12 febbraio 2016 - La Rosa di Gorizia.

Oggi siamo in Friuli Venezia-Giulia. Il paese è Gorizia; il paesaggio la Piana dell’Isonzo al confine con la Slovenia. Le coordinate geografiche sono 45°56’ Nord e 13°37’ Est.

Lasciamo Udine al mattino presto sotto un cielo grigio. Sulla statale, subito dopo Manzano, comincia a piovere. A Mossa, mezz’ora dopo, entriamo nella nebbia e la giornata di riprese sembra finire prima ancora di cominciare. Invece Davide – seduto in macchina accanto a me – esulta. Adora girare sotto la pioggia e non vede l’ora di aprire il grande ombrello rosso. La sua energia positiva è contagiosa e si diffonde rapidamente tra di noi mentre superiamo l’Isonzo. Oggi il fiume appare dimesso e spento, ma Davide ce lo descrive nella sua forma migliore, quando si tinge di verde smeraldo. Parcheggiamo in città. Quando si pensa a un luogo di frontiera, ecco Gorizia: un piede in Italia, l’altro in Slovenia. Qui si sono incontrate le grandi culture europee, intreccio di atmosfere latine, slave e germaniche che si ritrovano nelle architetture, nei monumenti, nei caffè del centro storico.

Percorriamo il viale principale e entriamo in uno di quei caffè descritti dalla sceneggiatura. Legno alle pareti, legno in terra, legno sul bancone, e poi vetri e specchi ovunque, anche sul soffitto. Il contesto è affascinante ma pericoloso, per Davide e la sua sedia. Gli suggeriamo movimenti lenti e misurati. Gianluca, lo scenografo, lo segue e controlla le curve dell’oggetto. Però Massimo, il regista, ha già acceso la telecamera e grida:
– Siete tutti in campo! Fuori!

Mentre usciamo, la gente nel bar si volta verso di lui.
– Non guardate in camera.
Davide intanto si è avvicinato al banco. La sua sedia ondeggia, ma non urta niente di delicato. La situazione è surreale. La ragazza del bar gli sorride. Un sorriso luminoso e lieve. Noi lo osserviamo dalla strada e cogliamo la prima rosa di Gorizia della giornata.

Quando Davide e Massimo escono dal caffè, ha smesso di piovere. Come al solito creiamo scompiglio mentre attraversiamo le strade e filmiamo i passaggi di Davide in città. La gente lo riconosce e gli chiede quando andrà in onda la trasmissione. Lui non lo sa, però lo dice lo stesso. Ogni persona una data diversa, una battuta, un sorriso. È sempre molto disponibile con le persone, gli piace stare in mezzo alla gente che rende vivi i luoghi. E parlando di luoghi vivi, la cosa che forse stupisce di più qui a Gorizia è il verde. Le dimore storiche si susseguono e ogni cortile è un parco. Questione di antiche ricchezze, certamente, ma anche di amore per la terra e di un radicato rispetto per la natura.

Clima e terreno, in queste terre di confine, di contrasti e armonie, sono ideali per l’agricoltura. Negli orti e nelle campagne, si coltiva da sempre una varietà di radicchio che sembra una rosa appena sbocciata: la rosa di Gorizia. Francesco – il protagonista della puntata – è uno di questi agricoltori. Aveva iniziato il nonno, poi il padre e adesso i figli. La rosa di Gorizia è la specialità di famiglia. Un’opera d’arte da gustare con gli occhi, oltre che con il palato. Si comincia nel campo, che deve essere di medio impasto, ricco di ferro e ben drenante. Raggiungiamo i campi di Francesco in macchina e per fortuna ho portato gli stivali di gomma. Infatti ha ripreso a piovere, per la gioia di Davide che saltella nel fango con l’ombrello in mano e la sedia in spalla.

Il radicchio destinato a diventare una rosa si semina in primavera.
– Non è certo questo il momento – dice simpaticamente il nostro inviato alla macchina da presa, sotto la pioggia battente.
La pianta si coltiva insieme al frumento o all’avena. Una scelta sapiente, che viene dagli antichi e che permette di tenere i diserbanti lontani dal campo. Poi, dopo la mietitura, il radicchio prosegue da solo la crescita. In inverno, infine, quando il gelo brucia le grandi foglie esterne che si ripiegano su se stesse per proteggere il cuore, le piante vengono raccolte, legate in mazzetti e portate al coperto.

I coltivatori realizzano delle speciali stanze di forzatura, dove il radicchio rimane un paio di settimane alla temperatura costante di dieci, quindici gradi, e viene innaffiato spesso per stimolare la vegetazione. Quando la maturazione è completata, la rosa è quasi pronta per sbocciare. La pulitura è l’operazione fondamentale, che le donne di casa realizzano a mano, impiegando ore e ore. Con un coltellino tolgono la terra e poi, foglia dopo foglia, raggiungono il cuore.
– Pensate che da un chilo di raccolto si ottengono solo due etti di prodotto – esclama Davide alla telecamera, seduto nel magazzino in mezzo a un cumulo di terra e foglie.

A questo punto ci trasferiamo in casa, dove Francesco e la sua famiglia hanno preparato due ceste piene di rose di Gorizia. Sono bellissime, sembrano davvero dei fiori appena sbocciati. Il colore è rosso carico, brillante, oppure bianco nella variante “canarino”. Ogni famiglia riconosce le proprie rose, perché da generazioni conserva le sementi e le combina per ottenere varianti cromatiche esclusive. Sono agricoltori o stilisti? A sentirli parlare, sembra che raccontino delle loro orchidee. Provo a chiedere qualcosa di più. Francesco sorride e tace. Si nasconde dietro il suo viso sereno, i capelli bianchi, la pelle arrossata, gli occhi trasparenti. Accenna qualcosa a proposito delle fasi lunari, mi racconta del piacere che prova a disegnarele foglie del suo radicchio e mi parla della semenza che di anno in anno, di generazione in generazione, viene preparata e conservata per la semina successiva.

Poi dice:
– Nessuno di noi darebbe mai le sue sementi ad altri produttori. Sono il nostro patrimonio.

Ma la rosa di Gorizia non è solo bella, anzi bellissima; è anche buona, anzi buonissima. Croccante, con un sapore intenso, appena amarognolo. In cucina si può preparare in molti modi, ma io suggerisco di gustarla al naturale, come la natura e la mano del contadino l’hanno creata.

Gli anziani conservano anche le radici e le condiscono assieme al radicchio. Giurano che siano fantastiche con le verze e la polenta. Il nostro amico Josko – quello dell’aceto di d’uva – prepara le rose saltate nel burro, distese su mele tagliate finissime con una spruzzata di kren. Oppure realizza uno strudel di radicchio con burro, pane grattugiato e ricotta affumicata.

Davide conosce bene tutte queste ricette. Lui – a telecamere spenta – mi confessa che gli basta condire il radicchio con un filo di aceto balsamico e un po’ di olio extravergine di oliva, magari con l’aggiunta di un mestolo di fagioli caldi e una fetta di pane rustico appena riscaldato nel forno a legna. Piatti semplici, capaci di emozionare.

Infine, Davide prende un bocciolo di rosa di Gorizia e lo porta alla bocca. Ma invece di mangiarlo, lo annusa e lo infila delicatamente nel taschino della giacca, come fosse un’elegante pochette. Terrà quella rosa dell’orto anche più tardi, quando verrà il momento di lasciare Francesco e andare verso altri paesi e altri paesaggi.

Venite a Gorizia, nelle campagne dell’Isonzo al confine con la Slovenia; ma non come turisti, mi raccomando, come ospiti.

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