10 marzo 2015 - Le carni di Sassello.

Oggi siamo in Liguria. Il paese è Sassello, il paesaggio il Parco Naturale del Beigua. Le coordinate geografiche sono 44°28’ Nord e 8°29’ Est.

Davide parte da Milano, io da Genova. Incontrarci a Sassello è un po’ come per gli agenti segreti vedersi a metà di un ponte, in territorio neutro. Sassello non è solo un luogo geografico, ma uno spazio mentale. Il punto d’equilibrio tra due modi d’intendere la vita: da un lato il Piemonte, dall’altro la Liguria. Allunghi un piede e ti perdi nella pianura, arretri di un passo e rotoli in mare.
Un territorio che nella storia ha segnato il confine tra regioni che i potenti si contendevano e dividevano mentre i contadini, gli artigiani e i mercanti univano, scambiandosi cibi, dialetti e canti: incontrandosi e mescolandosi tra loro.

La piazza della chiesa è il centro del borgo, ma il vero cuore di Sassello è il punto dove la strada che sale diventa quella che scende. In questo breve slargo, i motociclisti si fermano a tirare il fiato dopo chilometri di curve, i ciclisti bevono alla fonte, i turisti entrano nel bar degli amaretti e si siedono con il giornale in mano. Un piccolo mondo antico, una specie di torre d’avvistamento. Quelli proprio bravi, a Sassello, riescono a viaggiare stando fermi. Gli basta guardare.

Giovanni, il protagonista della puntata, mi viene incontro proprio in quel punto dove tutto scorre davanti alla sua antica macelleria, in attività dai primi del Novecento. È un uomo grande e generoso; credo di non averlo mai visto senza sorriso. Esco dall’auto e chiudo il giaccone, infilo il cappello e i guanti. Lui mi sorride, con la camicia aperta sbottonata.
Giovanni è un amico di cui mi aveva parlato Giorgio, uno dei primi artigiani del gusto della nostra famiglia di Paesi, paesaggi. Mi piace pensare a Giorgio come al re del Castelmagno, il nobile erborinato di sangue blu, principe dei formaggi italiani. Giorgio è un uomo d’altri tempi; con la stessa lievità riesce ad arrampicarsi sugli alpeggi e a scivolare nelle vie di città, tenere vivo il passato osservando attentamente il futuro.

Dopo le presentazioni, Giovanni e io ci eravamo conosciuti a luglio, nel bosco. Ogni anno, lui organizza con la sua famiglia una grande festa druidica, una specie di ringraziamento collettivo all’estate. Pochi gli ingredienti, tutti scelti con cura: il bosco, gli amici, una brace immortale e carne eccellente. Chi può porta qualcosa, anche se Giovanni ha già portato tutto.

Quando gli avevo telefonato per proporgli la puntata televisiva sulla sua attività e i suoi luoghi, avevamo anche ricordato la festa di luglio e il Beigua d’estate.
– Ti ricordi che pioggia?
– Un diluvio! Avevi steso ettari di teli per proteggere i tavoli…
– Però che bello…
– Bellissimo…
– Alla fine era venuto anche il sole!
– No, il sole c’era già. Anche quando pioveva…
Sempre al telefono avevamo programmato la puntata e le riprese, scegliendo i luoghi migliori da offrire ai passi di Davide e alla telecamera di Massimo. Avevamo anche parlato del tempo, sperando che ci fossero freddo e neve, perché il paesaggio mansueto del Sassello diventa selvaggio quando si risveglia e obbliga a soffrire. È come se la natura riscoprisse di colpo la sua forza e stringesse le persone, le piante e gli animali in una morsa, come l’abbraccio di un gigante.
– Allora speriamo che nevichi, – avevo detto io.
– Nevicherà.

