28 ottobre 2014 - Il risveglio delle vacche “strache”.

Oggi siamo in Lombardia. Il paese è Corna Imagna, il paesaggio quello dell’omonima valle. Le coordinate geografiche sono 45°49′ Nord e 9°32′ Est.

Il viaggio è senza sussulti, da Genova a Dalmine passando per Milano. Monotono, piatto, autostradale. Una galoppata attraverso la Lombardia delle industrie e delle comunità denuclearizzate: la città infinita, come la chiama Aldo Bonomi.

Poi, alle porte di Bergamo, si imbocca la statale e si comincia a salire. Il Resegone è lassù, ancora non si vede ma già si sente. La strada risale la valle e rimane lieve, le curve appena abbozzate. Poi, a un certo punto, si entra in un altro mondo. Lo si percepisce tutt’intorno, con i profumi intensi del castagno dopo la pioggia.

Questa è una valle molto aperta che si divide in due. Il lato sinistro è ben esposto al sole ed è tutto un susseguirsi di boschi alternati a pascoli, campi e villaggi. Il lato destro orografico è invece in ombra ed è tutto selva. Castagni e faggi. Tantissimi. Il Resegone è in alto, prolungamento naturale di questo versante. La montagna che da Lecco mostra la sommità merlata, a forma di sega, vista da qui è un morbido panettone. Linee aspre da una lato, delicate dall’altro. Un monte dalla doppia personalità.

Nel centro esatto del costone, in mezzo al bosco, sorge il Santuario della Madonna della Cornabusa, ricavato all’interno di una profonda grotta naturale in un punto a strapiombo. Il nome deriva proprio dalla cavità, che in bergamasco si dice corna busa, “roccia bucata”. Risale al ‘500 ed è diventato il punto di riferimento della valle, un luogo impervio e isolato, avvolto da un’atmosfera di mistica quiete.
Lo osservo in silenzio, da lontano, e mi sento come a casa.

Questa è una valle con una storia antica, che rischia di perdersi risucchiata dalla pianura e dalle sue modernità. Fino a pochi anni fa era abitata dai “Bergamini”, gli antichi pastori transumanti. Sono stati loro a creare lo stracchino con il latte delle vacche strache, cioè stanche, per via dei continui spostamenti in montagna. Lo stracchino – nato quasi per necessità – è diventato famoso in tutta Italia.

Il protagonista della puntata, Antonio, è il direttore del Centro Studi Valle Imagna. Oggi non parliamo di un prodotto e del suo artigiano, ma di un’istituzione e del suo territorio. La filosofia di Antonio e del Centro Studi è semplice, ma genera imprese ardite. L’obiettivo è valorizzare la valle attraverso il recupero della sua storia e dei suoi beni materiali. Antonio s’illumina quando mi spiega che gli oggetti della cultura materiale, come una castagna essiccata, un tetto in piöde, una forma di stracchino o il latte di una Bruna Alpina, sono le radici di un popolo: ne racchiudono la storia e l’identità, come i libri.

Per prima cosa, il Centro Studi ha iniziato a studiare. La valle e la sua gente, la lingua, l’alimentazione, il lavoro, la festa, la devozione. Poi ha cominciato a scrivere e a pubblicare testi. Sono nate dodici collane che comprendono oltre cento volumi: un patrimonio vivo di conoscenze della Valle Imagna. Ci sono libri fotografici, ricettari in lingua, saggi di botanica, antropologia e cultura materiale. Un mondo dove perdersi per poi ritrovarsi, migliori di prima. Antonio mi mostra uno splendido dizionario Italiano-Bergamasco in tre volumi del ‘700. Un’opera nata con l’intento di aprire le frontiere della valle e insegnare l’Italiano a un popolo che parlava solo il Bergamasco.
Recuperare quella pubblicazione significa recuperarne lo spirito.

