Oggi siamo in Friuli Venezia-Giulia. Il paese è San Daniele, il paesaggio l’Anfiteatro Morenico. Le coordinate geografiche sono 45°27’ Nord e 9°11’ Est.
Verso sera, poco prima di cena, ci troviamo tutti davanti all’ingresso dell’albergo. Abbiamo prenotato da Toni, a Gradiscutta. Le macchine sono là fuori, nascoste nella nebbia che mi ricorda quella di Milano negli anni settanta. La cosa che non scordi mai della nebbia, quando l’hai respirata da bambino, è l’odore. Quasi un sapore, da gustare con le narici prima che con il palato. Il freddo è pungente, ma l’aria è buona, mescolata ai ricordi d’infanzia. Accendo il motore e i fari. La luce rimbalza sulla nebbia e si riflette nel ghiaccio che ricopre i vetri.
– Ma dobbiamo proprio uscire? – borbotto a me stesso.
Un istante d’incertezza, poi squilla il telefono. È Davide
– C’è troppa nebbia, Luca… restiamo qui.
Tiro un sospiro di sollievo. Esco dalla macchina e rientro in albergo. Oggi si mangia tranquilli e in pantofole, davanti al fogolâr che non manca mai in una casa friulana. Ci raggiunge Mauro, il protagonista della puntata. La cena sarà l’occasione per rileggere la sceneggiatura, decidere le inquadrature e soprattutto conoscerci.
Mauro ha raccolto l’eredità del padre e gestisce l’attività di famiglia: allevamento naturale e lavorazione artigianale delle trote del Tagliamento. Un’attività nata negli anni sessanta, un po’ per caso, molto per passione. Ci sediamo l’uno di fronte all’altro. Lui parla, io ascolto. Mi accompagna nella storia della sua famiglia, tra i tanti mestieri del padre: una vita segnata da un forte legame con il territorio e una dedizione quasi assoluta alla cultura del lavoro. Ma anche una vita di coraggio, libertà di pensiero, capacità di immaginazione.
– Mi dicevi del papà e delle sue attività?
– Lavorava in condizioni sempre molto difficili – ricorda Mauro – Solo che si dava così tanto da fare che riusciva anche a mettere via dei soldi. E appena cresceva, si lanciava in una nuova avventura.
All’inizio aveva un piccolo campo, con una mucca che gli dava del latte. Poi, con i primi debiti e il ricavato del suo lavoro acquistò un trattore. Nuovi debiti e nuovo lavoro: dal trattore passò al camion. Sempre lavoro e sempre debiti. Tutti i giorni a prendere sassi dal Tagliamento e a caricarli sul cassone del mezzo; poi in giro per l’Italia a venderli per farli diventare sabbia e cemento. La gente lo guardava e pensava che fosse matto. Addirittura un incosciente, quando acquistò una cava sul Tagliamento. E siccome amava la pesca e il buon cibo, nelle acque del suo laghetto liberò alcuni avannotti di trota.
Dalla cava all’allevamento il passo fu breve: però difficoltoso e tormentato.
– L’alimentazione delle nostre trote è sempre stata rigorosamente naturale e la densità della popolazione molto bassa – spiega Mauro – quindi il prodotto era già allora eccezionale, ma costoso. A un certo punto non potevamo più gestirlo come un passatempo; dovevamo decidere se continuare con la cava oppure passare alle trote. Ancora una volta si trattò di una scelta coraggiosa, dettata soprattutto dalla passione e dalla fiducia nei propri sogni. L’intuizione era stata quella di trasformare una buona trota del Tagliamento in una vera Regina di San Daniele, un pesce di qualità superiore pronto da consumare, pulito e affumicato a regola d’arte, da mangiare in casa propria come al ristorante.
La chiave di tutto, per rendere interessante un pesce in fondo un po’ noioso, era l’affumicatura. E Giuseppe – così si chiamava il padre di Mauro – si mise nuovamente al lavoro, acquistando un vagone delle ferrovie che era stato utilizzato come ricovero durante il terremoto. Da lì, da quel vagone dismesso, è partita l’attività che oggi marcia come un treno in corsa.