Non possiamo lamentarci. Ha nevicato e il paesaggio è di un bianco abbagliante. Il freddo pungente. Scegliamo un grande prato e seguiamo Davide che avanza come un cosacco affondando i passi, sotto il peso della sedia. Si accomoda sotto lo scheletro di un albero in controluce e si sente come a casa. Sullo sfondo la Chiesa della Santissima Trinità: l’abside grigio, il tetto, il campanile.
Poi saliamo sul fuoristrada e raggiungiamo la cima del monte, per osservare dall’alto il paesaggio che dal mare rimbalza verso la pianura. Oltre cento chilometri quadrati di boschi e pascoli, con meno di duemila abitanti. Si intuiscono i campi e s’intravedono le stalle di piccoli allevamenti familiari con pochi capi di vacche di razza Piemontese. Infine, con la telecamera sazia di belle immagini torniamo in paese, tra le case con le grondaie ghiacciate, i palazzi storici e le chiese ben affrescate.

Riprendiamo Giovanni che sfila davanti alla Chiesa dell’Immacolata, supera Palazzo Doria e s’incammina verso la Chiesa di San Giovanni Battista. L’edificio risale al Mille e conserva opere di pregio, tra cui una scultura del Maragliano, il maestro genovese che nella Liguria del Seicento dava vita al legno come Giacomo Serpotta – nella Sicilia del Barocco – faceva con lo stucco.

Nel frattempo, Giorgio è sceso da Castelmagno e ci ha raggiunto a Sassello per condividere l’esperienza delle riprese. Si è impadronito del laboratorio di Giovanni e lo sta trasformando davanti all’occhio della telecamera. Le piastrelle delle pareti scompaiono dietro file di prosciutti e salumi. Il banco di metallo diventa una tavola imbandita, con ariste, capocolli, guanciali, salsicce e mortai colmi di spezie e odori, poi aglio, sale, pinoli, agrumi, taglieri di legno e coltelli ben affilati. Accendiamo le luci e tutto prende vita.

Giovanni si avvicina a Davide, gli offre il grembiule e gli porge una lama. Per Davide inizia la parte più divertente e interessante della giornata, quella in cui riesce attraverso la condivisione del lavoro a entrare in sintonia con il protagonista della puntata, imitarlo mentre trasforma la materia e naturalmente se stesso.
Oggi Davide conoscerà Giovanni, preparando con lui la pancetta arrotolata e la testa in cassetta. Sono questi i prodotti che abbiamo scelto per parlare del nostro amico, del suo legame con il territorio e la tradizione, ma anche del suo insopprimibile bisogno di innovare. Rendere nuovo l’esistente.

Iniziamo con la pancetta arrotolata, il prodotto forse più tipico e inimitabile di Giovanni. La sua pancetta è preparata come un prosciutto, sapientemente salata in umido, arrotolata con l’aggiunta di aglio di Vessalico ed erbe aromatiche dei boschi del Beigua, infine cotta in forno. Eccellente! Parola di Davide.

L’altro prodotto che caratterizza Giovanni è la testa in cassetta, quella che spesso chiamiamo soppressata. È un prodotto tipico dell’entroterra ligure, dove la salsedine si mescola alla nebbia. Nasce dalla necessità di non buttare via niente del maiale e usare gli scarti come ultimo gesto di gratitudine. Allora si prendono le teste e i resti delle lavorazioni, si trita il tutto in punta di coltello, si impasta a mano e si concia per bene. Da noi, per tradizione, si aggiungono i pinoli. Giovanni ha preparato per tutta la vita un’ottima testa in cassetta con i pinoli. Come la faceva suo padre, il maestro di quando era ragazzo, che a sua volta l’aveva imparata dal macellaio Toso, il suo maestro di Sassello.

Ma un giorno ebbe un’intuizione e iniziò a sperimentare. Invece dei pinoli aggiunse le
mele, scorze di limone e arance Pernambuco, oppure chinotto di Savona. Gli ingredienti adesso sono tutti lì, ben disposti sul banco. Davide e Giovanni li prendono e li lavorano con le carni, poi mettono l’impasto nella forma e lo compattano sotto il coperchio che lo schiaccia come una pressa. La soppressata è fatta.
Qualche giorno di riposo e potrà essere mangiata.
Giovanni però ha promesso di metterla da parte per dividerla con noi.
A luglio, nel bosco.

Adesso invece è tempo di andare, ci aspettano nuovi paesi e nuovi paesaggi. Venite a Sassello, nel Parco Naturale del Beigua; ma non come turisti – mi raccomando – come ospiti!

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