31 marzo 2016 - La birra delle Fiandre piemontesi.

Oggi siamo in Piemonte. Il paese è Marentino, il paesaggio le colline torinesi. Le coordinate geografiche sono 45°3’ Nord e 7°52’ Est.

Il nome è dolce. Marentino: piccolo mare di rilievi verdeggianti, dove tra ciuffi di bosco, greti di fiume e campi coltivati, spuntano tetti di case, pietre di castelli, insegne di osterie.

Ci troviamo a trecento metri sul livello del mare, una ventina di chilometri da Torino. Sotto di noi c’è la Pianura Padana; sopra, le cime dell’arco alpino. Una vista che immagino suggestiva, oggi un po’annebbiata dalla foschia.

Dovrebbe alzarsi un filo d’aria per pulire il cielo, ma quando il nostro piccolo drone si alza in volo, le montagne restano nascoste dietro un cielo bianco verticale, come una tenda. Giornate piemontesi, soleggiate eppure in ombra. Questa è una terra generosa e riservata, che va presa al momento, cogliendo il buono di tutto.

Raggiungiamo il punto più alto del paese: la Chiesa dell’Assunta, costruita sui resti dell’antico castello feudale dei Beccaria. Di quell’impianto difensivo medievale rimane la posizione di dominio e il possente campanile che un tempo era la torre del castello. Tra un decollo e un atterraggio del drone, che in andata scruta il paesaggio e al ritorno insegue Davide con la sedia in spalla, leggo un cartello turistico posto sull’edificio sacro. Scopro che nella chiesa è custodita una grande pala d’altare, copia dell’Assunta di Guido Reni. Mi riprometto di tornare. A Marentino non ci sono le montagne da vedere.

Lasciamo la cima del colle e scendiamo in paese. Qui a Marentino, forse in onore del silenzio piemontese, hanno deciso di far parlare i muri. Se avete un po’ di tempo libero, fermatevi a guardare le facciate delle case. Ci sono tanti rebus da risolvere: decori intriganti, di un’allegria un po’ dimessa, non troppo giovane. Colori tenui e figure d’altri tempi, con scorci mitologici incastrati nelle abitazioni di città anni Sessanta, dettagli di libri e locandine di cinema, chiese e frutti dei campi. Un mondo di parole piane e sdrucciole, sillabe che s’incastrano tra loro e con l’aiuto di qualche lettera formano frasi inutili, ma di senso compiuto.

«Brocca pieNA di viNO!» esclamo avvicinandomi a Davide.

Lui sorride. Sta cercando di risolvere un altro rebus con le stelle al posto delle lettere.

Questo è difficile. Però sullo sfondo del dipinto ci sono le montagne innevate. Ecco l’arco alpino che si nascondeva dietro il cielo! Lo faccio notare a Massimo, il nostro regista, che s’illumina e inquadra il dettaglio. Non sopporta che io scriva qualcosa nei testi che poi lui non riesce a riprendere nella realtà.

Noi però non siamo venuti per risolvere rebus, ma per conoscere Valter, uno dei più qualificati e interessanti mastri birrai italiani. Un artigiano tanto piemontese da sembrare quasi belga.

In Italia sono nati negli ultimi anni tantissimi microbirrifici e nel paese del vino si è diffusa la cultura della birra. Però non esiste un altro birraio come Valter.

Ha cominciato a produrre per passione, poi è nata una professione. Voleva recuperare l’antica tradizione delle Fiandre, dove le birre si producono in famiglia, seguendo ricette che si tramandano da generazioni. Valter ha incontrato quel mondo in via d’estinzione e lo ha messo in contatto con la nostra cultura contadina del vino. Le sue birre nascono dal legno, dalla frutta, dalle spezie, rielaborando e rinnovando antiche ricette.

Sono tutte birre sour, cioè acide: proprio come il vino. Valter ha cominciato subito a lavorare con fermentazioni spontanee, inoculo di lieviti selvatici, passaggi in legno, utilizzo di frutta e spezie locali, uva e mosti; poi, dopo anni di sperimentazioni, ha cominciato a vincere premi e a ricevere ordini da tutto il mondo.

È interessante notare come noi italiani – così abituati all’acidità del vino – associamo il gusto della birra all’amaro del luppolo. E infatti, le birre acide di Valter sono apprezzate soprattutto all’estero. Il suo Piemonte sour è sbarcato negli Stati Uniti, in Scandinavia, Gran Bretagna, Belgio, Danimarca, Scozia, Irlanda, addirittura in Australia.

In Italia, le birre di Valter sono ancora un piccolo rebus. Per apprezzarle, bisogna conoscerle e capirle.

«Certo che hai fatto una scelta radicale!» gli dico in una pausa di lavorazione.

Lui mi guarda con un sorriso timido.

«Voglio dire, solo birre speciali, addirittura specialissime, con prodotti di stagione…»

Valter mi versa un goccio di birra al cardo e sorride ancora. Prende fiato, beve.
«È vero» dice infine «Mi sono imposto fin dall’inizio di vivere delle produzioni di nicchia».

«Potresti fare anche tu una birra tradizionale, da servire ghiacciata con la pizza, piena di buoni luppoli tedeschi».

«Potrei, ma non avrebbe senso. Non per me».

Ancora una volta mi lascio affascinare dalla mente dell’artigiano, che percorre sempre la strada che ha in mente. Artigiano e artista: un confine labile, indefinibile e sfumato. Si lavora per vivere, ma è il lavoro che dà la vita. E quando si lavora per gli altri, e sempre per sé stessi che ci si mette all’opera.

Artigiani e artisti: beni culturali viventi, come li chiama Davide nei suoi corsi all’università.

Proprio Davide si avvicina a noi e sorseggia una birra scura, fatta di spezie e caffè. Insieme a Valter scorriamo l’elenco delle ricette che negli anni ha faticosamente perfezionato. Accanto ai due tini di rovere delle fermentazioni naturali, ci sono circa duecento ettolitri di birra che affinano nel legno per mesi e mesi, anche più di un anno.

La produzione di Valter è scandita dai tempi della natura e dalle maturazioni delle materie prime che sono sempre tipicità piemontesi: uve Barbera e Nebbiolo, susine damaschine, albicocche, cardo, timo serpillo, e poi caffè, china calissaia, rabarbaro, genziana, zafferano…

Il luppolo nobile è opportunamente invecchiato, in modo che perda le proprietà amaricanti e possa essere utilizzato solo come conservante naturale.

«La birra si fa con il malto» ribadisce Valter «non con il luppolo».

Tutte queste birre sono piccole opere d’arte, realizzate a mano da Valter. E anche le etichette sono disegnate da lui. Il mastro birraio apre la cartella dei lavori, prende alcuni fogli bianchi e una scatola di matite colorate. Sotto l’occhio ravvicinato dell’obiettivo accenna il delineo di alcune delle sue figure tipiche. Con un segno molto personale, ironico e lieve, ripropone le raffigurazioni di affreschi medievali, con i prodotti della terra e i personaggi della cultura del tempo.

Contadini, monaci, dame, cavalieri… Ogni birra un’immagine, ogni sorso una storia.

Bene, ora è tempo di andare, ci aspettano altri paesi e altri paesaggi…

Venite a Marentino, sulle colline torinesi; ma non come turisti – mi raccomando – come ospiti!

Clicca qui per leggere l’articolo pubblicato su mentelocale.it

 


| realizzato da panet.it |  | ©2008 Luca Masia |