14 aprile 2015 - Il Chianti selvaggio.

Oggi siamo in Toscana, a Gaiole in Chianti. Le coordinate geografiche sono 43°28’ Nord e 11°26’ Est.

Il paesaggio è composto da morbide ed eleganti colline: una distesa di lievi ondulazioni del terreno coperte da vigneti, casali e castelli. Gaiole in Chianti è poco distante da Siena, una trentina di chilometri appena. Dalla terrazza di Lorenzo, il protagonista della puntata, osservo la linea di confine che divideva i Guelfi dai Ghibellini, il Papato dall’Impero.

Siamo nel cuore del Chianti Classico, la terra del Gallo Nero. La leggenda narra che per stabilire i territori di Siena e Firenze, due cavalieri fossero partiti al canto del gallo dalle rispettive mura per incontrarsi in un punto che sarebbe diventato la linea di confine. I fiorentini erano scaltri e determinati: scelsero un gallo nero e lo tennero al buio senza cibo per alcuni giorni, perché la notte della sfida cantasse prima dell’alba. Il cavaliere fiorentino non fu più veloce: partì prima.

È solo una leggenda, però molto bella. Lorenzo la conosce bene e ridacchia a ogni passaggio. Lui tifa Fiorentina, ma alleva cinti senesi, la razza suina autoctona dipinta già dal Lorenzetti nel Trecento. Li alleva allo stato semibrado nel Chianti selvaggio, un territorio inatteso che dalla strada del vino si fatica anche a immaginare. Gaiole in Chianti è la tipica città mercato medievale: un borgo aperto, senza mura, con una strada principale che si allarga in una piazza dove si scambiavano le merci. Vista dall’alto, la cittadina riassume l’idea stessa di commercio: fluidità di scambi, rapidità di accessi, facilità di comunicazioni.
Il mondo sembra complesso, ma in realtà è semplice. Basta guardarlo dall’alto.

Lorenzo è il macellaio di Gaiole in Chianti, come il padre Vincenzo. Una famiglia di allevatori, macellai e norcini dal Seicento in poi. La qualità dei loro salumi lascia senza fiato. Girovagando con Davide ne ho assaggiati parecchi, ma questi credo che siano i migliori, soprattutto i prosciutti. La cantina di stagionatura, la cosiddetta prosciuttaia, è intrisa di profumi di sale, spezie e umidità della pietra. Mette fame anche a chi è sazio. Le carni della bottega sono eccellenti. La madre di Lorenzo le cucina senza astuzie né scorciatoie; solo esaltandone la genuinità con aromi del bosco, legna e un paziente uso del tempo. Ci invitano a cena. Quando entriamo in casa, il fuoco arde nel camino già da ore; l’arrosto gira sulle braci. Quando ci sediamo, c’è solo da mangiare e ringraziare.
Davvero, grazie.

L’indomani, alle sei e mezzo, siamo tutti sulla jeep. Massimo e le attrezzature sull’auto di Lorenzo; Davide e io sulla Panda 4×4, forse la macchina più bella e simpatica del mondo. Ci sorprenderà anche oggi. Siamo diretti nell’allevamento di cinti senesi di Lorenzo, la sua passione. Ci promette un viaggio all’avventura e noi lo seguiamo fiduciosi. Faremo un giro lungo, per riprendere il paesaggio da scorci diversi.
Quando il sole sorge, siamo già sul crinale della collina, in un bosco di pini alti una trentina di metri che oscillano sulle nostre teste. Ogni tanto si sente un rumore sordo, come di rami spezzati, e poi un tonfo, come di rami caduti. C’è da stare attenti, nel Chianti selvaggio. Le vigne della Rocca di Castagnoli sono a un passo, ma è un altro mondo, fisico e mentale. Un mondo distante.

Risaliamo in macchina e proseguiamo. Il maltempo dei giorni scorsi ha fatto danni e il sentiero è pieno di alberi caduti. Ci fermiamo spesso, scendiamo e spostiamo. Una volta trasciniamo a braccia un tronco, un’altra lo spostiamo con la jeep. Quando l’albero è troppo grande per noi, armati di roncola ci apriamo un varco laterale e aggiriamo l’ostacolo. I cinti senesi ci aspettano. Ci sono tre scrofe che potrebbero sgravare da un momento all’altro. Ma proprio quando vorremmo sbrigarci, siamo costretti a scendere dalla Panda. La strada che le piogge avevano reso un pantano è diventata una roccia acuminata. Il freddo l’ha ghiacciata. La macchina è troppo bassa e la terra troppo sconnessa e dura.

Tornano alla mente le lezioni americane di Calvino e le sue parole sulla leggerezza. Così scendiamo e proseguiamo a piedi, lungo il versante della Valdarno. La Panda respira e torna a fare strada, saltellando agile sugli aculei del terreno.
Al termine della mattinata, quando finalmente arriviamo dai maiali, le riprese sono ancora tutte da fare. I cinti senesi però sembrano attori e rendono tutto facile. Rispondono ai richiami di Lorenzo come cani da pastore. C’è una recinzione elettrica che non serve a impedire che i maiali scappino, ma ad evitare che i cinghiali entrino. I suini di Lorenzo sono come marinai: spiriti liberi che amano il porto.

Lorenzo ha preparato il cibo, naturale integrazione dell’alimentazione spontanea del bosco, a base di ghiande, bacche e radici. In realtà, non dà da mangiare ai suoi cinti, ma fa da mangiare per loro. I maiali lo seguono mansueti: sono animali domestici e selvatici insieme. Sono bellissimi, con il mantello scuro che sembra ardesia e la cinta banca che unisce le zampe anteriori abbracciando il garrese.
Lorenzo torna dalle scrofe che aveva già visitato nella notte, prima di uscire con noi. Non hanno ancora partorito. Una sembra pronta, ma qualcosa la trattiene. Aspetta l’ordine della Natura che arriverà in serata, quando noi saremo andati via.

Torniamo nel borgo. È qui che si finalizzano le attività di Lorenzo e di suo padre Vincenzo, nel solco della tradizione norcina toscana. L’amore per la natura e gli animali diventa cibo, dopo l’esperienza della morte. È una questione delicata, da affrontare con rispetto. Un legame profondo lega questi uomini ai loro animali; dipendono gli uni dagli altri. Sul banco disponiamo i prodotti come fossero le tessere di un mosaico. Formano la sagoma stilizzata di un suino. Con molta passione, Vincenzo e Lorenzo spiegano al pubblico che dalla schiena di un animale adulto, dopo mesi di vita all’aria aperta, si ottiene l’arista, dalla coscia il prosciutto, dagli anteriori i salami; poi proseguono mostrando il capocollo, la pancetta, la spalla, il guanciale, le salsicce, la soppressata, il buristo. Tutti prodotti eccezionali, lavorati con una sapienza artigiana che in questa famiglia si tramanda da oltre tre secoli.

Finiamo in serata, quando il sole scollina dietro i vigneti della Rocca e il bosco si oscura. Per noi è tempo di andare, verso nuovi paesi e nuovi paesaggi. Prima di salire in macchina, Davide entra nel bar della piazza. Ordina un caffè e posa una moneta sul banco. L’uomo lo riconosce e lo saluta con discrezione.
– Com’è la frase? – gli domanda. – Venite, ma non come turisti…
– Venite a Gaiole in Chianti, – esclama Davide, – ma non come turisti, mi raccomando, come ospiti!
L’uomo del bar sorride, serve il caffè e con un movimento lieve delle dita spinge la moneta verso Davide.
– Ecco, come ospiti…

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