4 febbraio 2016 - Il prosciutto di San Daniele Dok.

Oggi siamo in Friuli Venezia-Giulia. Il paese è San Daniele, il paesaggio l’Anfiteatro morenico friulano. Le coordinate geografiche sono 46°9’ Nord e 13°0’ Est.

Eravamo già stati qui, per parlare delle acque limpide del Tagliamento e delle sue trote. Ma questo antico borgo, arroccato su un colle tra le montagne e il mare, ha ricevuto in dono dalla natura anche l’aria. Ed è proprio la qualità dell’aria che rende unico il prosciutto crudo di San Daniele Dop.

Davide e io veniamo da Udine e procediamo lentamente sulla statale. Con noi c’è anche Daniele, suo figlio, un ragazzone di vent’anni con la passione per il cinema e la recitazione. Ha già lavorato con registi importanti e adesso è intrappolato in una lunga serie televisiva per la Walt Disney. Appena ha un giorno libero si aggrega a noi e diventa uno di Paesi, paesaggi.
– Sei contento di andare nella tua città? – gli domando.
Lui sorride e non risponde. Uguale al padre.
Cambio discorso e ragiono a voce alta sulla conformazione del territorio. Immaginate una pianura con a sud il mare e a nord le montagne. Da un lato le correnti d’aria calda e umida accompagnate da temperature miti, dall’altro i venti freddi e secchi, con un clima rigido. In mezzo San Daniele, in cima a un colle proprio di fronte all’anfiteatro morenico. Il Tagliamento attraversa la regione e collega i mondi di sopra e di sotto come un enorme convettore naturale che rimescola l’aria e produce frequenti sbalzi termici e variazioni climatiche. Come già abbiamo imparato con altri cibi – ad esempio l’uva e il peperoncino – anche la coscia di suino ha bisogno di caldo e di freddo per invecchiare bene e trasformarsi in prosciutto di qualità.

Entriamo in paese e passiamo davanti al cartello di benvenuto.
– Hanno messo anche un’insegna in tuo onore – dico a Daniele.
– Qui mi sento come a casa! – esclama con un sorriso. Davvero uguale al padre. Parcheggiamo accanto al Duomo, poi beviamo un caffè al bar di fronte e giriamo le prime inquadrature dietro la Chiesa di Santa Maria della Fratta. Lì c’è un bel giardino pubblico, con una vista magnifica sulla piana.

Il prosciuttificio di Carlo – il protagonista della puntata – è laggiù, poco distante. Si chiamaDok, un acronimo che deriva dai nomi delle precedenti aziende del padre e ricorda la denominazione di origine controllata. Uno spazio moderno, ma realizzato con molta attenzione ai dettagli del tempo. L’esterno, ad esempio, è tutto rivestito con antiche liste di legno e anche all’interno i tavoli sono realizzati recuperando le assi del precedente prosciuttificio. Ci sediamo a uno di quei tavoli e cominciamo a chiacchierare con Carlo, che ci racconta la storia della sua famiglia. Intanto mi guardo intorno e noto prosciutti ovunqueappesi a invecchiare e arredare al tempo stesso.
– Il prosciutto sta bene dove stiamo bene noi – dice Carlo – Puoi metterlo anche in salotto, sopra la televisione. È fatto solo di carne, con un po’ di sale.

Ribadisce il concetto chiave che la qualità del prosciutto crudo nasce dalla qualità del suino. Lui ha raccolto l’eredità del padre e ha cominciato a viaggiare in lungo e in largo per l’Italia, la Spagna e la Cina, che a sorpresa scopriamo essere un grande e eccellente produttore di prosciutto. Nel corso degli anni ha selezionato i migliori allevamenti e ha investito nella qualità, compiendo una scelta radicale: è uscito dalla grande distribuzione, ha ridotto le quantità e ha aumentato l’invecchiamento, realizzando delle vere e proprie verticali di prosciutto crudo che dai tradizionali dodici o diciotto mesi, esplorano i mondi dei due, tre, quattro, addirittura cinque anni.

Per capirci qualcosa, dobbiamo andare a scuola. Così indossiamo il camice e seguiamo il maestro nella sua prosciuttaia. È un gioiello, il luogo dove l’estetica incontra il gusto e gli antichi saperi dei maestri convergono nella moderna tecnologia. Dove prima c’erano grotte e assi di legno, adesso c’è vetro. Migliaia di cosce di suino invecchiano a vista in questa immensa sala dove la climatizzazione è controllata minuziosamente. Carlo ci ricorda che il prosciutto non è un insaccato e per affinare bene non ha bisogno di nebbie e cantine scavate nella roccia; al contrario gli occorrono aria e tempo.

La parola chiave è lentezza. Il tempo qui ha un grande valore e ogni giorno rende prezioso il prosciutto crudo di San Daniele Dop. Dalla stanza dell’affinamento passiamo a ritroso in quelle di lavorazione, dove le cosce vengono salate a mano, con sale marino pugliese Margherita di Savoia. Poi gli ambienti di prima stagionatura, dove uno speciale sistema di irrigazione inumidisce la sala a intervalli regolari. Prima di tornare ai tavoli della prosciutteria e imparare a tagliare a mano, Carlo ci fa notare una polvere giallastra che si è depositata a terra, sotto le forme.
– Sai cos’è questa? – mi domanda.
– Polvere?
– Non proprio: acari!
Lo guardo incuriosito. Lui mi spiega che gli acari sono uno dei tesori del prosciuttificio.
– Quando ci siamo trasferiti in questo nuovo spazio, abbiamo ricostruito tutto, tranne gli acari. Loro sono un prodotto della natura, capisci?
– No.
– Gli acari vanno sulla carne. Se ne cibano e sono i regolatori naturali del processo di invecchiamento. Poi cadono a terra e mi piace pensare che abbiano la pancia troppo piena e non riescano più a restare appesi!
– E come hai fatto a portarli qui?
– Sono venuti da soli. Adesso si trasmettono da un prosciutto anziano a uno più giovane e formano preziose colonie. Sono amici invisibili, una componente essenziale del microsistema di un prosciuttificio.
Pensavo che gli acari fossero dei nemici, ma capisco che non c’è peggior nemico della non conoscenza.

Raggiungiamo infine il tavolo predisposto per il taglio e la degustazione. L’allievo è Davide: lui lavora, noi osserviamo. Comincia subito a mettere il prosciutto nella morsa e impara che il coltello – lungo, flessibile e affilatissimo – deve essere solo appoggiato alla carne. Non bisogna spingerlo, ma accompagnarlo nel taglio. Le fette devono essere sottiliomogeneecon la giusta quantità di grassoognuna racchiude una storia e regala un’emozione.

L’ultimo passo è la degustazione. Per mangiare bisogna usare le mani, perché il cibo non si infilza, si accarezza. In genere, noi abbiamo i sensi addormentati e non ci accorgiamo più di nulla. Ma vi assicuro che messi lì sul piatto, uno accanto all’altro, quei petali di prosciutto crudo di 18, 24, 36 e 48 mesi sono come libri aperti. Li assaggi in silenzio, li assapori, ed è come leggerli. Li capisci. Non serve essere degli esperti. La bontà è dentro di noi, dobbiamo solo lasciarla parlare e imparare ad ascoltarla.

Bene, ora è tempo di andare, ci aspettano altri paesi e altri paesaggi.

Venite a San Daniele, nella patria del prosciutto crudo Dop (e anche Dok); ma con come turisti, mi raccomando, come ospiti.

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