30 settembre 2014 - Le alici di Palinuro.

Oggi siamo in Campania. Il paese è Pisciotta, il paesaggio quello del Cilento. Le coordinate geografiche sono 40°6′ Nord e 15°14′ Est.

Mi aspettano un migliaio di chilometri che decido di percorrere in treno. Parto da Genova alle 6.00 del mattino e continuo a dormire fino alle porte della Versilia. Mi svegliano i tuoni e la pioggia battente sui finestrini della Freccia Bianca lanciata a duecento chilometri all’ora verso Sud.
A Viareggio inizia a grandinare. Stagione balorda; questa non è estate.

Ancora un po’ addormentato arrivo a Roma, accompagnato da una pioggerellina lieve sotto un cielo livido. Salgo su un’altra Freccia – Rossa, questa volta – e proseguo verso Napoli. La situazione meteorologica non cambia; anzi, la temperatura si abbassa. Fa quasi freddo, davvero non è estate.

Mi restano ancora un paio d’ore su un treno regionale per attraversare la Piana del Sele e arrampicarmi sui rilievi del Cilento. Il cielo si rischiara a poco a poco. Non conosco bene queste terre e resto con lo sguardo fisso sul finestrino. Il mondo che scorre al di là del vetro è una successione di immagini che accarezzano la mente come una musica lieve. Il treno è una fabbrica di idee.

Sono quasi le tre del pomeriggio quando arrivo alla stazione di Pisciotta.
Qui c’è il sole ad aspettarmi: raggi caldi in attesa sulla banchina. Massimo, il nostro regista, è già arrivato e sta facendo il bagno a Capo Palinuro. Verrà a prendermi tra un po’. Scelgo una palma e mi accomodo a terra, la schiena appoggiata al tronco, un libro aperto in mano e lo sguardo fisso sulla gente che entra ed esce dalla stazione.
Spero che il mio regista non arrivi troppo presto.

La sera è dedicata al lavoro. Siamo scesi nella terra di Palinuro, delle Sirene e degli Argonauti, per raccontare una storia di pesca antica. A Marina di Pisciotta, un borgo con meno di duecento abitanti, alcuni pescatori usano ancora le reti di menaide, o menaica. Sono le stesse reti che impiegavano i Greci, tremila anni fa. Hanno le maglie larghe per catturare solo alici adulte. Una pesca tradizionale, integrata da secoli con la natura del luogo. Si svolge con mare calmo da aprile a luglio, subito dopo la stagione della seppia. Uno dei pescatori mi recita una filastrocca che è una specie di calendario ittico:

A frevaro ‘a séccia appare,
a marzo a quatto a quatto,
a aprile quanno ‘a vire,
a maggio trase a quaglia e ‘a séccia squaglia!

Dunque, a febbraio la seppia appare, a marzo se ne prendono quattro alla volta, ad aprile si pesca solo quando si vede e a maggio, quando arriva la quaglia, la seppia squaglia.

Il ritorno dei migratori segna invece l’arrivo delle alici, che si pescano alla sera, quando il branco nuota in direzione del sole che tramonta.

Le alici di menaica sono uniche non solo per le dimensioni del pesce e la qualità della carne, ma perché i pescatori – secondo tradizione – le puliscono direttamente in barca, senza usare ghiaccio per conservarle. Tolgono la testa, lavano il sangue e rimuovono le interiora. Il pesce fresco, appena pescato e pulito, è eccellente anche da mangiare crudo. I pescatori di Marina di Pisciotta chiamano “insalata di mare” questo sushi antico e mediterraneo.

