23 maggio 2016 - La famiglia del Parmigiano.

Oggi siamo in Emilia Romagna. Il paese è Collecchio, il paesaggio la campagna sulle rive del Taro. Le coordinate geografiche sono 45°27’ Nord e 9°11’ Est.

Siamo ancora in pianura, ma le colline dell’Appennino sono a un passo da noi. Questa terra di prati, pascoli d’erba medica e boschi è la culla del Parmigiano Reggiano.

La storia del formaggio italiano più famoso nel mondo risale al XII secolo e in ogni forma è racchiusa l’immagine del suo territorio. Come diceva Guareschi: Se prendiamo una lente d’ingrandimento e osserviamo una scaglia di Parmigiano, sembra una foto aerea dell’Emilia presa dall’altezza del Padreterno!

I primi caseifici dedicati alla produzione del Parmigiano erano sorti nei monasteri e nei castelli feudali. Solo i grandi proprietari terrieri disponevano delle materie prime necessarie, considerando che una vacca produceva nel Medio Evo circa tre litri di latte al giorno e che una forma ne conteneva più di cinquecento!

Già nell’antichità, questo formaggio era considerato uno dei simboli del piacere del cibo. Boccaccio descriveva così il Paese dei Bengodi: Et eravi una montagna tutta di formaggio Parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti, che niuna altra cosa facevan, che fare maccheroni e ravioli e cuocerli in brodo di capponi, e poi li gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava, più se n’aveva.

Alziamo in volo il nostro piccolo drone, che dall’acqua del Taro si allunga sui campi d’erba medica e i “prati stabili”. Sono questi terreni, lasciati a vegetazione spontanea, senza arature né coltivazioni, l’anima del Parmigiano. L’erba ottenuta dallo sfalcio sarà il primo alimento delle vacche, l’origine dei suoi profumi e sapori.

Incontriamo Paolo – il protagonista della puntata – nel centro di Collecchio. La sua famiglia ha dedicato la vita alla produzione del Parmigiano Reggiano. La mamma Maria, appena sposata, aveva aperto nei primi anni cinquanta un piccolo caseificio da tre forme al giorno. Da allora, la crescita è stata continua, sempre alla ricerca della qualità. Maria ha proseguito con i figli l’opera che aveva iniziato con il marito; oggi, la famiglia del Parmigiano produce circa settanta forme al giorno. La stalla ospita 1500 capi di proprietà e i terreni dell’azienda si estendono per oltre 500 ettari, destinati al nutrimento degli animali. Numeri importanti, che devono essere ben compresi. Paolo e la sua famiglia sono produttori diretti a ciclo chiuso: in altri termini, tutto ciò che serve a realizzare il loro Parmigiano Reggiano, sono loro a produrlo. La famiglia controlla ogni dettaglio del ciclo di lavorazione. Paolo è il casaro e l’artista della stagionatura, il fratello Tino è il responsabile della stalla: conosce le vacche a una a una come fossero animali domestici e cura con maniacale attenzione ogni aspetto della loro esistenza. La sorella Rosangela si occupa invece della vendita e della promozione, gestisce i negozi e tutti gli aspetti commerciali del prodotto.

«In realtà, siamo interscambiabili, – spiega Paolo. – Siamo cresciuti a Parmigiano Reggiano…»

Dal campo alla stalla, dal caseificio alla vendita, tutto viene prodotto in casa e tutto viene seguito dalla famiglia. La lezione di oggi è che la quantità può andare d’accordo con la qualità. L’importante è che il produttore si identifichi con il prodotto e ne controlli tutta la filiera. Chi fa le cose male, ha scelto di farle male!

Seguiamo Tino nella grande stalla, mentre insieme a Davide dà il fieno agli animali. Progettiamo una sequenza con il drone, che però perde il segnale e impazzisce. Improvvisamente, il suo volo rettilineo svirgola come quello di un calabrone e si dirige verso gli animali. Noi ci preoccupiamo per le vacche, Tino per l’apparecchio.

