Archive for 2013

« Previous Entries Next Entries »

L’aceto di Josko

Ieri sera è andata in onda una nuova puntata di “Paesi, paesaggi”, dedicata all’aceto d’uva che Josko Sirk produce a Cormons, nel Collio friulano.
L’industria impiega un paio d’ore per produrre un buon aceto di vino; Josko ci mette tre anni per acetificare in botti di rovere la Ribolla gialla, un vitigno tipico del Collio.
Ma come dice Davide in trasmissione, il suo aceto è eccezionale!
Questo il link della puntata per conoscere la storia di Josko e del suo aceto:
http://www.striscialanotizia.mediaset.it/video/videoextra.shtml?18181

 

 

Il latte in via di estinzione.

Oggi siamo in Liguria; il paese è Rezzoaglio, il paesaggio quello della Val d’Aveto.

Ci aspetta Ugo, un ragazzo di mezza età nato in una valle del chiavarese, quando le case erano masserie autosufficienti e avevano il bestiame, l’orto, la vigna e il forno. Dopo aver studiato e lavorato in città per una trentina d’anni, Ugo ha deciso di tornare alle origini e risalire in montagna con un’idea fissa in mente: allevare la mucca Cabannina, tipica dei sentieri impervi e dei boschi fitti della Val d’Aveto. Nel pomeriggio, davanti alla macchina da presa, Davide spiegherà che «la Cabannina si stava estinguendo, perché si stavano estinguendo gli allevatori».

E’ una vacca piccola e robusta, che mangia poco e si accontenta di ciò che trova; i suoi piedi non si feriscono sulle pietre e le sue zampe affrontano i rovi come quelle dei cinghiali. Ogni tanto qualcuno prova a portare quassù le Frisone, abbagliato dal miraggio del guadagno. In genere non resistono al primo inverno. La Cabannina si arrampica come una capra e non si ammala mai. Quasi non conosce il veterinario. Partorisce dove capita e il suo latte è eccezionale. Ne produce poco, ma per tutta la vita. In valle si parla di esemplari capaci di superare i venticinque anni di età, con oltre quindici lattazioni!

Un latte davvero unico, quello della Cabannina. Un latte in via di estinzione, che rischiavamo di perdere per mancanza di mucche e di allevatori.

Massimo e io partiamo da Albenga al mattino presto. I chilometri per raggiungere Rezzoaglio sono pochi, ma la strada è tanta. Filiamo veloci fino a Chiavari, poi da lì imbocchiamo la provinciale e cominciamo a salire. Un viaggio nel tempo. Curva dopo curva ritroviamo un po’ della nostra storia. Il territorio, le comunità. Acqua di mare che bagna le radici del monte. Alberi che respirano sale. Liguria…

A Cabanne la strada spiana e il motore dell’auto respira.

Un migliaio di anni fa, i monaci avevano eretto da queste parti il santuario di San Michele de’ Petramartina. Nei loro piani doveva essere meta di pellegrinaggi, ma il territorio lo rendeva inaccessibile. La valle era paludosa perché il corso dell’Aveto era ostruito da una frana. Così, avevano cominciato ad accendere con meticoloso puntiglio dei grandi falò per spaccare le rocce, liberare il fiume e spianare la strada ai fedeli. Un’impresa biblica, da gente di fede, durata anni e capace di produrre la piana fertile che adesso percorriamo cercando un cartello che indichi la fattoria di Ugo.

La storia dei monaci di Cabanne è anche crudele. I pellegrini dell’alto Medioevo avevano effettivamente cominciato a frequentare la valle; non il santuario, però, ma altre chiese che nel frattempo erano sorte nel più agevole territorio. Il monastero era rimasto tenacemente abbarbicato alla sua rocca, chiamata appunto Petramartina.

Anche l’azienda di Ugo si chiama così, in ricordo di quella cengia che sovrasta l’Aveto e osserva immobile lo scorrere del tempo in riva al fiume. Una valle per gente paziente. Pescatori di trote…

Anche Hemingway era stato da queste parti e aveva paragonato l’Aveto a certi fiumi delle Montagne Rocciose. Lui però non era un tipo paziente. Un pescatore d’altura, più che da mosca.

Quando arriviamo a Petramartina non è più tanto presto. Davide è ancora in viaggio, mentre Ugo e sua moglie Serena stanno facendo il formaggio. Il famoso U’ Cabannin.

