23 novembre 2015 - I fagioli bianchi di Conio.

Oggi siamo in Liguria. Il paese è Conio, il paesaggio l’Alta Valle del Maro. Le coordinate geografiche sono 43°58’ Nord e 7°53’ Est.

Partiamo da Imperia e seguiamo la strada in salita. L’abbiamo vista sulla carta e non abbiamo dubbi. Qualche curva morbida: Davide accanto a me chiacchiera, racconta di nuovi progetti e idee che srotola tra le pareti boschive dell’entroterra, sempre più fitte a mano a mano che saliamo. Dietro di noi c’è la macchina di Gianluca, il nostro scenografo e arredatore: un uomo con il cervello nelle mani, a modo suo un genio capace di costruire pozzi di petrolio in miniatura con una manciata di fiammiferi.
Scolliniamo e qualcosa non torna.
– Ci siamo quasi, vero? – domanda Davide.
Io non rispondo, accosto e imposto il navigatore di cui pensavo di fare a meno.
– Credo che abbiamo sbagliato strada.
Proseguiamo dritti ancora un po’. Davanti al cartello di Vessalico ci fermiamo e accostiamo nuovamente.
– Abbiamo sicuramente sbagliato strada.
Esco dalla macchina e raggiungo Gianluca. Lui è molte cose insieme: uno scenografo – appunto – ma anche un pittore e un pilota di auto da corsa. Possiede un telefonino spettacolare che aggancia i satelliti come un cane affamato azzanna l’osso.
– Ho perso il segnale e siamo andati lunghi – dico per giustificarmi.
Gian non batte ciglio: i problemi sono opportunità. Ripartiamo, lui davanti e noi dietro. Attraversiamo una lunga cresta pianeggiante aperta su tutti i versanti. La giornata è magnifica e il paesaggio è nitido, come appena lucidato.

A un tratto, Gianluca imbocca una strada stretta in discesa. È molto bella, con l’asfalto autunnale coperto di foglie. È anche molto ripida.
– Questa strada non si fa col ghiaccio – dice Davide.
– Nemmeno con la neve – aggiungo io.
– In salita ci vuole la prima.
– Ma sarà la strada giusta?
È la strada giusta. Forse non la migliore, ma comunque giusta. Quando arriviamo ai piedi di Conio, Massimo è già al lavoro. Il nostro regista cattura scorci di vallate, tra olivi taggiaschi, terrazzamenti, sentieri impervi e case in pietra che sbucano dai boschi.

Giusi, la protagonista della puntata, ci accoglie in piazza. Altrove, in piazza avremmo bevuto un caffè, ma a Conio non c’è il bar. Non c’è nemmeno un tabaccaio per le sigarette di Massimo, che risale in auto e si avvia verso Borgomaro. Noi invece andiamo su al castello, per vedere dove gireremo la parte finale del servizio. Non bisogna immaginarsi un castello medievale fortificato, piuttosto una signorile dimora di campagna, proprio in cima al paese arroccato sul colle. La posizioneperòè degna di una fortezza.

– Bello vero – dice il figlio di Giusi avvicinandosi a me e indicando il paesaggio che si stende sotto di noi fino al mare.
– Bellissimo. Cercheremo di filmarlo come merita, appena torna Massimo.
Appena torna Massimo, cerchiamo invece di recuperare il tempo perduto e ci dirigiamo nei campi. Lasciamo le nostre macchine davanti al cimitero e saliamo sui mezzi dei padroni di casa: un ottimo sistema per non restare indietro e non sbagliare direzione, sui tratturi aspri dell’entroterra ligure. La giornata resta calda e luminosa, l’ideale per raccontare la storia del fagiolo bianco di Conio. Si tratta di una coltivazione antica che si pratica oggi come secoli fa. Poche famiglie di agricoltori locali tengono in vita una tradizione che è anche un tratto distintivo del territorio. Si sono riuniti in un consorzio di tutela e applicano un rigoroso disciplinare di produzione.

Si comincia a giugno, con la semina. Poi si tengono puliti i campi senza impiegare diserbanti e si concima solo con stallatico naturale.
– Usate il concime di Aldo? – chiedo a Giusi, sapendo che conosce bene il nostro amico delle pecore brigasche.
– No – mi risponde lei – Aldo è troppo lontano. Ci sono un po’ di mucche qui intorno.

