LIMBIATE
Storia di un territorio e della sua gente
Silvana Ed., 2010

Questo non è un libro di Storia, ma un libro che racconta la storia di un territorio e della sua gente. Uomini e donne che hanno vissuto e lavorato a Limbiate, Pinzano e Mombello,
in una porzione di pianura Padana posta sul limitare delle Groane. Un angolo di mondo che custodisce tesori d’arte e cultura, secoli di lavoro, passioni e speranze di intere generazioni. Un’opera che si rivolge soprattutto ai giovani, uno stimolo a ritrovare nella propria memoria una radice comune, un linguaggio da condividere per riscoprire il senso della comunità e l’importanza dei suoi valori.

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Su un tema a me caro è nata una storia romanzata, raccontata attraverso
la penna agile di Luca Masia, scrittore professionista, che narra le vicende della nostra citta’
e delle persone che vi hanno vissuto. Il racconto copre un arco temporale molto ampio,
partendo dai primi insediamenti abitativi fino alla grande immigrazione degli anni cinquanta e sessanta.
E’ uno sguardo sul passato che mette in luce scenari e prospettive fondati su una memoria storica dove affondano le nostre radici. La descrizione dei singoli periodi storici ci offre l’occasione di orientarci nel tempo e di recuperare i punti di riferimento della comunità e del territorio in cui viviamo; una sorta di diario alla riscoperta della nostra identità, che induce a un confronto tra presente e passato e allarga la prospettiva sulla visione della vita e dei rapporti umani di chi ci ha preceduto.
Il mio desiderio è di offrire al lettore un libro dove, in modo dinamico, si delineano pluralità di storie e che, allo stesso tempo, sia da incoraggiamento per ricerche e approfondimenti ulteriori.
La ricostruzione storica è stata possibile grazie al patrimonio archivistico del Comune di Limbiate, ai documenti dell’Archivio di Stato di Milano e alle testimonianze dirette di molti cittadini
che hanno vissuto in prima linea gli avvenimenti del dopoguerra.
Al riguardo, desidero ringraziare per la loro disponibilità i sindaci che mi hanno preceduto, Cesare Pasetti e Francesco Zaccaria, don Mario Panizza, studioso presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano e Paolo Giandinoto. Infine la mia gratitudine, a nome dei cittadini di Limbiate,
va a tutti coloro che hanno lavorato per rendere realizzabile quest’opera.
Il mio auspicio è che possa divenire un nuovo punto di riferimento per i cittadini
desiderosi di approfondire la storia del nostro territorio e della sua gente.
Antonio Romeo
Sindaco di Limbiate

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Da qualunque parte la si guardasse, l’idea di scrivere una storia di Limbiate e del suo territorio
partendo dalla preistoria e arrivando fino ai giorni nostri sembrava una sfida impossibile, un progetto ambizioso e forse inutile, destinato a fallire. Invece non solo il progetto non è fallito ma si è rapidamente trasformato in un’esperienza umana e professionale molto intensa e costruttiva per tutte le persone che vi hanno partecipato. Nonostante all’inizio del lavoro l’arco temporale da considerare sembrasse troppo ampio
e la quantità di informazioni su Limbiate e il suo territorio troppo scarna, avevamo ben chiara
la finalità del libro, e cioè quella di realizzare un’opera che contribuisse a consolidare il senso di unita’
della comunità dei limbiatesi attraverso la conoscenza della propria storia. Questo lavoro, lungi dal pretendere di essere completo ed esaustivo, si pone invece come una sorgente viva di spunti di riflessione, stimoli alla conoscenza e all’approfondimento: un invito a scavare negli archivi della memoria per trarre dal passato indicazioni utili a vivere il presente e progettare il futuro della comunità.
Il volume è caratterizzato da un taglio fortemente narrativo, costruito su un continuo gioco di relazioni tra una dimensione locale e individuale del racconto e una più generale e collettiva.
Non avrebbe avuto alcun senso parlare della vita a Limbiate nell’anno Mille, citando la pergamena che documenta l’atto di vendita di un terreno da parte di un certo Arioaldo da Lemiate al suo concittadino Benedetto, se non mettendo in relazione quel documento a un più ampio contesto storico dove il sentimento religioso s’intrecciava con la paura della morte e l’inquietudine della vita,
il desiderio di libertà e “modernità” si scontrava con un’economia di sussistenza,
la chiusura dei commerci e lo scarso valore della moneta. Non avrebbe avuto ugualmente senso
parlare dei fratelli Verri – fondatori e animatori del giornale illuminista “Il Caffè” – e dei loro legami di parentela con la famiglia Castiglioni senza sviluppare il tema dell’Illuminismo in Italia e in Europa, immergendosi nella Milano del Settecento alla corte di Maria Teresa d’Austria.
Si è cercato di mettere sempre Limbiate in relazione con Milano, la Lombardia, l’Italia e l’Europa, confrontando le fonti documentarie con le storie, i pensieri e i sentimenti della gente.
Ne è nato un testo che assomiglia a un tessuto, frutto di un’operazione di “rammendo del territorio” alla ricerca di una radice comune, un linguaggio e un patrimonio di valori che appartengano a Limbiate e ai limbiatesi. Il volto attuale della città nasce – con le sue luci e le sue ombre – nell’Italia del dopoguerra, quando l’industrializzazione rapida e selvaggia, il miracolo economico e la diffusione dei consumi di massa determinarono imponenti flussi migratori che si sono in buona parte riversati in quest’area.
Per i giovani limbiatesi di oggi, figli diretti o indiretti di quel periodo, anche solo immaginare
come fosse la vita nelle Groane prima di quel tempo può aprire scenari imprevisti e sorprendenti.
Questo libro è rivolto soprattutto a loro, ai loro genitori e ai loro insegnanti,
che potranno usare il testo come traccia da cui partire per lavorare su se stessi e la propria storia.