«Loro non temono niente, – dice, – è il drone che è fragile!»

Alla fine il velivolo si schianta contro un palo. Finisce a terra tra gli zoccoli di una Frisona che non lo calpesta. Lo recuperiamo e sostituiamo l’ala danneggiata. Poi torniamo a volare sui campi, lasciando l’interno della stalla alla macchina da presa saldamente ancorata al cavalletto.

Dopo la stalla, ci trasferiamo nel caseificio, dove la mamma di Paolo ci aspetta paziente da ore. La lavorazione del Parmigiano dura circa un mese. Il processo comincia con l’aggiunta del latte scremato della sera a quello intero del mattino. Il segreto è lasciare più ricco il latte del giorno precedente per ottenere un formaggio più gustoso, destinato all’invecchiamento. Ma è un’operazione rischiosa. Proprio questa è la specialità di Paolo: una sensibilità affinata nel corso degli anni e una vocazione alla sperimentazione continua. I disciplinari tutelano l’identità del prodotto, ma la sua cultura nasce dalla creatività dell’artigiano.

Il latte viene quindi versato nelle caldere, le tipiche caldaie di rame a forma di campana rovesciata. Secondo tradizione, il casaro aggiunge un po’ di siero della lavorazione del giorno precedente. Quest’operazione permette ai fermenti di passare di forma in forma, di generazione in generazione.

La successiva spinatura, cioè la rottura della cagliata per mezzo di un attrezzo detto spino, viene eseguita a mano. Poi inizia una lenta cottura, che porta la massa caseosa a depositarsi sul fondo della caldera. Il formaggio viene estratto, asciugato e messo nelle fascere. Dopo qualche giorno, le giovani forme di Parmigiano sono immerse nelle saline, speciali vasche riempite con una soluzione satura di acqua e sale, che il formaggio assorbe per osmosi.

«Le nostre saline, – mi spiega Paolo, – sono in attività da più di sessant’anni!»

Il formaggio resta a contatto con il sale circa tre settimane, poi inizia l’invecchiamento. Il Parmigiano Reggiano nasce nel campo, ma è nelle scalere di stagionatura che diventa un’opera d’arte. Una stanza di affinamento è impressionante anche alla vista. Corridoi continui di scaffali di legno come le navate di una cattedrale, con decine di migliaia di forme che da terra salgono fino a oltre dieci metri d’altezza. Ogni giorno vengono accudite dalla mano dell’uomo che le ruota, le martella e le spazzola per 24, 36, addirittura 70 mesi e oltre.

«Questo Parmigiano ha 140 mesi!» esclama con orgoglio Paolo offrendoci una scheggia di stravecchio. L’assaggio è un’immersone in un mondo di sapori difficili da descrivere. La parola chiave potrebbe essere intensità. Si percepiscono i profumi delle spezie, del tabacco, del legno. Ma è la magia del tempo che supera l’analisi sensoriale e lascia ognuno libero di cogliere ricordi ed emozioni racchiusi nei sapori.

La ricerca della qualità ha portato Paolo e la sua famiglia a produrre anche un Parmigiano molto innovativo: un cru di Bruna alpina, la razza con un latte naturalmente più ricco di grasso e di caseina – circa il 25% in più rispetto a una Frisona – che permette una lavorazione ancora più estrema. E poi l’Oro Nero, un formaggio a latte crudo, pasta semidura e lenta maturazione che stagiona circa nove mesi.

«È come mettere al mondo un bambino!» esclama con orgoglio Paolo.

Forma cilindrica, scalzo quasi dritto, struttura della pasta a grani molto morbidi e minuti. Nasce dallo stesso latte del Parmigiano ed è una delle invenzioni di una famiglia che riesce a rispettare le tradizioni solo innovandole.

Questa è l’Italia della qualità!

Bene, ora è tempo di andare, ci aspettano altri paesi e altri paesaggi.

Venite in Emilia Romagna, nelle terre del Parmigiano Reggiano; ma non come turisti – mi raccomando – come ospiti!

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