Motore, azione: Massimo inizia a lavorare. Io resto fuori. Guardo, penso. A modo mio, lavoro. Vedo un recinto e scorgo due mucche all’interno. Una di loro si avvicina allo steccato e mi tende il muso. Si chiama Raia.

Sta per partorire. E’ quasi pronta. Mi spiegano che potrebbe dare alla luce il vitello anche adesso, davanti a me. Nel caso, non saprei cosa fare. Ma non c’è da preoccuparsi: è Raia che sa cosa fare.

Dopo la casera, il pascolo. Davide è arrivato e ha indossato l’abito di scena. Mi stupisco ogni volta di come l’abito faccia il monaco. Me l’ha insegnato lui, lavorando in teatro. Con questo completo di fustagno scuro diventa un naturalista da campagna di fine Ottocento. Prende la sedia e se la mette in spalla come fosse una sciarpa; un gesto lieve, disinvolto. Poi s’inerpica lungo il sentiero con il passo deciso del camminatore. È un cercatore incallito di paesi e paesaggi.

Le mucche lo accolgono con un misto di curiosità e interesse. Non hanno mai visto un essere umano che si siede in mezzo a loro, parla nel vuoto e guarda fisso nell’obiettivo di una macchina da presa, con milioni di persone che lo ascoltano dall’altra parte del mondo. Ne approfittano per dire qualcosa anche loro. Muggiscono forte e quasi coprono le sue parole. Una vacca più anziana delle altre lo sfiora mentre Davide spiega che ci troviamo “a soli settanta chilometri da Genova, tra vallate di pascoli, castagneti e faggeti punteggiati da borghi e castelli feudali. Un territorio selvaggio, però modellato dall’uomo…”

Verso sera, quando terminiamo le riprese, le mucche tornano in stalla. Le loro giornate sono tutte simili, fatte di fieno e digestioni lente; scandite dai tempi delle mungiture e dai ritmi delle stagioni. Davide si toglie l’abito mentre noi restiamo a lato del sentiero. Osserviamo Ugo che raduna le mucche e le guida verso casa. Dalla stalla al pascolo, dal pascolo alla stalla. Tutti i giorni così, dal mattino alla sera. Albe e tramonti racchiusi in una collezione di giorni e notti.

Massimo filma. In silenzio, da lontano.

I gesti del pastore sono precisi, esatti. Netti come i versi della sua bocca e i movimenti delle sue mani. Sono ciò che le mucche conoscono. Ciò che a loro serve.  Allora, come dice Davide, «se venite in Val d’Aveto, fate amicizia con una mucca Cabannina e seguitela nei suoi sentieri. Se poi incontrate Raia, chiedetele del suo vitello e al mattino ricordatevi di guardare il sole che sorge dietro l’Appennino. Molti dei nostri figli non hanno mai visto un’alba, mentre i nostri nonni non ne hanno mai persa una…».

Il sole tramonta e sembra pure lui incamminarsi lungo un sentiero che dall’alto scende verso casa, al di là del mare.

Ugo ci offre un vasetto di yogurt bianco, fatto con latte di Cabannina e un pizzico di miele di Petramartina. Amo le api di Ugo, generose come le sue mucche. Il miele delle sue arnie vale il latte della sua stalla.

Bene, adesso è proprio tempo di andare.

«Ci aspettano altri paesi e altri paesaggi» dice Davide alzandosi dalla sedia. Poi la chiude, se la rimette in spalla riprende a camminare. In lontananza, quasi sparendo nel bosco, la sua voce dice: «Venite in Val d’Aveto, ma non come turisti – mi raccomando – come ospiti».

Clicca qui per leggere l’articolo pubblicato su mentelocale.it

“Paesi, paesaggi”: la mucca Cabannina

Sabato 5 ottobre 2014, “Paesi, paesaggi” ha debuttato su “Striscia la notizia”.
La prima puntata del nostro viaggio alla scoperta dell’Italia dell’Agricoltura, dell’Arte e dell’Artigianato è dedicata alla Val d’Aveto, in Liguria.
Protagonista assoluta, la mucca Cabannina; una specie autoctona dalle eccezionali caratteristiche di robustezza e longevità che si stava estinguendo.
Per fare amicizia con la mucca Cabannina e conoscere la storia di Ugo, l’allevatore che si sta dedicando alla salvaguardia della razza, basta guardare la clip (cliccando sul link o sulla foto):

http://www.striscialanotizia.mediaset.it/video/videoextra.shtml?18111

Mucca Cabannina in Val d’Aveto, Liguria

***

“Paesi, paesaggi” a “Striscia la notizia”

“Paesi, paesaggi” è la nuova rubrica di “Striscia la notizia”. Venerdì scorso, in conferenza stampa, Antonio Ricci l’ha presentata come la “pars construens” del programma, che si affianca alla sua tradizionale anima “destruens”.

