3 giugno 2016 - Le capre camosciate del Monferrato.

Oggi siamo in Piemonte. Il paese è Capriglio, il paesaggio le colline del Monferrato. Le coordinate geografiche sono 45° Nord e 8° Est.

Ci troviamo a meno di trenta chilometri da Asti, in un piccolo borgo circondato di colline, boschi e corsi d’acqua. È la prima volta – in tre stagioni di Paesi, paesaggi – che capitiamo in un luogo dalle coordinate geografiche così esatte. Niente minuti primi né decimali, solo gradi: quarantacinque gradi Nord e otto gradi Est. Siamo esattamente tra il Polo Nord e l’Equatore: il punto d’equilibrio dove un paio di secoli fa è vissuto don Bosco.

Iniziamo le riprese proprio visitando il museo di mamma Margherita, la madre di don Giovanni Bosco, nato nel 1815 in un paesino qui accanto. L’ex sindaco di Capriglio lo custodisce con cura, come un gioiello di storia della comunità. La vita di don Bosco e di sua madre sono esemplari: racchiudono tanti scorci delle nostre radici contadine. Storie di tenace determinazione e paziente sopportazione. Margherita era una giovane donna, rimasta presto vedova, capace di coltivare campi e allevare figli, incoraggiare vocazioni e fortificare personalità. Nel museo di Capriglio ci sono gli oggetti quotidiani di don Bosco, addirittura il suo banco di scuola, dove Davide ha l’onore di sedersi per un istante; poi i libri di studio, gli abiti religiosi e tante immagini, sue e dei suoi ragazzi, dei compaesani, delle tante vite che ha incrociato nel corso della sua infaticabile esistenza.

Un vita ostinata, sempre in salita; ma superata di slancio, con il passo agile e funambolico delle capre. In effetti, il nome Capriglio deriva dal latino Capriliumluogo delle capre.

– Ed è proprio un gregge di capre camosciate alpine che siamo venuti a incontrare! – esclama Davide poco prima di lasciare il museo di mamma Margherita e mettersi in cammino verso la fattoria di Paolo e Daniela, i protagonisti della puntata.

Su un’altura appena accennata, ci attende questa giovane coppia che dopo anni di vita in città ha scelto di trasferirsi in campagna. Un passaggio graduale, condotto anch’esso con passo morbido. Un movimento ostinato e lieve come quello delle capre, sull’orlo dei precipizi d’alta quota. All’inizio hanno solo cambiato residenza, poi hanno acquistato – in maniera del tutto casuale – una coppia di capre camosciate alpine. Si chiamavano Robiola e Osella. Dovevano diventare animali da giardino e sono stati l’inizio di tutto.

Robiola e Osella aspettavano i cuccioli, ma i nuovi proprietari non lo sapevano. Le capre li hanno messi al mondo e a poco a poco hanno trasformato Paolo e Daniela in allevatori. Il terreno permetteva la costruzione della stalla, c’era spazio per il pascolo e anche un’area dove aprire un caseificio. E così, l’entusiasmo, la passione e la tenacia hanno portato Paolo e Daniela a realizzare un allevamento modello con oltre cinquanta capre camosciate alpine. Sono animali bellissimi, robusti, frugali, docili e eccellenti produttori di un latte molto apprezzato. La camosciata delle Alpi è originaria della Svizzera e si è diffusa in tanti paesi europei. In Italia si alleva nelle regioni del nord e il suo mantello bruno la rende molto simile al camoscio.

Entriamo nella stalla prima che il gregge esca al pascolo. I primi esemplari che ci vengono incontro sono proprio Robiola e Osella, il mantello ingrigito dagli anni ma l’occhio sempre vigile e attento. Osella sembra il cane di Paolo: lui la chiama e lei arriva, qualunque cosa stia facendo. Il resto del gregge la segue. Nel corso delle riprese, le capre hanno circondato Davide d’affetto, gli hanno tolto la sedia, l’hanno fatta cadere, hanno rosicchiato il sedile. Osella sempre in testa e il gregge dietro. Noi di lato a filmare, non solo per Paesi, paesaggi ma anche per Paperissima.