In autunno, quando i baccelli seccano sulle piante, si raccolgono e si pestano sulle reti per separare i semi dalle scorze. Infine, si svolgono le delicate operazioni di cernita e di selezione, quindi il confezionamento nei sacchetti bianchi di tela grezza con il marchio di qualità. Naturalmente, tutto viene fatto a mano. A nessuna macchina è permesso di entrare nel ciclo di lavorazione.

Ma il segreto di questo lungo e faticoso processo di produzione, oltre alla tenacia degli agricoltori, al clima favorevole e alle caratteristiche del terreno, è la qualità dell’acquarigorosamente sorgiva.
– Dove scorre il fiume? – domanda Massimo, pensando alle riprese.
– Qui è pieno di corsi d’acqua – esclama Giusi.
– Sì, ma il più bello, il più spettacolare?
– Il mulino.
E allora tutti su, verso il vecchio mulino a acqua ristrutturato e abitato da una coppia di tedeschi.

Ci avviciniamo con cautela: siamo in casa d’altri. Il cane – tedesco – abbaia e noi ci fermiamo. Lui avanza e noi indietreggiamo. Giusi, che lo conosce bene, gli urla qualcosa in dialetto. Si capiscono al volo. Nel frattempo esce di casa il padrone del mulino e ci saluta cordialmente. Noi gli chiediamo se possiamo effettuare delle riprese nella sua proprietà. Cerchiamo l’acqua sorgiva. Lui sorride e ci lascia entrare. Superiamo la grande ruota del mulino, giriamo intorno alla casa e raggiungiamo il torrente. Non potevamo immaginare tanta bellezza. Sotto il mulino, dove la valle si stringe nel bosco, l’acqua scorre saltando da una pietra all’altra, scivolando sul muschio.

Davide si china e beve.
– Peccato che sia in ombra – dice Massimo puntando su di lui la telecamera.
– Qui è sempre in ombra – esclama il tedesco.
Davide solleva la testa verso di noi.
– I mulini a acqua in montagna sono spesso nelle gole – dice asciugandosi le labbra. – Fateci caso, sono sempre dove l’acqua salta sulle rocce e scende con forza.

Giusto, non ci avevo mai pensato. Anche il tedesco, che nel frattempo è diventato un esperto di storia dei mulini a acqua, annuisce con evidente soddisfazione.
– Complimenti – aggiunge Davide stringendogli la mano – un bel restauro.

Era venuto da queste parti in moto molti anni fa. Poi aveva visto il mulino abbandonato ed era tornato per capire se si poteva acquistare. L’ha preso, restaurato e adesso che è in pensione ci vive con la moglie. Ha lasciato la Germania e sembra contento di questa pace, condita di buona musica, letture, passeggiate nei boschi, camino acceso e vista ampia, dalle creste al mare. Il suo cane torna ad abbaiare mentre ci allontaniamo per tornare a Conio. Questa volta è solo un saluto.

Raggiungiamo il castello, dove Giusi ha preparato la tavola e sta cucinando una zuppa. Ore di cottura a fuoco lento, con carni, verdure e naturalmente i fagioli bianchi di Conio. Davide non si lascia sfuggire l’occasione. Prima però prende tra le dita alcuni fagioli e li schiaccia delicatamente per mostrare alla telecamera la morbidezza della buccia, talmente sottile da sembrare inesistente. I fagioli bianchi di Conio sono talmente delicati che si legano benissimo anche al pesce: un vero prodotto ligure, che unisce i sapori del mare a quelli della montagna.

A proposito di Liguria che guarda il mare dalla montagna, è venuto a trovarci anche Aldo, il nostro amico delle pecore brigasche che domani guiderà la transumanza al contrario, dal Monte Saccarello a Bastia. Sarà un viaggio di tre giorni, per boschi e strade, sentieri e villaggi, con centinaia di capi al seguito. Sarà anche una grande festa, com’è sempre stata e com’è giusto che sia.

Anche noi facciamo festa, con la zuppa di Giusi e i suoi fagioli bianchi.

Venite a Conio, nell’Alta Valle del Maro; ma non come turisti – mi raccomando – come ospiti.

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