L’idea di “Paesi, paesaggi” è nata con Davide Rampello qualche mese fa. Adesso che lui lavora all’Expo, il progetto di esplorare l’Italia delle differenze e delle eccellenze agro-alimentari è tornato d’attualità.
Cultura materiale, cibo, territorio; all’inizio pensavamo di farne una rubrica letteraria, poi è venuta la televisione.

Cito testualmente dalla nota di presentazione alla stampa:
“Paesi, paesaggi” è la rubrica che guida alla scoperta e valorizzazione del patrimonio culturale, artigianale e alimentare italiano; un viaggio attraverso i paesi e paesaggi naturali, ma soprattutto umani, di un territorio ancora ricco di eccellenze: realtà nascoste e spesso inattese che costituiscono modelli da imitare e da cui ripartire.

Si viaggia a piedi; io dietro la macchina da presa con la penna in mano, Davide davanti al video, a raccontare di luoghi e di persone. Personaggi esemplari, protagonisti di storie dove artigianato, arte e agricoltura si fondono e diventano cultura.
Io vesto come capita (tanto non mi si vede), lui invece indossa un abito di velluto marrone che lo trasforma in un naturalista da campagna di fine Ottocento: un viaggiatore senza meta, sospeso nel tempo…

Massimo Tomagnini, il regista, lavora a basso costo come se dovesse girare un film: master, piani d’ascolto, controcampi, fegatelli…
Facciamo un televisione lenta, ma dove succede sempre qualcosa.

Infine la sedia. Davide cammina con una sedia in spalla progettata da Giulio Iacchetti. Si chiama Rolo e sembra la sedia di un regista, ma a noi ricorda quelle che usavano i generali per osservare gli eserciti dalla cima delle colline. Da lassù, impartivano ordini che scendevano a valle e cambiavano i destini delle persone e delle cose.

Ogni puntata di “Paesi, paesaggi” sarà anche una rubrica su Mentelocale.it, la rivista online di cultura e tempo libero. Una specie di diario di viaggio; appunti su ciò che imparo e non voglio dimenticare.
Frasi di un pensiero più ampio, come i capitoli di un libro.

Un libro vero e proprio uscirà invece alla fine della stagione. Non sarà una guida in senso classico, piuttosto una raccolta di storie. Paesi e paesaggi, appunto; storie di territori e delle persone che li abitano e li lavorano.

“Paesi, paesaggi” è un viaggio alla ricerca della parte migliore noi stessi.
Un viaggio senza meta, ma con una direzione precisa.

In Valtellina, in un “calécc”.

Nel Collio, sulla linea di confine.

A Giaveno, terra di funghi e cioccolato.
Massimo di spalle, io di lato, Davide sulla sedia.

 

Dalla monnezza alla bellezza

Mercoledì scorso, 3 luglio 2013, il “sarto di Picasso” mi ha portato in un luogo molto particolare: la terra del “sarto di Picasso”. Non proprio Bellona, dove tutto era cominciato circa un centinaio di anni fa, nel 1912, ma nel paese accanto: Camigliano.

Camigliano è uno dei comuni virtuosi d’Italia, specializzato nella raccolta differenziata dei rifiuti. Una cosa da non credere, ma da vedere e ammirare.
Tanto per capirci, il sindaco di Camigliano aveva sviluppato un sistema di raccolta dei rifiuti molto efficiente. Nel 2010 (o giù di lì) stava per essere approvata una legge che assegnava la raccolta dei rifiuti alle competenze provinciali. Il sindaco si era opposto e nel giro di una settimana era stato destituito e il suo comune commissariato. Una rapidità esemplare, anomala nel paese dove i processi durano una vita e le condanne si scontano postume.

Pochi mesi dopo si erano svolte le elezioni amministrative e il sindaco era stato rieletto, con una specie di plebiscito.

La legge non è mai stata approvata e il comune di Camigliano ha potuto continuare a manifestare la propria virtuosità raccogliendo e smaltendo rifiuti accuratamente differenziati.

Oggi, una paio d’anni dopo, lo stesso comune e lo stesso sindaco hanno organizzato una manifestazione che sarebbe piaciuta molto a Michele Sapone, il sarto di Picasso.

