Oggi siamo in Sicilia. Il paese è Trapani, il paesaggio la costa occidentale della Trinacria. Le coordinate geografiche sono 38°1’ Nord e 12°32’ Est.
Le origini di Trapani affondano nella mitologia e attraversano il tempo. La storia di questo lembo di terra che sembra una falce caduta dal cielo è anche la storia del suo mare, percorso dalle rotte di greci, romani, bizantini, arabi, normanni, spagnoli.
Ci svegliamo di buon’ora e dopo un caffè e una sfoglia di ricotta ci lasciamo avvolgere dai toni caldi e seppiati del centro storico. Sedia in spalla, Davide percorre i vicoli, entra nelle chiese, ammira rosoni grandi come piazze intarsiate e appese nell’aria. Lo accompagno nella chiesa delle Anime del Purgatorio, dove riposano i Misteri di Trapani. Da più di quattrocento anni, ogni Venerdì santo, le confraternite della città sfilano per oltre un giorno e una notte portando a braccia gruppi scultorei che raffigurano la passione e la morte di Cristo. Ogni statua è realizzata in legno scolpito e sughero, con gli abiti in stoffa modellati con colla e gesso; il tutto addobbato e impreziosito con argenti, ori e coralli. Le opere sono state restaurate nel corso dei secoli e ancora oggi sfilano le sculture originali. Sono tutte lì, che riposano nella chiesa e prendono fiato dopo tanto camminare. Noi le ammiriamo a una a una, nella calma del luogo. Avvolte dalla penombra, inumidite da un raggio di luce obliqua che filtra dalle vetrate, ci regalano una privata processione dei Misteri. Pochi minuti di emozione, che valgono il viaggio.
Quando usciamo dalla chiesa ci dirigiamo verso le Mura di Tramontana. La scogliera ci aspetta, offrendo una roccia ampia dove posare la sedia di Davide e lanciare il volo del drone sulla lingua di terra che si protende nel mare.
Da qui, da questo porto, sono transitate per secoli merci e genti. Trapani era la città dei due ori del mare: il sale e il corallo, l’oro bianco e l’oro rosso. Già nel Medio Evo fiorivano numerose botteghe di lavorazione del corallo che hanno poi dato vita a una scuola d’arte orafa unica in Italia e nel mondo.
Platimiro – il protagonista della puntata – è uno degli ultimi maestri corallai di Trapani. Figlio di un artigiano orafo, è cresciuto nel laboratorio del padre e fin da bambino ha cominciato a lavorare l’oro, l’argento e il corallo, incastonando pietre e incidendo metalli. Il suo nome è già un cesello.
Nella storica bottega, a ridosso del centro storico, ha formato decine di allievi e prosegue una tradizione che è diventata vera arte nel corso del Cinquecento. Da allora, Trapani e il corallo rosso hanno formato un binomio indissolubile: per secoli, le corti d’Europa e le chiese d’Italia hanno richiesto ai maestri trapanesi oggetti sacri come capezzali e acquasantiere, e poi gioielli, vassoi, lampadari e sculture di ogni genere. La loro qualità era insuperabile e il colore scarlatto del corallo così simile a quello del sangue di Gesù.
Secondo la tradizione mitologica, il corallo è la solidificazione del sangue che sgorgava dalla testa della Medusa, recisa da Perseo. Mi spiegano che il nome è di origine incerta: potrebbe derivare dal greco koraillon, cioè scheletro duro, oppure da kura-halos, che significa forma umana, o ancora dall’ebraico goral, con cui si indicavano le pietre degli oracoli in Palestina, Asia Minore e Mediterraneo. In natura, è il prodotto del lavoro di minuscoli polipi che possono vivere anche quattromila anni, riuniti in colonie che nel corso del tempo hanno formato vere e proprie costruzioni organiche, popolate a loro volta da infinite specie di pesci, crostacei e piante.
