21 aprile 2015 - Il torrone di Crema.

Oggi siamo in Lombardia. Il paese è Crema, il paesaggio la Pianura Cremasca. Le coordinate geografiche sono 45°21’ Nord e 9°40’ Est.

Parto con comodo da Genova; l’appuntamento è intorno alle dieci del mattino. All’altezza di Tortona, squilla il telefono. È Davide, che è già quasi arrivato. So che in questo momento dovrei svoltare a destra verso Piacenza, ma sono distratto e mi lascio guidare verso nord dal navigatore. Quando riattacco, Davide sta probabilmente già indossando l’abito di scena nella gelateria di Mauro, il protagonista della puntata, mentre io procedo a passo d’uomo lungo la tangenziale di Milano. Una situazione irritante. La tangenziale è un luogo – o meglio, un non luogo – scritto nel destino dei milanesi; Davide lo conosce bene e per questo lo evita muovendosi all’alba, partendo in anticipo per non arrivare in ritardo.

Procedo lentamente, circondato di macchine. Piccoli mondi dove ognuno ha qualcosa da fare. Tamponarsi adesso sarebbe un gioco da ragazzi. Mi concentro ed evito il pericolo. Quando esco dalla grande strada abbasso i finestrini e respiro, ma è solo un attimo. Ci sono le statali di pianura da percorrere, sempre dietro qualche camion. Il paesaggio scorre monotono, con fabbriche e campi di cereali attraversati da vie affollate. Un tempo, tutto questo era bosco, con acqua, fiumi e risorgive: paludi e marcite che rendevano il territorio selvaggio e poco sfruttabile. Poi fu progressivamente bonificato, cambiò volto e divenne la terra degli scambi, dei commerci, della produzione.

Crema nacque intorno al Mille come borgo fortificato, posto su un lieve rialzo del terreno. Ma era lì, tra Milano e Venezia, al centro delle grandi vie di comunicazione. Una città destinata a far fortuna. Alla metà del Quattrocento divenne veneziana: un lembo di Serenissima all’interno del Ducato di Milano. Sono ancora tanti i riferimenti a Venezia disseminati nella città: iscrizioni, leoni di San Marco, icone di Cannaregio. Crema era un avamposto veneziano, al centro dei suoi Domini di Terra, con una diocesi che estendeva il proprio controllo fino a Genova.

Entrando in città, le macchine diventano di colpo biciclette, le case e le fabbriche monumenti. La pianura degli scambi si trasforma in una città d’arte e cultura, dove i ritmi serrati della produzione diventano i tempi lenti della contemplazione. Crema offre una concentrazione di chiese, monumenti e dimore storiche davvero unica. Siamo venuti qui per parlare di torrone, ma siccome la preparazione artigianale di questo dolce tipico – ormai in via di estinzione – è molto lunga, decidiamo di filmare prima la città e i suoi scorci migliori.

Ci accompagnano Mauro e Annunziata, una guida molto esperta, che ama la sua città e con pazienza ci apre le porte dei luoghi più interessanti. Grazie a lei riusciamo a fare un po’ di selezione; troppa bellezza rischia di stordire.
Iniziamo dal Duomo, un edificio di grande armonia, misto di romanico e gotico. Nel campanile della Cattedrale suonano ancora le campane settecentesche della fonderia Crespi. All’interno scopriamo un crocefisso ligneo, con un Cristo dal volto magnetico. La sofferenza affiora cruda dalla piega degli occhi allungati, dalle labbra strette, dagli zigomi alti e sporgenti. Siamo di fronte a un Dio diverso e inatteso, dai lineamenti orientali, quasi mongoli o caucasici.

Poi l’Arco del Torrazzo, uno dei simboli della città, e una visita al Palazzo Comunale. Annunziata ci porta all’interno, per filmare la piazza dai balconcini dell’edificio. Massimo posiziona la telecamera e inquadra Davide, davanti al Duomo, circondato di passanti che lo riconoscono e si fanno fotografare con lui. Stupisce sempre la forza della televisione.
Un salto fuori città per ammirare la Basilica di Santa Maria della Croce e poi la tappa più suggestiva: il refettorio dell’ex Convento di Sant’Agostino, oggi Museo Civico.

