1 marzo 2014 - Pane quotidiano.

Oggi siamo in Puglia. Il paese è Orsara, il paesaggio quello della Daunia.
Arriviamo tardi, quando il sole è già tramontato. Angelo, il protagonista della puntata, mi dice al telefono di lasciare la macchina in piazza e di raggiungerlo a piedi, tanto Orsara è piccola e tutto è vicino al suo forno.

Entriamo nel borgo e imbocchiamo una ripida strada lastricata in discesa. Naturalmente non troviamo la piazza e continuiamo a scendere finché usciamo dal centro abitato e ci ritroviamo in aperta campagna, persi nella notte.
Massimo ha un guizzo d’ingegno e imbocca una strada in salita. Procede d’istinto. Continua ad avanzare seguendo il fiuto del viaggiatore. Attraversa un bosco e riemerge in cima alla collina, all’inizio del paese.

Partiamo così per un secondo giro, ripercorrendo la strada in discesa alla ricerca della piazza e del forno di Angelo. Questa volta procediamo con cautela e parcheggiamo davanti ai gradini di una chiesa. Non è la piazza, ma va bene lo stesso. Tanto Orsara è piccola e tutto è vicino al forno di Angelo…

Lui ci viene incontro. Ci abbracciamo. È la prima volta che ci vediamo di persona, ma è come se ci conoscessimo da sempre. Gli dico che dobbiamo andare subito a prendere le chiavi della stanza che ho prenotato. Gli mostro l’indirizzo. Pensavo che fosse in un quartiere di Orsara e invece scopro che è a Bovino, uno dei borghi più antichi e belli d’Italia, a circa mezz’ora di strada!
Non trovo le parole per dirlo a Massimo, che ha già guidato per più di mille chilometri nelle ultime ventiquattr’ore.
«Se vuoi, guido io…», dico a mezza voce. Massimo tace.

Promettiamo ad Angelo che saremo di ritorno a Orsara per l’ora di cena.
Il nostro regista continua a tacere paziente. Io dico: «Vedrai, domani faremo delle ottime riprese a Bovino. Sai, è uno dei borghi più antichi e belli d’Italia…».

Attraversiamo un altro bosco, saliamo e scendiamo due colli, superiamo un fiume. Infine arriviamo a Bovino, prendiamo le chiavi e torniamo a Orsara senza aver capito se sia davvero uno dei borghi più antichi e belli d’Italia.

Angelo ci aspetta con Davide e Peppe, l’amico chef che cucina con i fiori dell’orto e ripropone con estrema sensibilità le ricette della tradizione pugliese. Un uomo intelligente, pieno di energie. Spesso va in televisione. Un vero master chef

A tavola, Peppe mi tiene una piccola lezione sul grano arso, che in questi tempi di crisi mista a benessere sta diventando una forma d’espressione dell’alta cucina, ma che fino a pochi anni fa era il piatto di quei poveri talmente poveri da non riuscire nemmeno a mendicare.
Torna alla mente il Libro di Rut, dove si narra della giovane moabita che si procurava da mangiare spigolando nel campo d’orzo durante la mietitura.

Ecco, i poveri che in Puglia mangiavano la pasta di grano arso, non facevano nemmeno questo; aspettavano che le stoppie venissero bruciate prima della nuova semina. E nella cenere, trovavano il loro cibo.
Una lezione di vita, oltre che di cucina e di cultura materiale.

Angelo ascolta. Conosce bene il grano arso e i poteri del fuoco. Lui è il fornaio di Orsara; non un panettiere, attenzione, il fornaio!
Un tempo era il fornaio che all’alba andava di casa in casa, svegliava le donne e diceva di cominciare a impastare.

Poi accendeva il fuoco, e quando il forno era caldo, le mogli e le madri del paese si presentavano con le loro pagnotte da due, tre, anche cinque chili. Ognuna aveva una forma caratteristica; il fornaio le cuoceva e nell’attesa la sua bottega diventava un luogo di ritrovo, uno spazio vivo dove tutti avevano piacere di stare, soprattutto in inverno, quando fuori c’erano freddo e neve.
Tutto questo rivive ancora oggi a Orsara di Puglia grazie ad Angelo e al suo meraviglioso forno a paglia del 1526.

Durante la cena pianifichiamo le riprese dell’indomani. Angelo ha già pensato a tutto. Faremo anche noi il pane, ma al contrario, partendo da una pagnotta appena sfornata e concludendo con l’accensione del fuoco.
Una finzione scenica, ma anche una scelta obbligata: maneggiare un forno come quello di Angelo, capace di cuocere oltre un quintale di pane alla volta, non è una cosa semplice.

Il forno è diviso su due livelli: quello superiore è riservato al pane, quello inferiore al fuoco. Fuoco di paglia, naturalmente; per motivi economici, ma anche per esigenze di cottura.
Angelo mi spiega che nella Daunia – una specie di giardino montuoso dove è tornato a vivere il lupo e gli animali pascolano liberi – di paglia ce n’è sempre stata in abbondanza. Il fornaio usa solo quella di seconda scelta, perché la migliore è riservata al bestiame.
Anche questa è una lezione di vita e di cultura materiale da tenere a mente.

La fiamma della paglia è violenta e caldissima. Sale nel forno attraverso una bocca che si chiama Inferno. Dura poco e bisogna alimentarla continuamente con altra paglia, finché il forno raggiunge la temperatura desiderata. La stanza si riempie di fumo. Ecco perché un fornaio come Angelo non è bianco di farina, ma nero di fuliggine…
Poi la fiamma si consuma, poco prima di infornare. Così il pane cuoce a lungo e lentamente, quasi a vapore.

«Ma prima di infornare, bisogna impastare!» dirà domani Davide alla macchina da presa. Massimo userà la telecamera a mano, pronto a cogliere quegli attimi fuggenti che in televisione non si vedono quasi più.

Angelo usa un lievito madre che ha quasi un secolo di vita. Anche l’impasto è vivo, diverso ogni giorno a seconda dell’umidità, della temperatura e dell’umore.
Il fornaio deve sapersi adattare, senza avere mai fretta.

«Pensate che Angelo impiega oltre dieci ore per fare il suo pane!» spiegherà infine Davide, prendendo dal ripiano di legno una grossa pagnotta bruna e tagliandola con il coltello alla maniera classica dei contadini, con la mezza forma sul petto e la lama che corre dal bordo verso il cuore.

«Guardate che meraviglia!» dirà. «All’esterno c’è una sottile crosta croccante; all’interno invece la mollica è soffice e rimane fragrante per settimane!»
Poi si toglierà gli occhiali, guarderà dritto nell’obbiettivo della telecamera e lascerà che le palpebre gli cadano ai lati degli occhi, come le pieghe di un sorriso. Quando fa così, significa che sta per dire qualcosa d’importante, in cui crede veramente: «Questo pane è un alimento sacro: ricco di proteine oltre che di carboidrati. Ha tenuto in vita intere generazioni, anche quando sulla tavola non c’era altro da mangiare…».

Bene, ora è tempo di andare. Ci aspettano altri paesi e altri paesaggi. Quando venite a Orsara di Puglia e vi perdete nel bosco in una notte di luna piena, fermate la macchina e ascoltate il silenzio; potreste sentire il richiamo del lupo.
Non dimenticate di visitare antichi centri come Troia e Lucera, oppure Bovino, uno dei borghi più antichi e belli d’Italia, dove secoli di storia sono rimasti intatti, freschi e fragranti come il pane di Angelo!
Venite in Puglia, sui monti della Daunia, ma non come turisti – mi raccomando – come ospiti!

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