Nel Mediterraneo è presente il Corallium rubrum, che un tempo veniva pescato con le barche coralline. Gli scafi a vela e a motore trascinavano sul fondo del mare un pesante attrezzo a forma di croce, chiamato “ingegno”, con cui sradicavano i ceppi di corallo e distruggevano l’ecosistema. Oggi, la raccolta è regolamentata e può essere praticata solo da subacquei certificati, in periodi limitati. Alcuni pescatori siciliani mi hanno confidato che secondo loro la pesca del corallo potrebbe ancora oggi costituire una ricchezza per i lavoratori del mare, permettendo alle barche più moderne, dotate di strumenti di visione come telecamere e scandagli, una raccolta selettiva dei coralli morti.
«Qual è il corallo migliore, il più pregiato?» chiedo a Platimiro.
Lui sorride e scrolla le spalle. Mi spiega che il corallo si sceglie in base alle necessità artistiche. Forme, dimensioni, colori, variano a seconda della provenienza e di volta in volta l’artigiano usa ciò che gli occorre. Il corallo giapponese, ad esempio, è grande ed è spesso indispensabile per scolpire le figure di maggiori dimensioni; l’oro rosso del Mediterraneo è invece di una tonalità più accesa in Sardegna, mentre a Messina presenta un colore più rosato; a Sciacca, lungo le rotte del pesce azzurro, può variare dal giallo al rosa tenue. Nelle fosse dell’agrigentino, affacciate sul canale di Sicilia e le coste del Nord Africa, esiste addirittura un corallo nero, formato dai cespi strappati dalle onde e depositati sul fondo, dove particolari batteri lo corrodono e lo rendono scuro.
Il corallo è un materiale nobile che appartiene al mondo animale, assomiglia a un vegetale e genera un minerale. Ma appartiene anche al regno della fantasia, quando viene lavorato dai maestri come Platimiro! Lui è l’unico che ancora oggi realizza oggetti con la tecnica del retroincastro, tipica del Seicento trapanese.
«Ciò che ha dato fama alla mia città, – spiega l’artista, – sono stati il procedimento del tutto tondo, cioè l’incisione dei personaggi a figura intera, e la tecnica del retroincastro, che consiste nell’inserimento di particolari preziosi dal lato posteriore degli oggetti: si praticano delle speciali traforazioni, poi gli incastri vengono fissati con una colla a base di pece greca, si tampona l’insieme con una tela precedentemente messa a fuoco e si assembla tutto in un’unica armatura.
L’opera d’arte di corallo nasce già dalla forma del ramo. L’artista deve saperla vedere e poi, con infiniti passaggi di bulino, togliere il superfluo fino a giungere alla scultura definitiva.
«Un lavoro complesso» dice Davide.
«Il corallo è forte, ma anche molto fragile, – spiega Platimiro. – All’inizio, con un raschietto, bisogna rimuovere il cenosarco, la veste che lo ricopre in natura. Usiamo vecchi bulini ricavati dalle lime con cui si rifinivano le incisioni ad acquaforte. Poi si disegna la forma da realizzare sul cespo, si comincia a sbozzare e man mano che si procede si definisce sempre più il lavoro».
Platimiro ama parlare della sua arte, ma ancor più ama praticarla. Accende la lampada e scompare nella sedia incassata sotto il banco da lavoro. Massimo, il nostro regista, cattura i dettagli dei suoi gesti: la punta delle dita, particolari degli strumenti, nuvole di polvere bianca e rossastra che si solleva in controluce. Sono due artisti al lavoro. Il mondo è chiuso fuori. Qui, nella bottega di Platimiro, c’è spazio solo per loro.
Così, in punta di piedi, ci allontaniamo e li lasciamo tranquilli. Le opere di Platimiro sono veri e propri mondi da esplorare con la lente della meraviglia. È un peccato limitarsi a guardarle; meglio osservarle con attenzione, dedicando loro tempo e concentrazione, abbandono e curiosità.
Per darvi una misura del valore di queste sculture di corallo, pensate che alcune sono custodite nei Musei Vaticani e che nel 2013 Platimiro è stato nominato dall’Unesco Tesoro umano vivente, iscritto nel registro delle Eredità immateriali di Sicilia.
Questa è l’Italia della qualità!
Bene, ora è tempo di andare, ci aspettano altri paesi e altri paesaggi…Venite in Sicilia, a Trapani; ma non come turisti – mi raccomando – come ospiti!
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