Si diceva della potenza di Crema e della sua diocesi. Ecco spiegate le dimensioni di questo convento, la bellezza dei chiostri e l’imponenza degli affreschi del refettorio realizzati da Pietro da Cemmo. Alle estremità della sala due grandi immagini della Crocefissione e dell’Ultima Cena, ai lati le lunette dei padri agostiniani, le raffigurazioni monocrome dei re d’Israele e un tessuto decorativo di grottesche e fregi che corrono lungo le volte. Un luogo che merita una visita attenta. Un tesoro nascosto, da scoprire e valorizzare.
Infine raggiungiamo le vecchie mura, nella zona di Campo di Marte. C’è un prato con l’erba alta, il baluardo in mattoni rossi che luccicano alla luce del sole. Davide raggiunge un punto riparato e finalmente si siede. All’ombra delle vecchie mura, si sente come a casa.

Nel frattempo ci telefona la moglie di Mauro. Siamo in ritardo e il torrone rischia di bruciare. Lasciamo la storia di Crema ed entriamo nel vivo di quella di Mauro, uno dei migliori gelatieri d’Italia. La sua famiglia aveva un piccolo ristorante e offriva un po’ di gelato come dessert nei giorni di festa; suo padre decise invece di puntare su questo prodotto e aprì una gelateria. Mauro lo seguiva da lontano, aveva altri progetti. Si occupava della gestione di strutture complesse, pericolose e affascinanti. Un lavoro che durò fino al referendum sul nucleare. Poi la decisione di tornare alla dimensione artigianale di famiglia, forte però dell’esperienza acquisita, avendo maturato un’attenzione quasi maniacale al controllo dei processi di lavoro. Iniziò studiando i cibi e la chimica degli alimenti, poi affinando la gestione delle produzioni. La sua attività è da oltre vent’anni di altissima qualità: il suo locale un punto di riferimento per la degustazione del gelato artigianale.

Una decina d’anni fa, si mise in cerca di un produttore di torrone per realizzare nuovi semifreddi. Ma non lo trovò. Scoprì che nella sua città – così come a Cremona – non c’era più nessuno che producesse in maniera artigianale il dolce tipico. Decise allora di fare da sé e iniziò studiando le antiche ricette, ascoltando le testimonianze dei vecchi artigiani ancora in vita ma non più in attività. Poi acquistò macchina degli anni Cinquanta con la caldaia in rame per scaldare il miele a bagnomaria. Infine cominciò a sperimentare, sbagliare e riprovare. Selezionò gli ingredienti migliori, mise a punto le dosi e iniziò la produzione.

Al mattino presto si mette il miele a scaldare. Una cottura lenta e prolungata, che l’industria risolve con temperature altissime. Il miele è l’ingrediente fondamentale del torrone, la sua anima dolce. Mauro usa miele biologico di un piccolo produttore locale: una miscela di robinia, tiglio e amorpha fruticosa, una pianta selvatica che cresce sulle rive del Serio e dell’Adda. Dopo circa tre ore si incorpora l’albume delle uova, sgusciate a una a una. Poi altre cinque ore di cottura, continuando tenacemente a menare il torrone, l’aggiunta dello zucchero di canna cotto e infine delle mandorle, che costituiscono oltre il 50% del prodotto finale. Mauro usa mandorle di Toritto, presidio Slowfood della Puglia.
È interessante notare che l’ingrediente principale del torrone cremasco viene dal Sud. Qui, nelle terre dell’Isola Fulcheria, non esistono mandorli. Segno che probabilmente questi frutti preziosi erano stati portati dai mercanti in viaggio lungo la rotta degli scambi e poi rielaborati secondo ricette ebraiche e arabe, culture da sempre legate all’uso del miele e della frutta secca.

Dopo otto ore di lavorazione, la massa del torrone è pronta per l’estrazione. Ma non è facile da lavorare, così calda e densa. Si arrotolano dei grossolani cilindri da un paio di chili l’uno e si ricavano delle piccole porzioni da un paio d’etti ciascuna. Per distinguersi dall’industria, invece delle tradizionali stecche di torrone, Mauro realizza a mano delle tortine che vengono confezionate ancora calde, in modo che il prodotto non assorba umidità e non perda la caratteristica fragranza.
Chi pensa che il torrone sia un dolce duro, deve provare quello artigianale cremasco.
– È morbido come Crema! – esclama Davide di fronte alla telecamera.

Quando ci salutiamo, Mauro mi consegna un sacchetto con un po’ del torrone prodotto oggi. Si raccomanda di non mangiarlo subito, ma di aspettare un paio di settimane perché i gusti si stabilizzino e gli aromi trovino il proprio equilibrio. Nel frattempo, noi ci muoviamo verso nuovi paesi e nuovi paesaggi.
Venite a Crema, città d’arte e torrone; ma non come turisti, mi raccomando, come ospiti!

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