9 marzo 2014 - Il richiamo del vitello.

Oggi siamo in Puglia. Il paese è Rignano, il paesaggio quello del Gargano.
Abbiamo appena trascorso una notte quieta a San Giovanni Rotondo, sotto lo sguardo benevolo di Padre Pio. Saliamo in macchina e percorriamo la strada in discesa verso Rignano parlando del santo e dell’industria diffusa che si è sviluppata nel suo nome.

Naturalmente sbagliamo strada e scendiamo sul Tavoliere. Poi svoltiamo e chiediamo indicazioni a un gruppo di contadini rumeni; infine proseguiamo sulla linea di confine tra la pianura e la montagna.

La nostra auto è un puntino rosso che scorre sul quadrante del navigatore e disegna una traiettoria che sembra immaginaria. Non capita spesso d’incontrare una montagna appoggiata direttamente sulla pianura. Il Gargano è così: un grande masso precipitato dal cielo su una piana infinita.

Dovremmo cominciare a salire per raggiungere Giuseppe, il protagonista della puntata, ma non troviamo il punto esatto. Allora andiamo avanti e indietro lungo la provinciale, con la parete di roccia verticale da un lato e l’orizzonte dei campi dall’altro. Ci sarebbe da perdere la pazienza, ma noi restiamo calmi, tenacemente concentrati nella ricerca del tabaccaio.

«Andate avanti ancora un po’» ci aveva detto al telefono Giuseppe. «A un certo punto incontrerete un gruppo di case; vedrete il Consorzio Agrario e un tabaccaio. Allora girate a sinistra e cominciate a salire. A metà di uno dei tornanti vedrete un tratturo che porta alla masseria».
Massimo accelera. Forse il richiamo del tabaccaio.

Quando finalmente mettiamo la freccia e cominciamo a salire realizziamo che si è fatto tardi. Le capre devono uscire per andare al pascolo e il casaro deve lavorare il formaggio.

Massimo accelera ancora, mentre entriamo in un altro mondo, insospettabile dal basso: il regno di Giuseppe, delle sue vacche podoliche, delle sue capre garganiche e dei suoi ulivi. Tra le rocce aspre si apre una distesa lieve punteggiata di ulivi. I tronchi, grossi e nodosi, sono tutti marchiati. Sono ulivi secolari, registrati come opere d’arte firmate dalla natura. Da proteggere e tutelare. Saranno centinaia…

«Quasi cinquecento», mi confessa con orgoglio Giuseppe, mentre ci stringiamo la mano davanti alla sua masseria. L’edificio risale alla fine del Settecento ed è un modello perfettamente conservato di cultura contadina, con gli spazi di vita e di lavoro ben organizzati attorno a una grande corte centrale. Sulla facciata noto una strana torre a tronco di piramide che sovrasta un’ampia stanza.

«Cos’è?» domando incuriosito.
«Si chiama ‘papaglione’. È la volta della stanza dove la famiglia si riuniva la sera e dove si svolgevano molte delle attività di casa; al centro si accendeva il fuoco e il papaglione faceva da canna fumaria».

Tra poco Davide camminerà tra questi ulivi e metterà la sua sedia al centro del pascolo. Troverà un luogo di convergenze energetiche, dove i raggi del sole incroceranno i rami degli alberi e le corna degli animali.

Dirà che «questo è un territorio montuoso di origine carsica, coperto di ulivi secolari e prati dove pascolano mandrie di vacche podoliche e capre garganiche…».
Uno spettacolo da non perdere. L’idea stessa di armonia; una visione di bellezza quasi selvaggia dove ogni cosa assume una forma ideale e occupa un posto preciso.

Ma non c’è tempo da perdere. Al pascolo andremo dopo, adesso ci aspetta il casaro. Il latte è stato munto all’alba e deve essere lavorato prima che sia troppo tardi. Il caciocavallo è un formaggio a pasta filata che si maneggia come la creta e non deve essere né troppo molle né troppo duro. Il fuoco di legna arde nel camino dove un paiolo di rame resta sospeso sulla fiamma grazie a un antico sostegno in ferro battuto. Il casaro modella la forma con gesti lenti e misurati. È padrone del suo tempo.

Davide guarda il lavoro dell’uomo, un po’ artigiano e un po’ artista. Infine esclama: «Il caciocavallo di Giuseppe è prodotto in maniera rigorosamente tradizionale, con il latte scaldato al fuoco di legna d’ulivo e lavorato con strumenti artigianali. Ogni forma è un’opera d’arte, modellata dalla mano del casaro. Basta guardarla per sapere chi l’ha creata!»

Giuseppe non è nato contadino e ha studiato all’università. Pensava di dedicarsi alla ricerca e all’insegnamento; invece è tornato alla masseria di famiglia per allevare le razze tipiche della sua terra.
Nel corso degli anni, la vacca podolica e la capra garganica si erano quasi estinte, uccise dalla casualità degli incroci o dal miraggio del guadagno.
La vacca podolica è infatti una razza molto rustica e di grande qualità, ma poco redditizia.

Delle due mungiture quotidiane, una è riservata al vitello mentre l’altra avviene solo in sua presenza.
Proprio così: niente cucciolo, niente latte! E allora, ogni giorno, è tutto un concerto di affettuosi richiami all’interno della mandria, con i vitellini che corrono in cerca della propria madre. Mi racconta Giuseppe che solo il casaro può mungere le mucche, e quando per disgrazia uno dei piccoli muore oppure è malato, è sempre lui che si avvicina alla madre simulando i versi del figlio, magari indossando una pelle di vitello per recitare meglio la parte.

Difficile pensare ad una produzione intensiva in queste condizioni. Il rispetto della natura, dei suoi tempi e delle sue regole sembra spesso una scelta anacronistica, e invece è l’unica che dovrebbe essere considerata possibile.
Giuseppe lo insegna. In questo, è diventato un bravo docente.

Nella sala da pranzo della masseria, ricavata nei locali dell’antico frantoio, abbiamo allestito un tavolo con una selezione di formaggi. Lo portiamo nella corte, dove la luce del tramonto è in magico equilibrio tra il giorno e la notte.

Davide assaggia il cacioricotta, un’altra delizia di questa terra che si produce con il latte di capra garganica. Formaggio e ricotta insieme, da gustare fresco oppure stagionato. Davide si tuffa nel vortice dei sapori, un esercizio fisico e mentale che gli riesce benissimo. Quando riemerge esclama: «Piccole forme che sembrano sculture di neve…».

Allora, quando venite nel Gargano ricordatevi di abbracciare i tronchi di questi ulivi; hanno secoli di storie da raccontare a chiunque abbia tempo e voglia di ascoltare. Ricordatevi anche di accarezzare le corna delle vacche podoliche e delle capre garganiche; sono le regine di questi pascoli, sospesi su grotte preistoriche e sentieri nascosti che vi porteranno vicino al centro della terra, per poi condurvi a riveder le stelle.

Nel pomeriggio, guidato dagli amici del gruppo speleologico, mi sono avventurato in una di queste cavità. Giù in fondo, tra colate di stalattiti ed erezioni di stalagmiti, c’erano anche i pipistrelli. Erano puntini neri appesi al soffitto.
«Non facciamo troppa luce», aveva detto una delle guide. «E parliamo piano; se li svegliamo muoiono…».

Bene, adesso è tempo di andare; ci aspettano altri paesi e altri paesaggi.
Venite anche voi nel Gargano, ma non come turisti – mi raccomando – come ospiti!

Clicca qui per leggere l’articolo pubblicato su mentelocale.it


| realizzato da panet.it |  | ©2008 Luca Masia |