VALTER SCAVOLINI, LA VITA COME GRANDE IMPRESA

Prefazione di Giorgetto Giugiaro

Mondadori, 2021

Una storia di successo tutta italiana, sostenuta da solidi valori famigliari, cultura del lavoro, legami profondi con il territorio. Nato a Pesaro durante la Seconda guerra mondiale, Valter Scavolini cresce in una famiglia contadina. Decide di mettersi in proprio nel 1961, fabbricando in casa un mobile laccato per cucina. Non ha ancora 18 anni.

Al suo fianco c’è il fratello maggiore Elvino: compagno prezioso, insostituibile. Insieme lavorano anche venti ore al giorno e sposano due sorelle che mettono al mondo quattro figli ciascuna.

Poi la crescita vertiginosa fino a diventare i primi in Italia: i più amati dagli italiani. Oggi l’azienda è guidata dalla seconda generazione dei figli e dei nipoti, ma Valter Scavolini rimane il presidente, il punto di riferimento.

I segreti del successo sono racchiusi nelle pieghe della sua vita, rimasta quella di sempre. L’uomo, al centro della famiglia, al centro dell’impresa.

***

È mattina presto, il sole già caldo. Raggi obliqui, ombre lunghe distese sul cortile della casa colonica che spunta dalla pianura coltivata alle porte di Pesaro. La brezza che arriva dal mare rimbalza sulle colline e ristagna sui campi. Valter Scavolini ha dieci anni e ha appena terminato l’anno scolastico. In campagna c’è sempre da fare. Prima lavorava e studiava, adesso che è in vacanza lavora soltanto. Il padre Guerrino ha già munto le vacche e ha preparato il latte da consegnare alle famiglie del paese, una manciata di case sparse raccolte attorno alla celletta di Santa Veneranda. Il podere dove gli Scavolini vivono e lavorano come mezzadri parte da lì e arriva fino alla chiesa parrocchiale.

La grande casa colonica sorge in prossimità di una curva che la gente del posto chiama el volt de Sgavulen. È abitata da Guerrino e dai suoi fratelli, i genitori, le mogli, i figli. Una dozzina di persone, tutte sotto lo stesso tetto. Molte braccia, tanto lavoro. Persone abituate a dare, senza chiedere.

Valter afferra il bidone del latte e lo inclina facendosi aiutare dal fratello Elvino che ha dieci anni più lui. Li lega un’intesa speciale. Il maggiore ha già il corpo forte di un uomo. Le mani solide afferrano il bidone e lo sollevano di slancio per versare il latte in un orcio. Valter ha le braccia asciutte, le gambe nervose sempre in movimento. I piedi fremono nei sandali. Deve andare, ha sempre qualcosa da fare. Elvino lo guarda mentre monta due orci colmi di latte sul manubrio della bicicletta. Il sole è già alto, ma l’ombra del fratello rimane enorme. Elvino non si muove. Immobile, guarda Valter prendere lo spunto e partire. Le galline nell’aia si spostano rapide. Il ragazzo non sfiora nemmeno la sella; resta sui pedali e in un attimo è già sulla strada sterrata. Non ci sono macchine in giro, ne passa una ogni tanto e il rumore basso del motore si sente da lontano. Annuncia l’arrivo della modernità.

La campagna pesarese all’inizio degli anni cinquanta è una terra ancora arcaica, regolata dai ritmi secolari della vita rurale. Ma basta chiudere gli occhi e con un po’ di fantasia si possono già immaginare i capannoni delle industrie che spuntano all’orizzonte e le case che avanzano dal mare verso la collina. Una macchia di costruzioni che si espande e dilaga nella campagna.

Valter tiene gli occhi socchiusi mentre avanza in una nuvola di polvere. La luce del sole è viva, accecante. La pedalata vigorosa e continua, mai violenta. Più corre veloce, più il vento gli rinfresca la faccia. Un fremito di libertà gli scivola sulla pelle. Un brivido d’euforia. Anche la consegna del latte può regalare emozioni.


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