Oggi siamo in Piemonte. Il paese è Silvano d’Orba, il paesaggio quello dell’Alto Monferrato. Le coordinate geografiche sono 44°41’ Nord e 8°40’ Est.
Il viaggio è breve, un agile balzo dal mare di Genova all’Appennino di Ovada: una manciata di chilometri per raggiungere Silvano d’Orba, passando dalla cascina biodinamica di Stefano, sulle colline di Tassarolo.
Subito dopo Novi imbocco la statale e dopo pochi minuti vedo il cartello che indica la mia meta. Dice di andare a destra.
Subito sotto un altro cartello, molto più grande del primo. È appoggiato a un palo della luce, tenuto fermo con un giro di fil di ferro. Anche questo indica la meta, però è scritto a mano con lo spray e dice di andare a sinistra.
L’alluvione ha lasciato un segno pesante anche qui. La strada è interrotta da una frana e bisogna fare un giro alternativo, tra vigneti e campi. Intendiamoci, un bel giro. L’acqua della pioggia resta sospesa a mezz’aria, la nebbia sfiora i prati, il cielo si popola di nubi tagliate qua e là da lame di luce.
Chiamo Davide:
– Hai presente I duellanti?
– Il paesaggio finale?
– Proprio quello. Keith Carradine e Harvey Keitel. La vita, la morte e sullo sfondo la campagna. L’idea stessa di campagna in autunno…
Raggiungo Stefano, un uomo che ha un’idea molto precisa della campagna. È un agricoltore a tutto tondo: la sua azienda è un armonioso sistema biodinamico, dove la vigna dialoga con l’orto, la cucina con la stalla.
Due ragazzi caricano sul furgone alcuni sacchi di bucce di Dolcetto. Stefano le ha accuratamente preparate per Luigi – Gino per gli amici – il mastro distillatore protagonista della puntata. La sua grappa è eccezionale, unica in Italia e naturalmente nel mondo.
Per Luigi Veronelli – anche lui Gino per gli amici – la migliore di tutte.
Gino è un artigiano nel senso profondo del termine. Un uomo che trasforma se stesso mentre modifica la materia che lavora. Solo che il distillatore non ha niente in mano. La grappa è un’idea, un soffio d’aria, un sogno che solo i maestri riescono a racchiudere in bottiglia.
La distilleria è la sua bottega, un luogo che si è cucito addosso stagione dopo stagione. La mette in funzione poco più di un mese all’anno – subito dopo la vendemmia – perché le vinacce devono essere lavorate quando sono freschissime. Alla fine di ottobre, Gino spegne il forno e pulisce gli alambicchi. Il resto del tempo è invecchiamento, assaggi, esperimenti, sviluppo di nuove idee.
La sua antica distilleria di Silvano d’Orba risale al 1848, ed era di proprietà della famiglia Lavagna. Assomiglia a una cascina, ma durante la distillazione si trasforma in un’officina meccanica, una fabbrica metallurgica.
Gino l’ha rilevata negli anni Settanta con un suo caro amico, compagno di lavoro e primo maestro distillatore. Lavoravano entrambi in porto, operai dell’Ansaldo. Hanno cominciato a coltivare l’idea di produrre grappa bevendo latte tra un turno e l’altro, per disintossicarsi dalle polveri delle saldature e dai fumi delle vernici. Volevano fare una grappa come nessuno l’aveva mai fatta, come i francesi nemmeno potevano immaginarla.
Il cuore pulsante della distilleria è il forno. Si carica dall’alto e l’interno è inclinato. Gino dice che l’ha progettato un genio. Il fuoco è l’anima della distillazione: tenere la fiamma sempre alta è un errore, così come tenerla sempre bassa. Distillare è come cucinare: la variazione termica è la prima regola.
Il fuoco parla. La sua voce un po’ grida e un po’ sussurra: cattura l’anima delle vinacce e le fa volare nell’alambicco. Spettacolo puro, fatto di profumi intensi, vapori, fuoco e fiamme. Distillare è un mestiere fisico, poco silenzioso e molto filosofico. La metafora di un viaggio, di una materia di scarto che da solida che diventa gassosa: aria che sfiora il cielo, cattura la perfezione e poi torna sulla terra come liquido prezioso.
Un’idea tutta italiana, terra di contadini, artigiani e artisti del gusto. Nata dalla necessità di non buttare via niente, nemmeno le bucce dell’uva.
Gino lavora con una tuta rossa indosso. Affiora da nuvole di vapore e aggancia all’argano un bancale di sacchi di vinacce. Poi sale le scale e rapidamente si porta al piano superiore, sul ponte di comando. Adesso è sopra la caldaia, vicino ai suoi alambicchi discontinui a bagnomaria. Rompe i sacchi e affonda le mani nelle vinacce. Noto i raspi, che Stefano ha accuratamente lasciato perché la massa non sia troppo compatta. Poi chiude i portelli, toglie i fermi e ricomincia il lavoro. Scende le scale e ricontrolla la fiamma. Adesso è bassa. Prende le vinacce esauste e le dispone nella parte superiore del forno. Comincio a capire la ragione del piano inclinato. Man mano che si asciugano, lui le fa scivolare verso la fiamma. Intanto prende dei legni di quercia e ravviva il fuoco. Infine risale, si accuccia accanto agli alambicchi. Si toglie i guanti, comincia a toccare.
Non vedo strumenti in giro: Gino sfiora il collo di cigno, accarezza le serpentine che lavorano racchiuse nel grande cilindro di rame. La distillazione è un processo creativo che si realizza in tempo reale. Ogni istante è determinante. La perfezione si nasconde in una sequenza infinita di gesti e di scelte. Guizzi d’intelligenza.
Dopo la distillazione, la grappa di Gino invecchia quattro anni in botti di acciaio, poi viene filtrata in pieno inverno, perché sia il freddo a renderla trasparente.
Una parte della produzione diventa invece Riserva e invecchia anche trent’anni in botti di rovere. La cantina di Gino è una galleria di legni nobili che hanno affinato grandi vini come il Barbaresco, whisky scozzesi e rum delle Antille.
Ognuna di queste botti è un libro che racchiude un racconto in evoluzione. Gino spilla per noi un po’ di grappa del ’77 e dell’82. Preferisco l’82. Questione di legno: il ’77 abitava la casa di un whisky, mentre l’82 quella di un vino.
Mi domando perché da noi sia tanto di moda il whisky mentre in America e nelle terre di Albione circoli poco la grappa. Un tempo, Luigi Veronelli, scriveva così: La grappa, inventata per alleviare la fatica dei contadini e che io chiamo sangue di fuoco, è per noi italiani un vero e proprio “morso di vita”. M’auguro che lo diventi per gli uomini d’ogni parte del mondo.
Bene, ora è tempo di andare: ci aspettano altri paesi e altri paesaggi. Venite a Silvano d’Orba, nell’Alto Monferrato; ma non come turisti, mi raccomando, come ospiti!
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