23 febbraio 2015 - Il vino del lago.

Oggi siamo in Trentino, sulle rive del Lago di Cavedine; il paesaggio è quello della Valle dei Laghi. Le coordinate geografiche sono 46°1 Nord e 10°56’ Est.

Non ero mai stato nella Valle dei Laghi e non avevo mai bevuto il Vino Santo trentino, una specialità che spesso viene confusa con il Vin Santo toscano. Sono mondi diversi e bisogna conoscerli entrambi per apprezzarli.

Partiamo da Trento al mattino presto e in poco più di mezz’ora arriviamo a destinazione. Mentre guido penso ai cartoni animati della mia infanzia e a un gruppo di giovani dinosauri che varcava i confini del mondo ghiacciato per andare alla ricerca della valle incantata. Noi non siamo giovani dinosauri, però come loro sgraniamo gli occhi quando usciamo dalla galleria e ci troviamo sul Lago di Toblino. L’impressione è proprio quella di essere finiti nella valle incantata: un luogo nascosto e magico, incassato tra le montagne, protetto dei venti e dal gelo.
Scivoliamo rapidi lungo la sponda occidentale del lago per risalire subito dopo la riva opposta del lago di Cavedine. Nonostante la promessa di un microclima mediterraneo, oggi fa piuttosto freddo; così ci ripariamo volentieri nel bar di Giuseppe, il protagonista della puntata.

Siamo in un’azienda agricola che è cresciuta attorno al bar, un locale che è innanzitutto un luogo di ritrovo e di condivisone. Qui si parla, ci si conosce, si discute delle cose della vita mentre si gustano i cibi locali, si beve il vino della casa e si assaggiano quelli della concorrenza, perché dagli altri c’è sempre qualcosa da imparare.
Il motto di famiglia è vivere in piccolo per pensare in grande, una filosofia che è un misto di pazienza, casualità e forza del destino. Un sorso di Vino Santo si beve in un attimo, ma per produrlo occorrono mesi di lavoro, giornate intere spese a curare i dettagli di una lavorazione che richiede esperienza e sensibilità.

Per raccontare la storia del Vino Santo occorre andare indietro nel tempo di circa un secolo, quando la generazione dei nonni di Giuseppe viveva in montagna, sui rilievi delle Dolomiti di Brenta e del Monte Bondone. Luoghi con molte difficoltà e poche opportunità. Spinte dalla necessità, quelle famiglie migrarono verso il basso e scoprirono questa terra, dove ciò che si seminava si raccoglieva. Patate, verdure e anche uva: poi la scoperta della Nosiola – il vitigno autoctono – e l’inizio di una produzione che sarebbe diventata un’eccellenza locale.

Dopo la vendemmia, i grappoli vengono messi ad appassire sulle arele, i graticci dove
restano per mesi all’aria aperta e attendono la formazione delle muffe nobili. Decidiamo di iniziare il filmato proprio dai grappoli. Giuseppe ci fa strada. Si parte sempre dal bar, poi si gira intorno al cortile costeggiando l’orto, si entra in cantina e si prende la scala sulla destra per salire in cima alla casa. La Nosiola matura nella vigna, ma è nel sottotetto che diventa Vino Santo. Sulle arele, i grappoli restano da autunno a primavera. Devono stare in alto, dove gira l’aria e non ristagna l’umidità.

Ogni giorno, nella Valle dei Laghi, si alza l’Ora del Garda, un vento pomeridiano asciutto e temperato che per il vignaiolo ha del miracoloso. Solo qui, grazie a questo vento, si creano le condizioni naturali ideali perché si sviluppi la botrytis cinerea, la muffa che provoca la dispersione dell’acqua e la concentrazione degli zuccheri.
Mentre Massimo posiziona le luci e la telecamera, Giuseppe ci mostra i grappoli che stanno appassendo. Si china su di loro e quasi li accarezza. Cogliamo l’attimo e realizziamo una serie di immagini molto suggestive: dettagli ravvicinati di bacche ancora gonfie con la buccia verde smeraldo, e altre via via sempre più piccole e raggrinzite, come le guance di un vecchio, con tutte quelle sfumature che dal verde scuro vanno all’ocra e al marrone quasi nero. È incredibile quanta bellezza possano racchiudere gli acini d’uva ben illuminati e fotografati. Diceva bene Soldati: «il vino è la poesia della terra».

Giuseppe lascia fare alla natura e aspetta che arrivi la Settimana Santa. Gli faccio notare che Pasqua non cade sempre nello stesso giorno.
– È vero, – dice lui, – però io ho sempre pigiato l’uva nella Settimana Santa e non ho
mai sbagliato.
Dopo la pigiatura, il mosto fermenta almeno tre anni, poi invecchia in botte altri quattro o cinque anni prima di essere imbottigliato.

Torniamo nel bar e scegliamo un tavolo d’angolo, reso ancora più accogliente dal tepore della stube. Davide e Giuseppe iniziano una lunga serie di degustazioni, sotto l’occhio vigile della telecamera. Cominciano con una bottiglia del 2000 e avanzano indietro nel tempo fino agli anni ottanta. Una volta in bottiglia, il Vino Santo sfida il destino e diventa quasi eterno.

Per noi invece è tempo di uscire: ci aspettano le riprese in esterni. Iniziamo con l’arrivo di Davide sulle rive del Lago di Cavedine. Come al solito blocchiamo il traffico, ma gli automobilisti di qui sono persone tranquille e curiose; ci guardano pazienti mentre osservano immobili i nostri gesti, qualcuno sorride e chi è proprio in ritardo fa retromarcia e prosegue verso altre strade.
Noi riprendiamo il cammino e saliamo su una bella terrazza con le vigne di Giuseppe. Davide posa la sedia; alle sue spalle fa da sfondo una parete di roccia verticale. La luce di mezzogiorno la rende dorata, come venata di alabastro. Giuseppe mi fa notare uno sperone subito sotto la cima boschiva del monte. È il punto dove gli appassionati di volo libero si ritrovano per tuffarsi nel cielo. Mi racconta che spesso, alla fine dell’estate, quando lavora in vigna tutto il giorno, sente il puff di un paracadute che si apre. Allora, per un istante, interrompe l’attività e segue con lo sguardo il movimento lento e
ondeggiante del pallone che scende verso terra.
– È un suono lieve e allegro, – dice. – Inconfondibile.

Diamo un’ultima occhiata allo strapiombo, poi ci dirigiamo verso il castello di Toblino. L’acqua è ferma come al mattino, i canneti immobili sulle rive del lago. Ci sono dei cigni, delle anatre. Alcuni turisti passeggiano silenziosi, incuriositi da noi e dalla nostra sedia, quella che Davide porta con sé per sentirsi ovunque come a casa.
Fotografo da diverse angolazioni il monte Bondone che si specchia nell’acqua. Una, due, tre volte… poi qualcosa cambia impercettibilmente. Stacco l’occhio dalla macchina fotografica e allungo lo sguardo sul paesaggio. Quando torno a guardare nel mirino, il monte è scomparso.
– È pomeriggio, – dice Giuseppe, – si è alzata l’Ora.
In pochi minuti, l’acqua del lago si è increspata e agitata. Le anatre sono volate via, i
canneti si scuotono e si piegano, come volessero bere. Anche oggi, sulle arele, gli acini di Nosiola faranno un buon appassimento. Per noi, invece, l’arrivo dell’Ora del Garda segna l’ora di andare, verso nuovi paesi e paesaggi.

Venite in Trentino, nella Valle dei Laghi, ma non come turisti – mi raccomando – come
ospiti!

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