Si intitola “Dalla monnezza alla bellezza” e consiste in una settimana di lavoro artistico per la città: una quarantina di artisti selezionati e coordinati da alcuni docenti delle Accademie di tutta Italia sono stati ospitati a Camigliano per realizzare opere inedite con materiali di rifiuto.

Le opere andranno in mostra e poi diventeranno elementi di arredo urbano permanente della città.
Dalla monnezza alla bellezza, appunto.
Una manifestazione che porta l’arte nelle strade della città, avvicina la gente alla creatività e dà vita alle cose morte. Un miracolo!

Abbiamo tutti un naturale bisogno di arte; dobbiamo respirarla come l’aria, anche se non sempre ne siamo consapevoli.
Quanta arte può nascere da un cumulo di rifiuti. E quanta bellezza dalla monnezza.

In tutto ciò, “Il sarto di Picasso” è entrato in punta di piedi, condividendo i propri valori con i cittadini e gli artisti.
Sono certo che Michele Sapone, che occhieggiava dall’alto del monte Rageto, sorrideva felice sotto i baffi.
Unico rammarico, che la galleria della figlia Aika e del genero Antonio fosse chiusa a due passi da lì.

Alla presentazione del libro c’erano tante persone di Bellona, che implicitamente chiedevano ai Sapone di riaprire la loro galleria per farla ridiventare quello straordinario punto di contatto tra arte e territorio che era stata in passato: un motore del benessere sociale collettivo (un benessere soprattutto interiore, ma non solo…).
Tra loro mancava però il sindaco.

Si è colpevoli quando si fanno male le cose.
Ma si è altrettanto colpevoli quando non si fanno le cose che si dovrebbero fare.

L’indomani mattina presto, dopo l’euforia della serata, mi sono raccolto in me stesso, ho indossato le scarpe da trail e ho corso per tre ore, da Capua al monte Rageto. Ho scalato il colle di cui avevo scritto, senza averlo mai visto. Cercando sentieri che non trovavo, aprendomi strade per giungere in vetta e fare due chiacchiere con persone che non ci sono più e che porto sempre con me.

Dall’alto le cose si vedono diversamente.
Dall’alto è più facile comprendere il territorio e capire la sua gente.
Anche parlare è più facile: non servono nemmeno le parole…

Il sindaco di Camigliano Vincenzo Cenname, l’autore Luca Masia, il giornalista e moderatore della serata Nello Trocchia, l’artista Max Coppeta.

Sul palco di Camigliano: da sinistra il musicista Mario Ceci, l’attrice Caterina di Matteo, Luca Masia, Nello Trocchia e Max Coppeta.

Tanto pubblico in piazza. Manca il sindaco di Bellona…

Si scrive da soli, ma poi è bello vedere che non si è soli a scrivere.

 

Book performance nella torre di Albenga

Venerdì 21 giugno abbiamo presentato “Il sarto di Picasso” in forma di spettacolo presso la Galleria d’Arte Moderna di Albenga (GAMA).

Eravamo nella torre della città, sede della galleria, circondati da opere di Mirò e Picasso; uno spettacolo nello spettacolo! Con la complicità della libreria San Michele che si è presa cura del libro e di Science4art che ha organizzato l’evento.

Sul palco – insieme a me – sono saliti l’attore Nello Simoncini e i musicisti Luca Siri e Luca Soi, rispettivamente clarinetto e clarinetto basso, violino e viola.

E’ sorprendente vedere come ogni volta la storia di Michele Sapone sappia rinnovarsi e adattarsi ai luoghi e alle atmosfere.

Trovo sempre bellissimo ascoltare le pagine del libro lette da interpreti che ogni volta colorano il testo con accenti personali, spesso inattesi; e trovo ancora più magico ascoltare le musiche che di volta in volta aggiungono emozione al racconto.

Ad Albenga, Luca e Luca hanno presentato un repertorio quanto mai vario, da Poulenc a Stravinsky, passando attraverso un brano yiddish commovente.

Naturalmente non l’abbiamo registrato. Il ricordo però è ancora vivo.

Anche mio papà è ancora vivo, pur essendo mancato pochi giorni prima della presentazione.
Adesso è sempre con me. Anche questo è commovente.

Luca Masia e Nello Simoncini poco prima dello spettacolo

La Galleria d’Arte Moderna di Albenga, nella torre medievale della città.

