Oggi siamo in Calabria. Il paese è Reggio, il paesaggio: la costa dello Stretto. Le coordinate geografiche sono 38°6’ Nord e 15°38’ Est.
Partiamo da Spìlinga, dove abbiamo appena terminato le riprese di una puntata sulla nduja. In tutta fretta ci mettiamo in marcia verso sud, dove racconteremo la storia di una signora – innamorata della sua terra – che realizza piccole opere d’arte con il cioccolato e i frutti della Calabria. L’arte del cioccolato richiede calma e pazienza, noi invece ci stiamo muovendo freneticamente. L’aereo di Davide partirà nel primo pomeriggio e abbiamo poche ore a disposizione.
Dopo qualche chilometro squilla il telefono: è Davide. Ha dimenticato i documenti in albergo a Tropea e deve tornare a prenderli. Ci fermiamo, discutiamo, cerchiamo di prendere una decisione. Alla fine estraggo dallo zainetto la sceneggiatura, la leggiamo a voce alta, con la matita segniamo la successione delle riprese. Poi la consegno a Massimo, il nostro regista, e osservo i miei amici ripartire. Anch’io risalgo in macchina, ma con tutta calma; movimenti lenti, un accenno di sorriso agli angoli della bocca. Di colpo, il regalo di un improvviso rallentamento: il piccolo contrattempo mi ha offerto l’opportunità di gustare nuovamente questi luoghi.
Avevo già percorso la discesa verso Tropea, ma di notte. Adesso il sole di spalle si stende sul mare: a ogni curva uno scorcio diverso, a poco a poco sempre più ravvicinato, come un lungo piano sequenza verso l’attore protagonista. Questo è il Mediterraneo dei Greci e dei loro dèi, abitatori di spiagge, sorgenti, boschi e fiumi che ancora conservano il ricordo del mito. L’eco di racconti omerici mi accompagna mentre recupero i documenti di Davide e risalgo la china, lasciando questa volta il mare alle spalle e procedendo in controluce verso la cima del monte. Poi la strada spiana e attraversa i campi dell’interno, ordinati e ben coltivati, delimitati con regolarità da muretti a secco. Infine la valle degli agrumi, la distesa degli oliveti e di nuovo il mare. La Sicilia è là a un passo, appoggiata alla linea ravvicinata dell’orizzonte: seguo il litorale dello Stretto e dopo poco entro in città.
Cerco Massimo e Davide e il resto della troupe sul lungomare, ma non vedo nessuno. Al telefono mi segnalano una strada di riferimento, ma il navigatore non la trova e continua a rimandarmi a Tropea. Allora mi fermo e domando a una giovane mamma. La sua risposta è una risata gioiosa.
– Viene da fuori, vero?
– Sì
– Allora non sa che noi reggini non conosciamo le vie della nostra città. Cioè, conosciamo le vie, ma non sappiamo i nomi…
– Però il lungomare è questo?
– Certo, da qui a laggiù…
Parcheggio l’auto e cammino, da qui a laggiù. Fa molto caldo, ma la brezza distesa è piacevole. La passeggiata è affollata di giovani coppie, famiglie con i passeggini, bambini che si rincorrono, cani che abbaiano, gelati che sgocciolano. In mezzo a loro c’è Davide, con la sua sedia.
Su questa spiaggia giungono i venti del sud: rocce tirreniche e morbidezze ioniche, profumi d’agrumi maturati al sole del Mediterraneo, il respiro antico di una terra abitata dagli dèi…
I bambini vogliono farsi fotografare con lui. Il tempo di un’ultima battuta, poi chiude la sedia e s’incammina verso la spiaggia e il mare. Quando ha i piedi completamente immersi nell’acqua, Massimo grida «stop!» e siamo pronti per andare nel laboratorio di Cristina, la signora del cioccolato. Cristina ha insegnato inglese per tutta la vita. Poi, quasi per caso, ha scoperto il mondo del cioccolato.
– Qui in Calabria abbiamo il culto della pasticceria – mi confida con un sorriso – ma non la cultura del cioccolato.