– Agli inizi, a dire la verità, procedeva piuttosto lentamente – ricorda Mauro. I primi tempi sono stati alcuni amici chef a darci il coraggio di continuare, dicendo che il nostro prodotto era il migliore di tutti.
– E cosa avete fatto?
– L’unica cosa che sapevamo fare: lavorare. Abbiamo continuato a lavorare, cercando di migliorare sempre di più la qualità. Bisognava controllare minuziosamente tutta la filiera, dall’allevamento alla lavorazione, dal confezionamento alla distribuzione.
Il giorno delle riprese partiamo dal Tagliamento, dove il pesce nasce e si sviluppa lentamente, in maniera del tutto naturale, arrivando a una decina di chili in circa otto anni. Acque fredde e limpide, ricche di cibo e di correnti. Il movimento continuo tonifica le carni, lasciando solo un filo di grasso che le rende morbide e ricche di Omega3.
– Buone trote si nasce, ma Regine di San Daniele affumicate si diventa! – esclama Davide rivolgendosi alla macchina da presa, mentre passeggia con la sedia in spalla sulla riva del fiume. Dopo l’acqua della natura, ci trasferiamo nel laboratorio dell’uomo. Si comincia con la spinatura a mano, per togliere anche le lische più piccole. Quindi la salatura, con sale secco che penetra lentamente nelle carni, toglie l’acqua e riduce il peso. L’industria fa esattamente il contrario: inietta la salamoia che aumenta il volume e riduce la qualità. Infine l’affumicatura, che non deve mai coprire il gusto del pesce. Mauro cerca un delicato e prezioso equilibrio di aromi che ha chiamato: sospetto di fumo. Si ottiene in maniera del tutto artigianale, con la combustione senza fiamma di trucioli di legna pregiata, con l’aggiunta di bacche e erbe aromatiche.
Tanto lavoro e nessun additivo, per realizzare trote salmonate affumicate, filetti agli agrumi, uova, guancialetti, carpaccio, aringhe sciocche e addirittura uno speciale salame di trota. I prodotti migliori sono sempre i più semplici. Ma la semplicità è la cosa più difficile da raggiungere. Dopo le riprese ci ritroviamo a degustare le specialità di Mauro in una bella sala sopra il punto vendita. Un grande tavolo bianco, una piccola cucina e tante opere d’arte come elementi d’arredo. Questa non è solo un’azienda modello, ma una casa. Il luogo di chi ha saputo realizzare i propri sogni senza cedere ai compromessi.
Prima di lasciare San Daniele vogliamo però girare alcune scene nel centro storico, in un paio di luoghi che meritano grande attenzione. Innanzitutto la biblioteca Guarneriana, la più antica biblioteca del Friuli e uno dei primi spazi pubblici di lettura e diffusione della cultura in Italia. Conserva preziosi codici miniati, incunaboli e libri antichi; l’aveva fondata nel Quattrocento Guarnerio d’Artegna, destinando alla comunità i manoscritti della sua biblioteca, perché se alcuno… volesse leggere o studiare potesse farlo nella stessa libraria e non altrove….
L’altro monumento che visitiamo e che ci aiuta a rendere in una manciata di secondi televisivi la percezione di quanto sia ricco di storia e di cultura un piccolo centro come San Daniele, è la chiesa di Sant’Antonio Abate. Edificata all’inizio del Trecento, danneggiata dal terremoto alla metà dello stesso secolo e infine ristrutturata nel corso del Quattrocento, oggi è una chiesa sconsacrata chiamata la Sistina del Friuli per la suggestione dei suoi affreschi rinascimentali. È un luogo magico, dove lasciarsi avvolgere dall’intensità delle pitture e delle loro scrostature. Un piccolo spazio che regala grandi emozioni, da visitare in silenzio, in punta di piedi e con il naso all’insù, come fanno i bambini quando guardano un aquilone in volo.
Bene, ora è tempo di andare, ci aspettano altri paesi e altri paesaggi.
Venite a San Daniele del Friuli, ma non come turisti, mi raccomando, come ospiti.
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