27 maggio 2016 - Il miele supremo di Matilde di Canossa.

Oggi siamo in Emilia Romagna. Il paese è San Polo d’Enza, il paesaggio le colline di Matilde di Canossa. Le coordinate geografiche sono 44°37’ Nord e 10°25’ Est.

Questi colli conservano intatto il fascino del Medio Evo, con antichi borghi e castelli e pievi che spuntano dalla vegetazione. La giornata è cupa, sospesa nell’incertezza: deve volgere al bello, ma non si decide a farlo. Quando lasciamo il centro di San Polo d’Enza, una fitta coltre di nubi schiaccia il cielo e avvicina l’orizzonte. Fa freddo. Indossiamo il cappello e la giacca a vento per inerpicarci sulle colline di donna Matilde, il capo chino e l’atteggiamento penitente, come controfigure di Enrico IV. Ogni tanto, una lama di luce filtra tra le nubi e illumina un angolo di paesaggio, reso ancora più suggestivo dalla minaccia della pioggia. Delle cartoline – noi di Paesi, paesaggi – non sappiamo che farcene. Così, per un istante, speriamo addirittura che un acquazzone si rovesci all’improvviso sulle nostre teste di viandanti, e scivoli rapido a valle tra le pieghe dei calanchi che spaccano i boschi e le distese di prati a mezz’aria.

Alice, la protagonista della puntata, ci riporta subito con i piedi per terra. Siamo qui per parlare del suo miele e delle sue api. Un mondo meraviglioso che detesta il freddo, teme il vento e si tiene il più lontano possibile dalla pioggia. Per imparare a dialogare con le api, abbiamo bisogno della primavera.

Per fortuna, il tempo migliora rapidamente e già alla fine della mattinata possiamo togliere gli abiti pesanti. Dopo essere stati imperatori penitenti, diventiamo un piccolo sciame in cerca di un alveare.

Nella tenuta di famiglia, Alice si dedica insieme alla mamma Fulvia alla cura delle api, che abitano oltre 150 ettari di boschi, prati e animali in libertà.

Nel corso degli anni, la sua famiglia si è presa cura di questo territorio piantando oltre ottomila alberi, tutelando i castagni, le acacie, i biancospini, e preservando distese di prati dove vivono oltre duecento varietà di fiori.

L’apicoltura è l’unica forma di allevamento, perché preserva le biodiversità. Gli asini si muovono eleganti e placidi nei pressi dell’apiario, lungo il rio Bottazzo, ma ci sono anche falchi, fagiani, poiane, gufi, lepri, caprioli e cerbiatti, volpi, tassi, scoiattoli. Per avvertire la loro presenza basta fermarsi e restare in silenzio, guardare e ascoltare. Immaginare.

Davide raggiunge in macchina l’apiariomentre io sfrutto un passaggio su un quad e attraverso il bosco. È la prima volta che salgo su una di queste moto ibride e sono molto curioso. Bastano pochi metri per capire quanto sia facile ribaltarsi. Per fortuna, il mio pilota conosce bene il terreno che si nasconde sotto l’erba alta. Mi affido a lui, anche quando il mezzo si blocca a metà di una salita e il motore si spegne. Chiudo gli occhi e quando li riapro sto già salutando Fulvia, la mamma di Alice, che tutti chiamano “mamma ape”. È tempo di cambiare nuovamente abbigliamento: tolgo il casco da motociclista e prendo quello da apicoltore. Non sono un esperto e infatti lo indosso al contrario. Lo terrò così, un po’ bizzarro e fuori dalle regole. Poi la giacca, i guanti, i pantaloni, la macchina fotografica. Stiamo entrando nel meraviglioso mondo delle api. Occorre muoversi lentamente. Cercare la propria pace, osservando i dettagli della loro vita.