In questa terra così calda è l’unica vera cioccolatiera, al tempo stesso artigiana e artista. Ma la sua non è una sfida, piuttosto una scelta d’amore. Nel suo piccolo laboratorio realizza specialità uniche; ogni pralina racconta un angolo di Calabria, racchiude un sapore, esprime un’emozione.
Il cioccolato finissimo si unisce alle eccellenze della terra: ne esalta i frutti, le spezie, gli aromi. Il cioccolato è un alimento vivo, che si modifica a seconda dell’umore di chi lo lavora.
– Certe giornate – dice Cristina – sono nervosa e vado di fretta. Allora è meglio smettere. Il cioccolato non si può lavorare senza calma.
Al suono delle sue parole mi accorgo che nel laboratorio è calato un silenzio di rispetto e di attesa. Un altro regalo della giornata: tempo che scorre lento, le voci della città chiuse fuori. I gesti di Cristina sono brevi ed esatti: piccole azioni precise, come una collezione di attimi.
Sul banco, la prima cosa che noto è una livella.
– È per te – dico a Marco il nostro operatore – per mettere in bolla la telecamera.
Non immaginavo che servisse per mettere in bolla il cioccolato. Cristina realizza sotto i nostri occhi delle uova di cioccolato fondente con il guscio intarsiato come un merletto. Un ricamo di cacao che poggia su una base perfettamente piana. Poi, come se non bastasse, realizza altre uova più piccole e di colori diversi, con cioccolato bianco e al latte, che s’inseriscono le une nelle altre come sculture. Ci vuole tempo, esperienza e pazienza per imparare a fare tutto questo. Cristina ha covato la sua passione al fuoco lento della vita. Però, osservandola lavorare, rivedo l’insegnante attenta e scrupolosa che deve essere stata, la donna sensibile e tenace. Riaffiora nell’accuratezza con cui dispone gli oggetti, nell’ortogonalità delle pieghe, nel raggio di curve mai solo abbozzate. La livella è lì, sul banco della cioccolatiera com’era la matita sulla cattedra dell’insegnante. Non ama parlare mentre lavora. Si vede che è una donna in cammino: ogni tocco delle dita un passo lungo la via. A un tratto mi spiega che il cioccolato è un mondo a parte, una sorta di piacere assoluto che coinvolge tutti i sensi. C’è la lucentezza da osservare e la sericità della materia da sfiorare, una compattezza che quando si spezza parla ed emette un suono inconfondibile. Il cioccolato è anche da odorare: miscela di profumiche dalla natura vanno fino alla tostatura. Quando infine si gusta, i sensi sono già sazi.
Ma per Cristina il cioccolato è solo la base, lo strumento di lavoro. È lo scrigno dove conservare i frutti migliori della Calabria. Sul banco dispone le materie prime e alcuni cioccolatini: cremini al bergamotto, praline con gelatina di zagara, scorzette di arancia accarezzate da un velo di cioccolato fondente… Hanno i nomi degli dèi, perché questa era la loro terra e il cioccolato il loro cibo. Efesto ha una goccia di peperoncino, Orfeo la pasta di mandorle e il bergamotto, Dioniso racchiude una gelatina di vino speziata in cioccolato fondente e Ganimede una composta di mele cotogne e zenzero fresco. Un mondo di delizie che improvvisamente diventano ancora più buone.
Sulle pareti del laboratorio, accanto alle vetrine dove sono esposte le confezioni con le opere di cioccolato, vedo alcune immagini di Cristina circondata di bambini. Sorridono tutti, anche se non sono felici. Sono bambini del Madagascar, che Cristina aiuta da anni attraverso un’associazione di padri gesuiti.
– Vedi Luca – mi confida – io ho la mia pensione di insegnante e questo lavoro è solo una passione. Ho aperto il laboratorio perché il ricavato andasse a quei bambini. La bontà non è un concetto astratto. Per questa signora del cioccolato va molto oltre il piacere delle sue praline.
Bene, ora è tempo di andare, ci aspettano altri paesi e altri paesaggi. Venite a Reggio Calabria, sulle rive dello Stretto; ma non come turisti, mi raccomando, come ospiti.
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