VITA DEL SERPOTTA
di Luca Masia

 

 

interpreti Mariano Rigillo (2003), Ludovico Caldarera (2004)
scene e costumi di Fabrizio Lupo
regia di Davide Rampello

Vita del Serpotta (download pdf testo completo)

Il Comune di Palermo ha dedicato le manifestazioni natalizie del 2003 alla figura di Giacomo Serpotta, uno dei massimi esponenti del barocco siciliano, maestro assoluto dell’arte dello stucco vissuto a cavallo tra il ‘600 e il ‘700.
Tra gli eventi in programma, uno degli appuntamenti di maggiore richiamo è stato il monologo teatrale “Vita del Serpotta”, incentrato sugli ultimi istanti di vita dell’artista. Nello spettacolo, scritto da Luca Masia, diretto da Davide Rampello e interpretato da Mariano Rigillo, Giacomo Serpotta dialoga con se stesso dettando ad un invisibile notaio il suo terzo testamento, quello più intimo e segreto, in cui svela il senso profondo della sua arte, la continua ricerca estetica, il rapporto con la religione, la politica, la fede, l’amore. Il palcoscenico, appositamente allestito all’interno dell’oratorio di San Lorenzo, era letteralmente immerso nelle atmosfere serpottiane, circondato di angeli, allegorie, putti e santi: un universo di forme e figure di un candore e di un’umanità travolgenti.
Lo spettacolo, ispirato a testi e testimonianze originali d’archivio, si è sviluppato coniugando le esigenze drammaturgiche con la volontà di realizzare un’opera che fosse anche didattica. I diversi quadri della rappresentazione erano raccordati dalle struggenti note di un violoncello e dalle azioni sceniche degli artisti del Teatro del Silenzio, ideali raffigurazioni delle statue del Serpotta che prendevano vita mentre il loro creatore si spegneva.
“Vita del Serpotta” non è stato solo uno spettacolo teatrale, ma l’occasione per riscoprire l’arte di un uomo che ha saputo infondere nelle sue opere -tecnicamente perfette – una vitalità sorprendente: un’arte da conoscere, amare e divulgare, dopo essere stata per troppo tempo smarrita nell’oblio dell’indifferenza.

***

“… Tutti sappiamo che per modellare le forme, l’impasto non deve essere né troppo molle né troppo duro, non troppo umido ma nemmeno troppo asciutto.
E allora, come va fatto?
Dipende, signor notaio.
Dipende dal momento, dallo stato d’animo.
Lavorare lo stucco richiede sveltezza di esecuzione e capacità di immaginazione. Sì, perché l’artista deve immaginarsi come verranno le cose: quando facciamo una statua, specie se grande, dobbiamo disporre un’armatura interna grossolana ma perfetta. Sopra ci mettiamo uno strato di materia così sottile da non permettere pentimenti o ripensamenti. Gli errori che prima sussurravano, con lo stucco urlano: vengono fuori tutti, come quando si vernicia un muro mal levigato e ci si illude di lisciarlo col bianco della pittura.
Già, il bianco.
Quanto bianco hanno respirato i miei occhi! …”

dal monologo di Giacomo Serpotta

“… Tra noi e Dio ci sono loro: i bambini.
Quante ore ho passato a osservarli! Quando ridono di niente e quando mettono il broncio per ricevere attenzione, quando giocano con la loro ombra o inseguono la polvere illuminata dal sole. Non era l’innocenza o la sincerità o la semplicità a colpirmi nei loro sguardi, ma la presenza della vita. Che è cosa ben reale, signor notaio, ma inafferrabile, invisibile.
Nei bambini io vedo la vita! Posso toccarla, accarezzarla, coglierne i volumi, le proporzioni e poi modellarla con lo stucco, affinché tutti possano vederla come l’ho vista io.
E’ mai stato nell’Oratorio di San Lorenzo? Intorno alla Natività del maestro Caravaggio e agli altri dipinti sulla vita di San Francesco e il martirio di San Lorenzo, c’ho messo tutta la vita che potevo. Sembra che i putti siano lì lì per staccarsi dalla parete e volare via per andare a giocare altrove.
Le loro espressioni sono la vita. E quanta poesia c’è in un bimbo che sbadiglia, o in uno che tira su col naso…”

dal monologo di Giacomo Serpotta



“Voi uomini di legge cercate sempre la verità. Pensate che sia la massima aspirazione dell’uomo.
Però, alla verità io preferisco la fede, che è credere nella verità.
Una verità che non si vede, ma c’è.
Un artista, con gli occhi dello spirito, vede sempre qualcosa.
Nostro Signore si è incarnato nel figlio per rendersi visibile, così in un bimbo che gioca vedo un angelo, in una donna che allatta una Madonna, in un uomo che lavora Dio.
“Beati i vostri occhi, perché vedono”, dice Matteo.
Le immagini non sono la realtà, ma rappresentazioni di oggetti assenti.
L’immagine non ha mai bisogno della realtà. La sua presenza svela l’assenza.
Se noi uomini non avessimo potere sulle cose assenti ce ne staremmo aggrappati alla realtà come sanguisughe, come edera al muro.
Moriremmo, se quel muro dovesse crollare.
Moriremmo, se smettessimo di vedere…”

dal monologo di Giacomo Serpotta



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