masia è su Facebook

Oggi è nata la mia pagina Facebook.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“L’aroma delle note” on stage

In anteprima un paio di frammenti video dell’ultimo concerto del Faxtet, solido e affermato gruppo jazz che con l’attore Ferruccio Filippazzi ha interpretato il mio racconto “L’aroma delle note” sul palco del 24° Tratt’n Festival di Faenza.

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“Il sarto di Picasso” è confezionato.

Ho appena finito di scrivere “Il sarto di Picasso”. Come speravo, si tratta di un memoir godibilissimo che si legge come un romanzo (il romanzo della vita…) e si “studia” come un saggio. Duecento pagine di aneddoti concatenati gli uni agli altri per scoprire il lato più vero e nascosto di grandi maestri dell’arte del Novecento come appunto Picasso, ma anche Giacometti, Severini, Hartung, Burri, Campigli, Magnelli, Arp, Delaunay e tanti altri, magari meno noti e fortunati, come ad esempio Robert Malaval.

Il volume è adesso in revisione, sarà poi tradotto in francese e uscirà subito dopo l’estate, sia in Italia sia in Francia, completato da un centinaio di immagini inedite. In questi giorni si sta anche parlando di uno spettacolo teatrale basato proprio sul “Sarto di Picasso”. Un progetto molto interessante che potrebbe aprire nuove strade alla mia scrittura.

Nel frattempo è andato in scena il racconto sul caffè “L’aroma delle note” con le musiche del Faxtet (Libri > Narrativa > Blue Jazz Café). Due sere fa, concerto a Faenza nella prestigiosa sede del Museo delle Ceramiche, tra le opere di Mimmo Palladino, nella cornice del Tratti’n Festival 2012. Successo notevole, davvero oltre le aspettative; merito dell’attore Ferruccio Filippazzi, dei musicisti del Faxtet, e un po’ anche del mio racconto. L’idea è adesso di replicare il format con uno spettacolo più ampio e articolato, sempre sul tema del cibo. A breve tutte le novità.

Infine, sempre a proposito di caffè, dovremmo essere “a tiro” con il libro Lavazza. Speriamo di farcela prima dell’estate. Ma non dipende da me…

Prossimo progetto a breve, la biografia di Giampiero Cantoni, ultimo presidente della Fiera di Milano, recentemente scomparso.

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