28 aprile 2016 - Le arance fatte a mano.

Oggi siamo in Sicilia. Il paese è Ribera, il paesaggio la costa degli aranceti. Le coordinate geografiche sono 37°30’ Nord e 13°16’ Est.

Atterro in serata all’aeroporto di Palermo. Raggiungo l’uscita e mi ritrovo all’aperto, sulla strada che guarda il mare. In alto, nel cielo, brilla la stella Polare. Conosco benissimo questo aeroporto, eppure ho perso l’orientamento. Temo addirittura di aver sbagliato scalo, come se fossi sceso da un autobus o da un treno alla fermata sbagliata. Fermo due poliziotti, domando e capisco che questo è il “nuovo” aeroporto di Palermo; mi spiegano che è stata finalmente completata la ristrutturazione. Quello che avevo frequentato per anni era un cantiere di lavoro. Sarà, ma nel cantiere mi muovevo bene. Tutto mi sembrava a portata di mano.

Davide arriva mezz’ora dopo e anche lui avverte lo stesso senso di straniamento. Camminiamo lungo il ciglio della strada per raggiungere gli uffici dell’autonoleggio, poi montiamo su una Cinquecento e partiamo. Destinazione: Sciacca. Lasciamo la Polare e andiamo verso la Croce del Sud. Le isole sono luoghi meravigliosi: le attraversi e sei già dall’altra parte del mondo.

La nostra meta è la costa degli aranceti. Una terra benedetta dalla natura: un vasto altipiano con leggere pendenze che degradano fino al mare. I terrazzamenti sono intervallati dai corsi d’acqua che li incidono scavando profonde e fertili vallate. Oggi, questi terreni sono popolati di agrumeti, ma un tempo vi si produceva di tutto, dal riso al cotone, dal grano alle mandorle, e poi olive, uva, frutta e ortaggi. Fin dal Cinquecento, gli abitanti di Caltabellotta scendevano dalle alture a piedi, con i muli e i carretti per lavorare i campi sulle sponde del fiume Verdura.

Il nome Ribera ha un’origine spagnola e significa riviera: in effetti questa costa è proprio una riviera di lussureggianti giardini affacciati sul Mediterraneo. La qualità delle acque, il terreno, il clima e le correnti calde dell’Africa l’hanno resa un’oasi di Sicilia.

Il nostro piccolo drone vola alto sul mare, poi s’abbassa e risale il fiume a pelo d’acqua, scavalca l’argine e inquadra Davide che cammina con la sedia in spalla.

Stacco. Camera a terra, sul cavalletto; ottica grandangolare. Davide si siede.

«Ecco, qui mi sento come a casa!» dice, mentre il drone alle sue spalle raggiunge gli aranceti di Paolo, il protagonista della puntata.

Paolo è un agricoltore che coltiva le arance come un artigiano: conosce tutte le sue piante e segue con passione la maturazione di ogni frutto. Paolo non coltiva arance: le produce a una a una.

Il papà aveva iniziato l’attività negli anni Sessanta proprio in questo campo vicino alla foce del fiume, dove c’era abbondanza d’acqua. Dopo gli studi universitari, è tornato alla terra di famiglia e da allora si dedica alla cura dell’agrumeto. Mi confessa che uno dei momenti più belli della giornata è quando in primavera si ferma la sera a passeggiare nel campo, circondato dalle piante cariche di frutti maturi. Sembrano persone amiche con le braccia piene di doni. Mi accompagna tra gli alberi e mi mostra i rami che pendono verso il basso. Le sue arance sono completamente biologiche e crescono senza alcuna contaminazione chimica.

«Vedi dove sono i frutti migliori?» mi domanda.

«A terra?»

Paolo annuisce e mi indica i rami più bassi, dove è maggiore l’afflusso di linfa. Poi prende un’arancia, taglia a metà uno spicchio e me lo fa assaggiare. Mi spiega che la parte più dolce è quella inferiore, perché gli zuccheri si formano in alto, vicino al peduncolo, poi scendono per gravità.

«Interessante vero?»

Immagino che tutto questo, nelle coltivazioni estensive, non esista.

Paolo mi offre un altro spicchio tagliato a metà. Lo assaggio, poi ne taglio un altro e un altro ancora. Sono dolcissimi, del tutto privi di acidità e senza semi. Siamo invasi di arance scadenti che arrivano nei nostri supermercati da ogni parte del mondo, e invece abbiamo un tesoro in casa che nemmeno conosciamo.

Domando a Paolo se ritiene coraggiosa la scelta della coltivazione biologica.

Lui scrolla le spalle e mi spiega che in questo lembo di Sicilia è tutto più facile, perché il clima ideale permette alle piante di crescere in maniera spontanea senza ammalarsi. Però, aggiunge che anche altrove lui non avrebbe dubbi.

«I prodotti della natura» dice «deve essere la natura a produrli!»

Il ragionamento non fa una piega.

«Ma alla fine, – domando, – i conti tornano?»

«Certo che tornano! – risponde. – Guarda, io devo sempre buttare una parte del raccolto, ma la perdita è pari, forse addirittura inferiore, alla spesa che dovrei sostenere in prodotti chimici».

«Senza contare il danno ambientale…»

«Proprio così: per eliminare gli insetti con i veleni abbiamo favorito la crescita esponenziale di altri insetti che prima quasi non esistevano».

«Quali sono i nemici delle tue arance?»

«La cocciniglia e alcuni ragni. Ma le mie piante sono forti e sane. A loro ci pensa la natura».

«Anche tu».

«Io do solo una mano…»

Come dicevo, queste arance delle varietà Navel e Vaniglia sono dolcissime, senza semi e prive di acidità. In cucina sono un vero ingrediente e da qualche anno Paolo si dedica alla sperimentazione dei suoi frutti nella gastronomia. Me ne parla con entusiasmo mentre camminiamo verso il resort che fa da sfondo ai suoi campi:

«Un giorno mi sono chiesto: ma è possibile che un frutto così ricco e prezioso si sposi soltanto con l’anatra? E da quel pensiero è nato il desiderio di creare nuove ricette a base di arance».

Una ricerca che ha coinvolto molti amici. Oggi è venuto ad assistere alle riprese Pasquale, un casaro di Castelvetrano che produce un primo sale veramente eccellente. Da qualche tempo sta sperimentando insieme a Paolo la produzione di alcuni formaggi innovativi: ad esempio una toma con scorze di arancia e un’altra aromatizzata con un’arancia intera al suo interno.

«Ma quali sono i tuoi piatti migliori?» domando.

Paolo suggerisce l’insalata mediterranea con arance, olive, acciughe, finocchietto e olio extravergine. Un primo gustoso è il risotto con i fiori d’arancia, mentre come secondo consiglia un piatto di mare: le arance di Ribera sono ideali con pesci e crostacei.

«Come vedi, – mi dice Paolo, – si possono creare interi menu a base di arance».

«Altro che anatra» dico io.

«Altro che anatra, – ripete Davide. – Questa è l’Italia della qualità!»

Bene, ora è tempo di andare, ci aspettano altri paesi e altri paesaggi.

Venite a Ribera, nella costa degli aranceti; ma non come turisti – mi raccomando – come ospiti!

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