Queste camosciate alpine producono una decina di quintali di latte per ciclo di lattazione e hanno a disposizione due ettari di pascolo. Paolo le nutre solo con l’erba dei prati e il fieno del campo che difende dalle incursioni dei cinghiali. Poi, insieme a Daniela, lavora tutti i giorni circa duecento litri di latte munto alla sera e alla mattina. Il latte di capra è molto più magro e digeribile di quello vaccino, con un basso contenuto di colesterolo e un alto apporto di vitamine e sali minerali. Già prima di lasciare la città, Paolo e Daniela amavano i formaggi di capra. Così, realizzare un piccolo caseificio e cominciare a lavorare il latte di casa è stato un passaggio quasi obbligato.

Un mestiere difficile, quello del casaro, che s’impara con il tempo e si affina con l’esperienza. Ma Paolo e Daniela devono avere un talento naturale. Un po’ di studio, un po’ di esperimenti e tanto lavoro. Oggi, sono tra i migliori produttori di formaggi caprini. Pochi giorni prima di registrare la puntata, hanno vinto un prestigioso premio a Milano, misurandosi con decine di concorrenti provenienti da tutta Italia. Gente che lavora da generazioni. Li hanno battuti con la semplicità, la freschezza, la genuinità. E con quel tocco di personalità che viene dalle loro storie individuali, dalle motivazioni che – nonostante i sacrifici – ricavano dall’attività che si sono tagliati su misura.

Paolo e Daniela producono pochi formaggi, con alcune varianti nel corso dell’anno. Impiegano solo latte crudo, caglio di vitello, sale e fermenti naturali; nessun trattamento termico, nessun conservante, nessun additivo chimico.

Il Caprazola è un erborinato dolce e cremoso, con venature verdi e azzurre. Il procedimento per ottenere questo formaggio è lungo e laborioso. La pasta è morbida, quasi si scioglie in bocca; la cremosità accentuata, il sapore intenso.

La toma che chiamano semplicemente Fresco, è prodotta con l’innesto dei fermenti al latte del mattino, prima di aggiungere il latte della sera e una minima quantità di caglio. La coagulazione è lentissima e termina il mattino seguente, quando la cagliata viene estratta, sgocciolata e messa in forma, poi rivoltata numerose volte e salata a mano.

La Cremosa è un affinamento del Fresco che viene fatto stagionare per un paio di settimane. Il processo naturale di proteolisi provoca il distacco della crosta e la formazione di una crema dolcissima, che in bocca è un esplosione di sapori. Davvero un concentrato di erbe e fiori dei pascoli di queste colline.

Lo Stagionato è invece un formaggio a crosta lavata con un particolare processo di produzione che culmina con l’immersione in una speciale salamoia. Un caprino che sa poco di capra e piace veramente a tutti. Infine il Cravot, un formaggio fresco lavorato allo straccio. La cagliata viene messa a sgocciolare in un telo fino al giorno seguente, poi salata a mano e lavorata fino a ottenere una pasta molto morbida, leggermente acida e aromatica.

– Pochi formaggi, unici come i loro creatori – esclama Davide davanti alla macchina da presa. – Ogni artigiano è unico; questi formaggi possono realizzarli solo Paolo e Daniela, con il latte delle loro capre nutrite con l’erba dei loro pascoli.

Solo qui, sulle colline di don Bosco: a quarantacinque gradi Nord e otto gradi Est. Questa è l’Italia della qualità.

Bene, ora è tempo di andare, ci aspettano altri paesi e altri paesaggi.

Venite a Capriglio, nel Monferrato; ma non come turisti – mi raccomando – come ospiti.

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