6 ottobre 2015 - Le bollicine del Friuli.

Oggi siamo in Friuli Venezia-Giulia. Il paese è Corno di Rosazzo, il paesaggio i Colli orientali del Friuli. Le coordinate geografiche sono 45°59’ Nord e 13°26’ Est.

Eravamo già stati qui la scorsa stagione per conoscere le tecniche di potatura di Marco e della sua squadra dipreparatori d’uva. La loro scuola si rifà a insegnamenti antichi e si basa su un’attenta osservazione della vite, per poi praticare tagli piccoli e non invasivi, che non interrompano il flusso linfatico. La sera prima delle riprese avevamo cenato con Manlio, uno dei più importanti viticoltori dei Colli orientali.
– Ragazzi in gamba, – aveva detto il grande vignaiolo, a proposito dei giovani preparatori d’uva di Corno di Rosazzo.
– Idee interessanti…
Poi avevamo parlato dei suoi vini: Merlot, Chardonnay, Pinot grigio, Sauvignon, ma
soprattutto Ribolla gialla, il vitigno autoctono che Manlio ha trasformato in un
sorprendente brutil simbolo stesso delle bollicine friulane.

Ma andiamo con ordine. Prima di tutto il viaggio. Anche questo è una sorta di flash back che ci riporta alla scorsa stagione di Paesi, paesaggi. Era una notte scura di pioggia e vento freddo; venivamo dalla Carnia. Eravamo stati a Tarvisio, nelle cave del Predil, dove Sante stagiona i suoi caprini a crosta lavata. Allora andavamo di fretta perché avevamo appuntamento proprio con Manlio, che ci aspettava paziente nella sua cucina, una delle più belle di tutto il Friuli.

Anche adesso andiamo di fretta. È sempre Manlio che ci aspetta paziente, ma non per cenare. Prima che faccia buio dobbiamo registrare una parte della puntata dedicata a lui e alla sua Ribolla gialla brut: tutte le battute in esterni di Davide, gli interni in cantina e le scene di degustazione. Quando arriviamo abbiamo i minuti contati. Giriamo intorno a Corno di Rosazzo alla ricerca di un evanescente centro storico che ricordavamo male. Ci fermiamo tra la chiesa e il Comune, dove un muro in pietra disegna una curva morbida verso le vigne. Il cielo si apre e ci regala l’ultima mezz’ora di luce; intensa e lieve al tempo stesso. I direttori della fotografia la chiamano luce a cavallo. Struggente e sfuggente. Non c’è tempo da perdere: il vento in quota fa correre le nuvole che s’inseguono attorno a quel che resta del sole. Sono bizzarre e imprevedibili, basta un istante perché la magia della luce si spenga e il paesaggio diventi scuro.

Davide è concentratissimo e non sbaglia una battuta. Massimo – il nostro regista – è soddisfatto. Dice sempre: «Buona la prima!» e effettivamente non rifacciamo niente. Dopo pochi minuti siamo di nuovo in macchina. Due curve, un breve rettilineo e eccoci nella corte del castello Zucco-Cuccanea, la dimora cinquecentesca che oggi è diventata la casa e l’azienda di Manlio e della sua famiglia. L’anno scorso, questa corte quadrata con un prato perfettamente rasato e un grande albero al centro era sferzata dalla pioggia e dal vento. Di notte l’avevo attraversata a capo chino con le spalle ingobbite per raggiungere il più velocemente possibile la cucina più bella del Friuli. Adesso che il vapore acqueo rende il paesaggio nitido e brillante, Davide avanza con passo deciso, la sedia in spalla, l’ombrello chiuso sottobraccio. Si ferma al centro del prato, posa la sedia accanto al grande albero, si siede e con aria serena esclama: «Qui mi sento come a casa!» Dice sempre così. Oggi, però, non fatico a credere che si senta davvero «come a casa».