Luca Sciri e Luca Soi

Luca Masia, l’artista Mauro Malmignati (amico dei Sapone), mia mamma e Paola Sapone.

Un pomeriggio a Vicenza.

Sabato 25 maggio ho presentato “Il sarto di Picasso” a Vicenza, nella prestigiosa sede di Palazzo Leoni Montanari.

Non ci ero mai stato e non sapevo cosa mi ero perso. Un altro di quei luoghi straordinari che diamo per scontati. Come se la loro esistenza – in Italia – fosse un fatto normale. Aria di città, da respirare distrattamente, facendo dell’altro.
E invece questa è aria buona, di mare o di montagna. Aria da riempirsi i polmoni.

Palazzo Leoni Montanari è una dimora seicentesca che ha conosciuto momenti di grande splendore e che oggi – grazie all’intervento di Banca Intesa – è diventata un importante museo, con un impianto architettonico e decorativo di sapore teatrale, un ricca collezione di quadri del Longhi e della sua scuola, ma soprattutto una strepitosa collezione di icone russe.

E’ stata una giornata speciale anche perché ho ritrovato un caro amico, Stefano Ferrio, scrittore vicentino che ha letto (benissimo) alcuni brani del libro.

I due ingredienti fondamentali della storia di Michele Sapone e Pablo Picasso erano lì, in mezzo a noi: amicizia e arte.
L’arte dell’amicizia: attimi da indossare come abiti su misura.

La Sala Apollo, dove abbiamo presentato “Il sarto di Picasso”.

Un’occhiata alla collezione di icone russe.

Video su Mentelocale.it

“Il sarto di Picasso” in video su Mentelocale.it.

 

Rizzoli, Milano

Domani pomeriggio (giovedì 9 maggio), alle 18.30 presso la libreria Rizzoli di Milano in Galleria Vittorio Emanuele, parleremo di don Michele (il famoso sarto italiano) e don Pablo (il suo celebre amico artista spagnolo).

Con me ci saranno Laura Guglielmi, direttore di Mentelocale.it e Davide Rampello, responsabile dei contenuti culturali di Expo 2015.

Presenteremo “Il sarto di Picasso”, ma anche tanti documenti inediti.

Venticinque anni fa.

Ieri siamo andati in scena con “Il sarto di Picasso” nella biblioteca di Cesate.
E’ stata una serata speciale, che Anna e Adalberto hanno reso possibile.

Mescolate sul palco e in platea c’erano molte persone importanti. Andate e tornate, oppure mai andate via.

Intanto c’era il sole. Ci guardava da fuori e tramontava lentamente, cambiando la luce sul palco.
– Una bella luce farà bella la tua galleria, – diceva Hartung a Sapone mentre puntava i faretti sui quadri. Ecco.

Poi c’erano Yoko e Verdiana e Silvia, con la sua bella e numerosa famiglia: storie intense di amicizie che non muoiono mai. A volte fanno solo finta.

C’era Guido, che suonava ispirato sulla voce esatta e generosa di Tommaso. Mentre li ascoltavo pensavo alla lettera che Guido mi aveva scritto molti anni fa per dirmi che avrebbe pubblicato i miei racconti. I primi.

Ma soprattutto, in prima fila, c’erano Giulia e Alessandro.
E dietro di loro Cristina.

La storia del sarto di Picasso non è solo una vicenda di grandi amicizie, ma anche di grandi amori: Michele e Slavka, Aika e Antonio, Susi e Alberto, Cesare ed Enrica, Jeanne e Gino, Marguerite e Jean, Hans e Anna Eva, Edouard ed Helene…

Ieri, 14 aprile 2013, parlavamo di loro e della loro tenace determinazione ad affrontare la vita insieme.
Venticinque anni fa, il 15 aprile 1988, Cristina e io ci siamo sposati.
Da quel giorno affrontiamo la vita insieme, con tenace determinazione.
Storie solide, di amori che navigano la vita. Per sempre.

Tommaso Amadio nei panni di Picasso e del suo sarto.

Tommaso Amadio che racconta del compleanno di Picasso.

Guido Leotta al flauto, un attimo prima di suonare molti altri strumenti. Tutti insieme.

Luca Masia nei panni dell’autore.

Signore di Cesate tra i libri della loro biblioteca. In primo piano, “Il sarto di Picasso”.

Signora di Cesate che legge “Il sarto di Picasso”.

« Previous Entries Next Entries »


| realizzato da panet.it |  | ©2008 Luca Masia |