3 giugno 2015 - Rosario e le rose di Rosetum.

Oggi siamo in Calabria. Il paese è Roseto Capo Spulico, il paesaggio l’alto Ionio cosentino. Le coordinate geografiche sono 39°59’ Nord e 16°36’ Est.

Atterriamo a Bari e attraversiamo nella notte la distesa di cereali che circonda Altamura, poi la gravina scoscesa di Matera e i valloni morbidi e pietrosi di Ginosa. Dopo Taranto, costeggiamo lo Ionio in direzione di Reggio Calabria. Davide è rimasto a Milano, bloccato dall’acquazzone che ha messo in ginocchio gli aeroporti del nord. Anche qui al sud il tempo non è bello. Il cielo è gonfio di nuvole e i lampi accendono sul mare improvvisi squarci di luce.

Questa è l’ultima trasferta della stagione di Paesi, paesaggi. La settimana scorsa eravamo in Valle d’Aosta, oggi siamo in Calabria. Sembra un finale fatto apposta per racchiudere il senso del viaggio; un continuo spostarsi senza meta definitiva, attratti solo dalla ricerca della qualità e della bellezza: il valore delle persone, l’armonia dei luoghi, l’intensità del lavoro.

Pochi centimetri separano la testa e il cuore della gente: una distanza per molti infinita. I protagonisti di Paesi, paesaggihanno invece la testa compenetrata nel cuore: sono ostinati e tenaci, capaci di volare alto tenendo i piedi ben saldi a terra. Spesso depositari di saperi antichi, hanno la capacità di rendere attuali le cose del passato. Li guardi e non li vedi, mimetizzati nei loro ambienti: artigiani, agricoltori, allevatori e pescatori che diventano alberi, grano, reti e pascoli. Addirittura rose.

La storia che vogliamo raccontare qui a Roseto Capo Spulico parla proprio di rose e di una coltivazione che dalla Magna Grecia si è tramandata come un culto fino a tutto il Medio Evo. Gli antichi amavano le rose e le consideravano simboli di perfezione. Colori, profumi e proprietà benefiche: doni divini che qui a Roseto si sono perduti tra le pieghe di una modernità frettolosa, distante dagli esseri umani e dal loro bisogno di equilibrio.

Rosario, il protagonista della puntata, ha scoperto quasi per caso l’esistenza di Roseto Capo Spulico, del suo castello federiciano e delle rose amate dalle principesse di Sibari. Mi viene incontro sul ciglio della strada. Lo illumino con i fari mentre solleva il braccio per farmi segno di accostare. Vedo che ha tagliato i capelli, il ciuffo biondo e i baffi sottili di quando faceva l’assistente di volo e passeggiava tra le nuvole, in bilico sulle latitudini del mondo. Ogni giorno un paese diverso, incontri rapidi e pasti mal digeriti. Molto movimento e nessuna direzione, piuttosto un senso di crescente insoddisfazione. Quando ha saputo di Roseto Capo Spulico si è licenziato ed è venuto a vivere qui, all’ombra del castello di Federico II di Svevia, per ridare vita alle rose degli Achei che nessuno coltivava più. Ha smesso di volare e ha finalmente staccato la propria ombra da terra.

Iniziamo le riprese nel castello, costruito come il prolungamento naturale della roccia che affiora dal mare. Federico II ne era rimasto affascinato e l’aveva requisito ai cavalieri Templari dopo la VI crociata. In origine era stato un edificio religioso, probabilmente un monastero, poi i Normanni lo avevano trasformato nel castrum Petrae Roseti. Ciò che vediamo oggi, al termine di un lungo intervento di restauro, è un frammento intatto di cultura medievale, un monumento che dopo aver viaggiato nel tempo restituisce l’antica ossessione del simbolo e della ricerca della verità. Il castello è ancora oggi ricchissimo di segni. Alcuni molto evidenti, come la rosa scolpita sul portale d’ingresso; altri meno leggibili, come il sigillo di Salomone nascosto tra le pietre di un pavimento del secondo piano; ma il fascino di questo luogo è nella sua tensione mistica, nel richiamo di ciò che i sensi percepiscono e la mente non riesce a spiegare.

Lasciamo il castello e ci dirigiamo verso il terreno di Rosario: sei ettari di rose e sogni che sovrastano la costa ionica. Il campo è ben dissodato e il roseto accuratamente delimitato. Il progetto, che si chiama Rosetum, sta prendendo corpo e noi lo stiamo filmando. Le prime rose sono già a dimora e nei prossimi mesi si susseguiranno le fioriture. Poi la raccolta dei petali e le lavorazioni in un laboratorio che sorgerà assieme all’abitazione sui resti di un’antica casa colonica. Rosario ci mostra una vasca in pietra immersa nella macchia mediterranea.
– Un abbeveratoio? – chiedo.
– Una vasca di purificazione dei Templari.
– Ah.

Sullo sfondo il mare è mosso, il cielo in fermento. Un’instabilità meteorologica che aggiunge fascino al luogo e ci regala una buona luce per le riprese.
– Ecco – dice Rosario – in questo punto preciso la bussola impazzisce. Perde il nord magnetico e indica una direzione verso sud est.
– Ci sarà del ferro nel terreno.
– Se tracci una retta con questa inclinazione, traguardi il castello di Federico II e arrivi a Gerusalemme.
– Ah
Rosario si allontana. Io resto ancora un po’ a guardare il mare, oltre la vasca in pietra immersa nel bosco. Seguo una linea immaginaria che oltrepassa il castello e prosegue verso sud, dove nascono le onde.
Massimo – il nostro regista – mi chiama e lo raggiungo presso i ruderi della casa colonica. Per dare concretezza al sogno di Rosario, posizioniamo un vetro davanti alla telecamera e chiediamo a Paolo – l’architetto che sta curando il progetto di Rosetum – di disegnare le future linee dell’edificio. Nel monitor vediamo la sua mano e il pennarello che ondeggiano nell’aria e prolungano le fughe di pietre cadenti e muri pericolanti: tratti che si organizzano in un insieme omogeneo, prendono forma e diventano progetto.

Rosetum non sarà solo un’impresa di agricoltura biodinamica, ma anche uno spazio didattico e ricreativo, un luogo aperto al pubblico e alle scuole, con percorsi naturalistici accessibili anche ai disabili. L’idea è che i profumi e i colori di Roseto Capo Spulico tornino a essere quelli delle sue rose. Infine allestiamo un set all’aperto dove simuliamo le lavorazioni dei fiori. Processi di trasformazione lunghi e laboriosi che noi accenniamo soltanto, impiegando strumenti antichi come una pentola di rame per l’infusione dei petali, un imbuto per l’olio essenziale, un mortaio, un setaccio, teli di garza e flaconi di vetro. È davvero infinita la varietà di prodotti che si possono ottenere dalla lavorazione delle rose: creme, profumi, unguenti, saponi, tinture e oli tutti nati da processi che Rosario dovrà approfondire alla scuola dei maestri. Ciò che sta iniziando a fare adesso, probabilmente farà per tutta la vita. Studierà, ascolterà, domanderà e proverà; ciò che gli auguriamo, è di non smettere mai di imparare.

Bene, ora è tempo di andare, ci aspettano altri paesi e altri paesaggi.
Venite in Calabria, a Roseto Capo Spulico; ma non come turisti – mi raccomando – come ospiti!

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