Luca Masia

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“Non si possiede ciò che non si comprende,” scriveva Goethe alla fine del Settecento. Per comprendere e quindi “possedere” i territori che attraversava, lo scrittore tedesco saliva sulle torri e sui campanili, si arrampicava sulle cime delle colline. Alla ricerca di nuovi punti di vista e di orizzonti sempre più vasti, si sforzava di staccare la propria ombra da terra. Nel mese di ottobre del 1786, di passaggio a Bologna, salì sulla torre degli Asinelli e vagò con lo sguardo attraverso la pianura Padana fino alle Alpi.
“Sul far della sera,” scriveva Goethe, “sono salito sulla torre a consolarmi all’aria aperta. Che veduta!
A nord si scorgevano i colli di Padova, le Alpi svizzere, tirolesi e friulane, tutta la catena settentrionale avvolta nella nebbia…”
Circa un secolo dopo, sul finire dell’Ottocento, Giovanni Verga fece qualcosa di simile osservando Milano e la Pianura Padana dalle guglie del Duomo.
“Basta salire sul Duomo in un bel giorno di primavera,” scriveva Verga, “per averne un’impressione grandiosa ma calma. Al di là di quella vasta distesa di tetti e di campanili che vi circonda, tutta allo stesso livello si spiega la pianura lombarda, di un verde tranquillo, spianata col cilindro, spartita colle seste, solcata da canali dritti, da strade più dritte ancora, da piantagioni segnate col filo
senza un’ondulazione del terreno…”
Vista dall’alto, in tutta la sua estensione, la Pianura Padana appare come una distesa immensa, vagamente malinconica. Una sorta di agorà racchiusa tra le Alpi e gli Appennini: un anfiteatro naturale vasto quasi cinquantamila chilometri quadrati.
In questo lembo di terra, dove Giovanni Verga vedeva distese di campi coltivati e interminabili filari di gelsi, venti milioni di anni fa c’era solo il mare. E prima ancora, qualche centinaio di milioni di anni fa, il mondo era composto da una sola grande terra, chiamata Pangea, circondata da un unico oceano.
Una serie di profonde spaccature diedero origine a una frattura che divise la Pangea in due blocchi di terra, uno a nord e l’altro a sud. In mezzo, si rincorrevano le onde di un immenso mare chiamato Tetide.
Il blocco settentrionale comprendeva le terre che sarebbero diventate l’America del Nord, l’Europa e parte dell’Asia, mentre il blocco meridionale includeva l’Africa, parte dell’Asia, l’America del Sud, l’Australia e l’Antartide. Successivamente, un’altra violenta frattura separò le terre del nord creando l’Oceano Atlantico e spostando l’Africa verso levante, mentre nel blocco meridionale si staccò la penisola indiana. Sparì la Tetide, l’oceano primordiale, mentre nuove collisioni deformarono le rocce, piegandole e fratturandole fino a farle accavallare e generare nuove catene montuose, tra cui le Alpi e gli Appennini.
Inizialmente, gli Appennini erano disposti sul prolungamento delle Alpi e si allungavano fino alla Spagna meridionale. Successivamente, però, subirono una violenta rotazione antioraria e si disposero lungo l’attuale dorsale italiana. La formazione delle Alpi e degli Appennini scacciò le acque del mare
originando una vasta depressione dove i detriti trasportati dai fiumi si accumularono
nel corso dei millenni, formando vari spessori di sedimento.
Dietro quel vago senso di malinconia che Verga avvertiva nell’osservare l’immobilità della grande Pianura Padana, si celano in realtà milioni di anni di profonde e violente trasformazioni geologiche.
Una sorta di irrequietezza congenita che ha caratterizzato questa terra e condizionato da sempre
le azioni dei suoi abitanti.

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