Il castello Zucco-Cuccanea risale al Cinquecento. Manlio vi si è trasferito alla meta’
degli anni sessanta, ma l’azienda di famiglia era nata con il nonno Eugenio – nel 1896 – a
Rivignano.
– Era stato il nonno a trasmettermi la passione per il vino, – racconta Manlio.
– Era un personaggio di grande fascino, che amava la terra e l’uva. Gli piaceva condividere con me queste passioni.
– Faceva già una produzione di qualità?
Manlio sorride e scrolla le spalle. È un uomo alto, distinto, un vero gentiluomo di campagna.
– Faceva lo champagne! – esclama.
– Champagne?
– Lui lo chiamava così. Gli piacevano le bollicine, ma non sapeva come fare. Così metteva nel vino quella polverina che andava di moda allora per rendere frizzante l’acqua del rubinetto. Ma lei è troppo giovane, non se la ricorda…
– Giovane io? Diceva l’oste al vino: «tu mi diventi vecchio, ti voglio maritare con l’acqua del mio secchio». Rispose il vino all’oste: «fai le pubblicazioni, sposo l’Idrolitina del cavalier Gazzoni!»
Ridiamo al pensiero dello champagne del nonno Eugenio. Sono passate tre generazioni
e Manlio ha trasmesso quella stessa passione ai figli. Oggi la sua azienda è una delle più importanti e prestigiose della regione: è stato uno dei primi a portare i vini friulani nel mondo.

Ma il nonno Eugenio non gli aveva trasmesso solo la passione per la campagna e per il
vino. L’idea delle bollicine gli era sempre rimasta in testa. Fu Gaetano Perusini, una quarantina di anni fa, a parlargli delle qualità della Ribolla gialla e della naturale inclinazione di questo vitigno a diventare uno spumante di qualità. Perusini era un uomo di grande cultura, una figura centrale dell’enologia friulana: ricercatore, storico, docente universitario, vignaiolo, enologo, ampelografo. Un personaggio d’altri tempi, che aveva il senso del tutto.
– Perusini era convinto che la Ribolla gialla fosse il vitigno ideale per diventare uno spumante, – spiega Manlio.
– Il simbolo delle bollicine friulane?
– Proprio così. Dalle ricerche dello stesso Perusini era emerso il primo documento ufficiale riferito alla Ribolla in Friuli, che risaliva addirittura al 1298.

La Ribolla gialla è un vitigno difficile, tardivo, poco alcolico e lievemente acidulo.
Spesso occorre vendemmiarlo ancora acerbo, prima delle piogge autunnali, raccogliendolo a mano al mattino dopo che la brezza ha asciugato l’umidità della notte. La Ribolla gialla brutera un sogno e una sfida. Ci sono voluti anni di prove e tentativi, prima con il metodo classico, poi con il Martinotti-Charmat. Infine la soluzione: bisognava lavorare la Ribolla gialla come fosse Champagne. Tempi lunghissimi di fermentazione, in acciaio e in barriques, poi un lento affinamento in bottiglia per togliere ogni traccia residua di legno. Il metodo di Manlio – una personale rivisitazione del Martinotti-Charmat – ha fatto scuola e insegna il valore del tempo: per gustare la sua Ribolla gialla brut, dalla vendemmia al flute, passano almeno quattro anni.

Davide e Manlio scendono in cantina e raggiungono la sala che presto diventerà un
ristorante. Soffitto in legno con travi a vista, vecchi torchi disposti accanto alle pareti e
sullo sfondo una composizione di antiche botti.
– Lì dietro ci saranno le cucine, – spiega Manlio a Davide, mentre stappa con misurato
orgoglio una bottiglia della sua Ribolla gialla brut. Poi brindano, come sanno fare loro. Gente con il senso del tutto, capace di vedere in un bicchiere di vino cose che ad altri sfuggono.

Il vino, diceva Soldati, è la poesia della terra.

Bene, ora è tempo di andare, ci aspettano altri paesi e altri paesaggi. Venite nei Colli orientali del Friuli, ma non come turisti – mi raccomando – come ospiti!

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