17 febbraio 2015 - Il mondo di cartapesta.

Oggi siamo nel Veneto. Il paese è Malo, il paesaggio l’Alto Vicentino. Le coordinate geografiche sono 45°39’ Nord e 11°23’ Est.

Il viaggio inizia a Genova, subito dopo la partita Sampdoria-Sassuolo: il momento peggiore per mettersi in strada. Il pubblico esce dallo stadio e m’ingabbia lungo il Bisagno. Procediamo molto lentamente, come una colonna militare in marcia verso la linea del fronte. Però ho tempo, così mi metto comodo e ascolto un libro. Scelgo Addio alle armi, il testo giusto per entrare in sintonia con i luoghi dove sono diretto. La voce calda di Tommaso Ragno dà corpo alle parole di Hemingway e alla traduzione di Fernanda Pivano: una lingua esatta, fatta di parole semplici e piane, sostantivi ripetuti e sentimenti scolpiti.

Scende la notte e l’autostrada si svuota: la guerra emerge dalla narrazione. Parole che prendono forma. Domani saremo al cospetto del Pasubio, del Summano, dell’Altipiano di Asiago; basterà mettersi lì, nella piazza di Malo o sulla collina poco più in alto e guardare verso nord, allungare la mano e toccare la prima linea del fronte. Sentire il respiro pesante del conflitto, l’ansia di un’umanità capace – nonostante tutto – di sopportare.

L’appuntamento con i miei compagni di viaggio è in un bel ristorante sulle colline di Schio. La serata è limpida e la vista toglie il fiato. Ma ho nella mente le pagine di Hemingway e confondo le luci della pianura con i fuochi degli accampamenti. Davide siede a capotavola; Massimo è accanto a lui, poi ci sono Pietro, Marco e Gianluca. Paesi, paesaggi siamo noi. Hanno tutti già mangiato, io non mangerò. Pietro mi riempie il bicchiere e dice:
– Guerrino è malato. Domani non verrà.
Guerrino è il protagonista della puntata, l’artefice del mondo di cartapesta che siamo venuti a raccontare.
– Come malato?
– Ha la febbre, l’influenza.
– Potrebbe guarire…
– Non verrà.

Sento lo sguardo di Davide su di me. Anche Massimo – il regista – aspetta.
– Cosa facciamo, torniamo a casa? – chiede Pietro.
Prendo la sceneggiatura dalla tasca della giacca e chiedo una penna alla proprietaria del locale. Mi accingo a fare qualche correzione.
– Non c’è Guerrino, – dico, – ma ci sono le sue maschere. Qualcosa inventeremo.
Quando non sai cosa fare e sei determinato a farla, in genere sarà una buona cosa. Aggiustiamo qualcosa nel testo, poi risaliamo in macchina e andiamo a dormire.

L’indomani mattina, senza Guerrino, entriamo nel suo mondo. Lui è uno scultore e uno scenografo: un grande artista che è nato nella campagna vicentina e ha fatto fortuna tra le calli di Venezia. Lo immagino come Arlecchino: affamato della vita. La cartapesta e il Carnevale di Venezia gli hanno dato l’opportunità di diventare famoso. Le sue maschere sono state usate da grandi registi a teatro e nel cinema, ad esempio da Zeffirelli nella Traviata e da Stanley Kubrick in Eyes wide shut.

Scopro che Guerrino ha anche lavorato a due edizioni del Festino di Santa Rosalia, poco prima che ce ne occupassimo Davide e io. Quanti ricordi ci accomunano: Palermo e la sua santa, il miracolo della peste, la vita che brucia la morte nel mare davanti alle Mura delle Cattive.
Ma Guerrino ha anche partecipato alla ricostruzione del Teatro La Fenice di Venezia e ha lavorato in tutto il mondo, dalla Cina all’America e al Giappone passando per la Russia.
Adesso è tornato nel vicentino lasciando Venezia e i suoi turisti. Il comune di Malo ha trasformato la sua bottega in un museo che è un mondo vivo, accessibile a tutti. Dietro ogni maschera ci siamo noi, i nostri caratteri, i nostri sogni, tutti i nostri paesi e paesaggi.

Massimo accende la telecamera. Le mani che lavorano in primo piano sono quelle di Ilaria, l’assistente di Guerrino. Comincia da un disegno, poi realizza un modello in creta da cui ricava un calco in gesso dove inserisce la carta, che poi lascia asciugare, taglia e dipinge. Ilaria schizza su un foglio il volto di un uomo dalle guance cadenti e il naso affilato come la pruna di una nave. Poi prende la creta, la scalda e la maneggia con tocchi rapidi. Le sue mani sembrano quelle di un cieco che osserva sfiorando le cose.
Realizza la colata di gesso e nell’interno del calco dispone i pezzetti di carta che spennella con colla vinilica. Quando la maschera è asciutta, la separa dalla forma, la taglia e ne smussa le imperfezioni, lisciando la superficie con una carta abrasiva. Infine la dipinge utilizzando colori vivi, allegri come quelli del Carnevale.

Con noi c’è anche l’assessore alla cultura di Malo. Ci spiega che in città la tradizione del Carnevale è antica e che ogni anno i carri sfilano per conquistare la Pessa, uno stendardo decorato a mano che ricorda il gesto del pessare, cioè del rammendare.
Scendiamo in strada per filmare l’arrivo di Davide. Lui cammina lungo il corso con la sedia in spalla, guarda la macchina da presa ed estrae dalla tasca del cappotto un libro. È Libera nos a Malo, di Luigi Meneghello, un grande scrittore di questa piccola città. Forse la nostra rubrica stimolerà qualcuno a leggere le sue pagine: ritratti solidi e intensi di questa terra e della sua gente.

Nel frattempo Davide passa accanto al tavolino di un bar e ruba un assaggio di crostoli e frittelle, i dolci tipici del Carnevale. Infine s’incammina sulla collina, quella che guarda la linea del fronte; trova un bel pianoro coperto da una spruzzata di neve e posa la sedia. Poi prende una maschera con il volto di Guerrino e svela al pubblico che l’artista ha la febbre. Non c’è, ma è come se fosse lì con noi.
Ecco l’idea che ieri sera non potevamo nemmeno immaginare. Che nel laboratorio di Guerrino, tra le sculture di cartapesta del Sole, della Luna, di Eolo e della Primavera, tra festoni di frutta matura, Arcimboldi e caratteri della Commedia dell’Arte, ci fosse anche lui, Guerrino: la sua maschera tra le maschere.
Un piccolo colpo di teatro, sul colle che guarda il fronte.

La maschera ha una potenza antica che riemerge dai secoli e canta con il coro le vicende degli esseri umani. Basta metterla davanti al volto e lo spettacolo è già iniziato. Nel frattempo, Massimo s’impantana con la sua macchina nel fango del sentiero. La giornata termina come nelle pagine di Hemingway, con il regista che accelera, le ruote che pattinano e noi dietro a spingere. Frederic Henry aveva perso così la sua ambulanza, smarrendo la truppa e vagando come un’ombra tra i disertori.
Noi invece risaliamo il sentiero e quando tocchiamo l’asfalto è già tempo di andare: ci aspettano altri paesi e paesaggi.

Venite a Malo, nell’Alto Vicentino, ma non come turisti – mi raccomando – come ospiti!

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