Il Centro Studi Valle Imagna è riuscito poi ad acquistare l’antico borgo abbandonato della contrada Roncaglia. Fondata poco dopo il Mille, era stata abitata anche dagli avi di papa Giovanni XXIII. Il restauro della contrada ha ridato vita alle pietre dei muri, ai mattoni in cotto, agli assiti di castagno, ma soprattutto ai tetti in piöde, la specialità del posto assieme allo stracchino.

I tetti in piöde della Valle Imagna sono capolavori di architettura montana che stiamo perdendo. Fino a pochi decenni fa erano tutti così: oggi sono rarità che vale la pena di raccontare.
Intanto sono aguzzi, quasi verticali. Le lastre di ardesia sono sovrapposte ad arte, una sull’altra in modo che il peso e le loro forme, opportunamente scelte e perfezionate dallo scalpello del mastro, le tengano insieme impedendo alle intemperie di filtrare. Visti da sotto, i tetti in piödesono pieni di buchi: fanno girare l’aria e non lasciano passare l’acqua, il vento e la neve.

Nell’antico borgo è stata inoltre realizzata una locanda, aperta tutto l’anno, che offre da mangiare e da dormire nelle stanze arredate con i mobili tipici. La cucina propone solo piatti del luogo, con prodotti di casa.

Sara è la locandiera, Roberto il cuoco. Entrambi artigiani dell’accoglienza. Oggi è domenica e il ristorante è pieno, ma per noi hanno preparato qualcosa di speciale: gallina bollita con castagne e noci. Prima un assaggio di ravioli burro e salvia con le erbe selvatiche, poi un pizzico di risotto e ballotin, i tipici fagottini di polenta di farina grezza macinata a pietracon un cuore di stracchino. I ballotin si lasciano dorare sulla piastra del forno quel tanto che basta per creare una sottile crosta croccante all’esterno e sciogliere il formaggio all’interno. Sono deliziosi. Antonio mi racconta che erano sempre presenti in casa e quando si tornava da scuola erano la prima cosa che finiva sotto i denti affamati dei ragazzi.

Le castagne e lo stracchino erano la base dell’alimentazione in valle. Due veri pilastri della cultura locale. Insieme al Comune di Corna, il Centro Studi Valle Imagna ha costituito una cooperativa di piccoli allevatori che producono lo Strachì originale. Il caseificio è in paese, lungo una strada selciata perfettamente restaurata e davanti a un vecchio fienile con il caratteristico ingresso a forma di T: piccolo in basso – con appena lo spazio per le gambe del contadino – e grande in alto, per fare posto alla gerla del fieno. Una forma che è diventata il simbolo del Centro Studi e della sua contrada.

Uno degli edifici che si affacciano sulla corte del borgo è l‘essiccatoio delle castagne, il secadur, che il Centro Studi ha restaurato e rimesso in attività per recuperare anche quel tassello importante della vita in valle. Un camino con fuoco di legna di castagno e un graticcio posto di fronte, a un paio di metri di altezza. Si accende il fuoco e si dispongono le castagne. Poi si chiude la porta e si lascia tutto lì, a riposare. Il fuoco deve essere alimentato tre volte al giorno e la fiamma deve rimanere bassa ma costante. La castagna la gh’à de brasà, mia de brösà! Dopo una settimana, le castagne secche vengono sbucciate e sono pronte per essere macinate e diventare farina, oppure conservate e mangiate in ogni momento dell’anno, con quel buon gusto di affumicato che trasforma una necessità in specialità.

Come vedete, tutte le iniziative del Centro Studi Valle Imagna sono anche progetti di micro-economia. Tutti gli interventi producono reddito. Davide si toglie gli occhiali, guarda nella macchina da presa e dice una cosa di cui siamo tutti convinti: «I luoghi muoiono, se non generano benessere…».
Bene, adesso è tempo di andare, ci aspettano altri paesi e altri paesaggi. Venite in Valle Imagna, ma non come turisti, mi raccomando, come ospiti.

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