In questa stagione, in ogni arnia di Fulvia e Alice vivono circa 50.000 api della specie italiana Ligustica, forse la migliore del mondo, sopravvissuta alle glaciazioni e giunta fino a noi. Ogni sciame conta un’ape regina, qualche centinaio di fuchi e decine di migliaia di operaie. L’arnia è una grande famiglia, dove tutti hanno bisogno di tutti. La vita è scandita dai ritmi del lavoro, che sono intrecciati con quelli dell’esistenza. Si vola, si impollina, si produce miele, ci si nutre, ci si accoppia: tutta la vita è in funzione della vita. Niente è casuale, superfluo o approssimativo.

Fulvia solleva un telaino e lo porge a Davide. Le api sono calme e la loro attività ipnotica. Sappiamo che tutto ciò che vediamo è linguaggio. Ogni movimento delle api è un preciso segnale al resto della comunità. Noi osserviamo e ci perdiamo nel nulla, come accade allo straniero quando ascolta una lingua sconosciuta. Le parole diventano suoni, i suoni musica e la musica emozioni. Non comprendiamo ciò che le api stanno dicendo, ma ne restiamo ugualmente affascinati.

Con paziente regolarità, Fulvia mette e toglie i telai dell’arnia alla ricerca dell’ape regina. A un tratto la vede e la mostra alla telecamera. Anche Davide la segue con il dito. Poteva essere ovunque, invece ci aspettava al centro di tutto: proprio nel mezzo del telaio centrale dell’arnia.

L’ape regina si accoppia una sola volta nella vita, una settimana dopo essere nata. Il volo di fecondazione dura altri due o tre giorni. Un breve viaggio durante il quale viene fecondata dai fuchi e riempie le scorte di spermatozoi che le serviranno per tutta la vita. Al termine di quell’unico volo, l’ape regina non uscirà mai più dalla sua arnia. Vivrà anche cinque anni, al contrario delle altre api che muoiono dopo poche settimane. In primavera arriverà a deporre 2500 uova al giorno, nelle celle preparate dalle operaie. Sarà nutrita con pappa reale e continuamente assistita, riscaldata, imboccata. L’ape regina non è in grado di cibarsi da solale sue ghiandole mandibolari secernono feromoni che vengono assorbiti dalle altre api e trasmessi di bocca in bocca per comunicare che è in buona salute e che sta deponendo le uova. Ogni famiglia possiede un odore distintivo, che è anch’esso una forma di linguaggio che permette alle api di ritrovare i propri luoghi e di riconoscersi a vicenda.

Da ogni arnia, Alice estrae al massimo una trentina di chili di miele. Potrebbe ricavarne quasi il doppio, ma preferisce lasciarlo alle api e al loro benessere. L’industria si comporta in maniera esattamente opposta: spreme da ogni famiglia la massima capacità produttiva, estrae tutto il miele possibile nutrendo le api con zucchero e prodotti chimici. E quando si ammalano, le cura con antibiotici.

«Le nostre api invece sono resistenti, – spiega con orgoglio Alice. – Vivono del loro miele, secondo natura…»

La natura è una meravigliosa ricercatrice di armonia. Forza e delicatezza, tenacia e leggerezza. Equilibri instabili, eppure perfettamente bilanciati. Mi piace pensare alle api di Alice e Fulvia come a tante piccole Matilde di Canossa, regine al centro del loro mondo.

Nel frattempo il vento rinforza e il volo delle api diventa più nervoso. È il momento di lasciarle per andare a scoprire il loro miele. In laboratorio, le lavorazioni sono tutte manuali, telaino dopo telaino. Il miele viene filtrato quattro volte, non viene mai eseguito alcun trattamento termico e la cristallizzazione non viene mai bloccata. Tutto si svolge nel rispetto delle tradizionali tecniche di lavorazione artigianale, pensate per la salute delle api e la qualità del loro miele.

Ogni vasetto di questo miele supremo è firmato a mano ed è un vero dono della natura, raccolto dalle mani dell’uomo. Anzi, delle donne!

Bene, ora è tempo di andare, ci aspettano altri paesi e altri paesaggi.

Venite in Emilia Romagna, nelle terre di Matilde di Canossa; ma non come turisti – mi raccomando – come ospiti!

Clicca qui per leggere l’articolo pubblicato su mentelocale.it

 


| realizzato da panet.it |  | ©2008 Luca Masia |