La nostra, però, non è serata di pesca vera; la stagione è finita e caliamo solo pochi metri di rete. Facciamo un po’ di teatro per le riprese televisive. Vittorio, uno dei protagonisti della puntata, si muove sulla barca con l’eleganza di un ballerino, immerso in un’ampia cerata arancione che ondeggia seguendo il rollio dello scafo. Tiene i piedi nudi ben saldi nel pozzetto, bilanciando il peso del corpo con la forza delle mani che stringono la rete aggrappata al mare. Sarà anche una pesca finta, ma a noi sembra vera. Talmente vera che peschiamo pure un’alice! Un piccolo dono di Palinuro e delle sue amiche Sirene…

Al rientro in porto ci aspetta Donatella, la moglie di Vittorio, che anni si dedica alla lavorazione professionale delle alici di menaica nel suo laboratorio di conservazione. Il pesce arriva ogni giorno freschissimo e lei lo lavora immediatamente: prima un lavaggio in salamoia e poi uno strato di sale alternato a uno di alici, uno strato di sale e uno di alici, fino a raggiungere l’orlo del vaso. Infine chiude la conserva con una pietra tonda presa dal mare e lascia maturare per almeno tre mesi.

Un tempo il recipiente era una botticella di legno che permetteva al pesce di respirare, mentre il sale formava sulle pareti interne del vaso una barriera protettiva. Oggi non si può, per via delle leggi che impongono l’uso della ceramica. Ma Donatella non demorde ed è convinta che un giorno torneremo a gustare le alici di menaica conservate nel legno. Alle volte bisogna aspettare il futuro per tornare al passato.

Le alici di menaica sotto sale sono davvero particolari, con la carne chiara e rosata, il profumo intenso ma al tempo stesso delicato. Si mantengono intatte per anni, con tutti i sapori del mare.

“Si possono gustare in mille modi diversi,” dice Davide aggirandosi tra i banchi di lavorazione. Poi ne prende una, la porta alla bocca e aggiunge: “Ma a me piacciono così, al naturale!”
Io lo imito e insieme a lui mi tuffo nel tempo: ci sentiamo un po’ Greci. Antichi Greci, per la precisione.

Ci sediamo a tavola molto tardi. Siamo tutti un po’ stanchi; è stata una giornata lunga. Ma il cibo del ristorante “Angiolina” di Marina di Pisciotta merita i suoi “tre gamberi” e ci rimette in sesto. Le specialità della casa sono quelle del mare, freschissime come le alici di Vittorio e Donatella. Per noi è come ritornare in barca.

Poi tutti a nanna, su a Pisciotta, il paese che visto dalla Marina sembra a pochi passi e invece è quasi in montagna. I luoghi della natura sono spesso sorprendenti, capaci di ingannare lo sguardo del forestiero. Per raggiungere a piedi il paese occorre almeno mezz’ora di ripida salita: una parete scoscesa, tappezzata di ulivi che sembrano emergere dal mare.

Gli ulivi stanno a Pisciotta come le alici di menaica stanno alla sua Marina. Nella casa dove ho dormito c’è un frantoio del 1707 perfettamente conservato. Il torchio affacciato sul Mediterraneo, la macina rivolta al monte. Un piccolo gioiello rurale ben inserito – quasi incastonato – nel seminterrato di una dimora residenziale. Mi stupisco nel vedere un frantoio in una residenza urbana, ma la padrona di casa mi spiega che a Pisciotta, fino alla metà del secolo scorso, c’erano cinquanta frantoi attivi!

Qui l’ulivo è di casa: presente da sempre e ovunque, radicato nella vita della gente. Gli ulivi sono testimoni diretti del nostro passato. Chissà, forse qualcuno di loro ha visto gli antichi Greci prendere il mare al largo di Capo Palinuro e pescare le alici con le reti di menaica…

Bene, ora è tempo di andare, ci aspettano altri paesi e altri paesaggi.

Quando venite a Pisciotta, seguite il sentiero degli ulivi e raggiungete la Marina: gustate le alici di Vittorio e Donatella, poi visitate gli scavi di Velia e ricordatevi di passeggiare sulla sabbia finissima di Capo Palinuro, l’antica salina delle alici di menaica.

Venite a Pisciotta, nel Cilento; ma non come turisti – mi raccomando – come ospiti!

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