15 dicembre 2015 - Il grano della Majella.

Oggi siamo in Abruzzo. Il paese è Guardiagrele, il paesaggio il Parco Nazionale della Majella. Le coordinate geografiche sono 42°11′ Nord e 14°13 Est.

In Abruzzo basta mezz’ora per passare dalle onde dell’Adriatico alla neve della Majella. Lasciamo nel pomeriggio la costa dei trabocchi, dove abbiamo girato una bella puntata sui ragni di D’Annunzio, e saliamo verso le alture di Guardiagrele. È buio e fa fresco. La serata però è limpida e c’è una bellissima stellata. Tra le stelle della Majella brilla quella di Peppino – il protagonista della puntata – uno chef che divide gli onori della guida Michelin con la sua famiglia. Innanzitutto la madre Ginetta, che molti anni prima aveva aperto una piccola osteria vicino al mulino, come rivendita di panini e bibite e vino per gli operai della zona; poi la moglie Angela – un vero angelo dei fornelli – e i figli: Arcangelo in cucina e Pascal in sala. Sono stati entrambi alla scuola di grandi maestri francesi e italiani, poi sono tornati sulle pendici della Majella. Nelle grandi città farebbero chissà quali numeri, ma qui hanno l’aria e i cibi che servono alla loro cucina. Il ristorante da un latola fattoria dall’altro: le verdure dell’orto, gli animali della stalla, le ricette di casa.

Anche Peppino, da ragazzo, era stato nel mondo a imparare il mestiere. Quando era tornato a Guardiagrele aveva capito che non c’era la possibilità di cucinare come aveva imparato a fare alla Giudecca, da Cipriani; così, a poco a poco, ha plasmato le sue capacità con le qualità della sua terra, inventando una cucina raffinata ma gustosa, sempre a misura di palato. Chi meglio di lui può guidarci alla conoscenza della Solina, la madre di tutti i frumenti abruzzesi?

La Solina è un grano tenero molto antico, documentato già nel Cinquecento, che cresce in montagna oltre i mille metri di altitudine. Un frumento biologico, perché in inverno a quelle altezze nessun parassita si azzarda ad avvicinare le piantine che fanno capolino tra il ghiaccio e la neve. Peppino ci accompagna tra le zolle dei suoi luoghi, presentandoci agricoltori e mugnai. Quando impiega la Solina per fare il pane e la pasta in casa, reinventando i piatti della tradizione, lavora anche al rammendo del territorio. Se ci pensiamo bene, un ristoratore è un narratore che mette in scena le vicende della comunità, la sua storia e la sua cultura. Il convivio ha da sempre la forza del teatro. Forse più del teatro.

Domani ci arrampicheremo sulla Majella, tra i campi appena seminati di Solina. Adesso invece, prima di cena, diamo un’occhiata al paese. Guardiagrele è un antico borgo di origine medievale, della cui cinta muraria resiste la torre a fare da argine. Poco più in là c’è la porta di San Giovanni: la varchiamo e percorriamo il corso in leggera salita. Alcune costruzioni restano splendide. Colpiscono i ferri battuti dei balconi, sottili e slanciati, come realizzati per sottrazione. Infine la cattedrale di Santa Maria Maggiore. Mi appoggio al muro e tocco la pietra della Majella, alzo la testa e mi perdo nella torre campanaria del Trecento, poi giro intorno alla facciata e scopro un porticato che sembra l’antica loggia del mercato. Al buio non vedo subito l’affresco di San Cristoforo, poi ne scorgo la monumentalità e la finezza scrostata dal tempo. Domani mattina torneremo qui, con la luce del sole e la sedia di Davide.

Tutto questo domani. Adesso dobbiamo tornare al ristorante: Peppino batte il tempo. Prima però passiamo in pasticceria a prendere le sise delle monacheil dolce tipico di Guardiagrele. Due strati di pan di spagna farciti di crema pasticcera. Il nome è bizzarro. Peppino diventa serio e ci fa notare la forma del dolce, con tre protuberanze.
– Le monache di Guardiagrele avevano tre seni? – domanda Gianluca, il nostro scenografo, esperto di dolci e di seni.
– Pare di sì – ammette Peppino – Due erano veri, il terzo lo mettevano al centro del petto per rendere meno evidenti gli altri…
Incartiamo le sise e torniamo al ristorante. Non abbiamo prenotato e siamo ospiti; non possiamo arrivare in ritardo.

Peppino si siede al tavolo con noi. Arcangelo, il figlio chef, lavora nell’ombra della cucina e sforna con la madre piatti ricchi di personalità e al tempo stesso equilibrati, garbati. Una semplicità che arriva al palato e dà gioia. La semplicità è la cosa più difficile da raggiungere: arrivare al cuore delle cose, fermandosi quando non c’è più niente da togliere. In genere si fa il contrario e ci si ferma quando non c’è più niente da aggiungere.

Pascal, il figlio minore, tiene le redini della sala: presenta i piatti con passione e li accompagna con i vini giusti: su tutti il Cerasuolo e il Montepulciano d’Abruzzo in tre declinazioni diverse. Davide si sente davvero come a casa. Si lascia guidare e noi gli andiamo dietro. La cucina di Peppino e della sua famiglia assomiglia a un’aria lirica, quando l’interpretazione non intacca la dizione, che rimane perfetta. Le parole del cantante devono sentirsi tutte, tra un respiro e l’altro, così come gli ingredienti nel piatto.

L’indomani, la montagna. La Majella è stupenda, colorata d’autunno. I boschi di faggio ci accompagnano lungo la via. Poi scompaiono le piante e restano i pascoli, sotto il ghiacciaio. Raggiungiamo la cresta e mettiamo la sedia di Davide al centro di un palcoscenico immenso, con il Gran Sasso di sfondo e i Monti Sibillini più indietro.

Scatto alcune fotografie, mentre Davide interpreta le battute. Sembra seduto nel cielo, sospeso nell’aria. Lo scenario ideale per parlare della Solina, di questo grano tenero abruzzese che faceva dire ai vecchi: Sopra la neve la fame, sotto la neve il pane. Un frumento di montagna che cresce bene anche su terreni poco fertili e pietrosi. Una volta macinato, rigorosamente a pietra naturale, sprigiona profumi e sapori dimenticati. La morbidezza dell’impasto di Solina, povero di glutine, è molto piacevole da lavorare.

Sul banco di legno della cucina, Davide imita i gesti di Peppino: intensità e ampiezza, il tempo necessario. Prepara insieme a lui alcuni filoni di pane da cuocere nel forno a legna e poi degli gnocchi di Solinadove al posto delle patate utilizza il pane raffermo. Poi condisce con una passata di verdure di stagione e il piatto è pronto da servire in tavola. Infine un guizzo creativo: Davide esce di scena e Peppino realizza sotto l’occhio della telecamera una speciale sfoglia di Solina con ragù di cinghiale. La macchina da presa è tutta per lui. Ma la famiglia è accanto: Angela, Arcangelo e Pascal lavorano a un passo dall’inquadratura. Sorridono, si scambiano occhiate, si prendono in giro. Sono quattrosommati fanno unoUna famiglia.

Bene, ora è tempo di andare, ci aspettano altri paesi e altri paesaggi.

Venite in Abruzzo, nel Parco Nazionale della Majella; ma non come turisti, mi raccomando, come ospiti.

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