13 gennaio 2015 - I tartufi di Lulù.

Oggi siamo in Umbria. Il paese è Norcia; il paesaggio: il Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Le coordinate geografiche sono 42°47’ Nord e 13°5’ Est.
Per una volta, non c’è un viaggio da fare: siamo già a Norcia e l’appuntamento è con tutta calma alle 9.30 nella piazza del paese. Ci aspetta Nicola, un agricoltore che è anche un cavatore di tartufi.

Ha cominciato per caso da ragazzino, scoprendo di avere talento. Le prime uscite erano in compagnia del fratello maggiore, che era meno bravo di lui e gli sottraeva una parte del bottino.
Da allora, la passione lo ha portato a camminare per ore e ore, quasi tutti i giorni, nei boschi che vanno da Norcia a Castelluccio. Solo lui e i suoi cani. Un’attività che sembra una pratica di meditazione: da soli in campagna, a riflettere sulle cose e a svuotare la mente per cercare funghi preziosi che si nascondono nel terreno.

Il tempo di un caffè per fare conoscenza e dare un’occhiata alla sceneggiatura. Correggiamo qualcosa, poi saliamo in macchina e andiamo verso le tartufaie di Nicola.
Raggiungiamo la selva in una ventina di minuti. La ricetrasmittente nel giubbotto di Nicola comincia a gracchiare. Voci concitate miste a richiami, il volo di un elicottero, lesirene della polizia.
Mi fermo. Pensavo di fare un po’ di meditazione nei boschi di san Benedetto, immerso nella pace della natura, alla ricerca di piccoli tesori nascosti. Invece, mi ritrovo nei pressi di una vasta battuta di caccia al cinghiale, con la polizia municipale che pattuglia l’area e sorveglia i cacciatori, un elicottero che osserva dall’alto e gli uomini che dal basso si lanciano segnali sulle posizioni delle prede e della squadra.
– Non sembra una caccia ad armi pari… – dico a Nicola, a mezza voce.
Lui tace e sorride. Poi spegne la radio, l’eco dell’elicottero si perde in lontananza e noi cominciamo a salire.

Il cane di Nicola si chiama Lulù e sarà il vero protagonista della puntata. Non ero mai stato in cerca di tartufi. Resterò sbalordito: in un paio d’ore, Lulù non sbaglierà un colpo.
Nicola mi spiega che in estate si esce all’alba perché con il caldo i cani si stancano e non percepiscono gli odori; in inverno, invece, si va a caccia nelle ore più calde, perché è solo quando il tepore del sole riscalda il terreno che i profumi del tartufo emergono e solleticano l’odorato del cane.
Quello dei tartufi è un mondo nascosto, che si sviluppa interamente sottoterra. Quando le spore raggiungono la piena maturazione, il profumo del tartufo risale la crosta del terreno e si libera nell’aria. È allora che i cani lo avvertono.

Ogni cinque minuti, Lulù parte alla carica naso a terra, attratta da un mondo di odori che è solo suo. Nicola la incoraggia con la voce e la segue da vicino. Quando il cane trova il tartufo, l’uomo interviene con una zappetta e scava con precisione: prende il fungo, lo pulisce con cura e lo mette nel cestino. Il suo carniere.
La vita dei tartufi è avvolta nel mistero e si può scoprire solo lentamente. Occorrono
pazienza e intuito. Nicola conosce palmo a palmo questi boschi ed è come se avesse in
testa una mappa mentale dei luoghi. Bisogna passare e ripassare negli stessi punti per giungere prima di tutti nel momento in cui le spore sono mature: prima non si sente niente, dopo non c’è più niente.

Nicola e Lulù sono già molto affiatati. Lei è una cockerina nera di un paio d’anni: è ancora giovane e l’istinto della caccia tende spesso a prevalere. Sente la battuta ai cinghiali nelle vicinanze e ogni tanto si allontana. Nicola la richiama e lei sa come farsi perdonare. A ogni buona azione del cane, un biscotto dell’uomo. Più che un premio, un ringraziamento. Piccole attenzioni che l’uno e l’altro si riservano a vicenda. Noi siamo lì, tra loro: filmiamo e fotografiamo, passeggiamo. Il clima è mite e verrebbe voglia di restare a lungo, molto a lungo.

Individuo una bella radura con una vista ampia sulla valle. La indico a Nicola e a Davide.
– Lì non va bene per i tartufi, – dice Nicola.
– Giusto, – dico io, – qui non va bene…
In effetti, Lulù lavora sempre ai margini dei sentieri o nei campi brulli e scoscesi, sotto piante vecchie o cespugli. Nicola mi spiega che il terreno ideale, qui a Norcia, sono quei vecchi vigneti di collina abbandonati, dove sono rimasti i tralci inselvatichiti e il terreno non è più lavorato. La terra deve essere morbida ma sassosa, non secca ma neppure troppo umida, perché il tartufo non ama l’acqua.
È anche una questione di clima. Nicola non guarda le previsioni su internet, però fiuta il tempoosservando come si muovono le foglie e le nuvole; sente l’arrivo del secco e dell’umido, del sole, della neve e del gelo. A seconda del clima, decide dove cercare e quanto cercare.

Dietro un pregiato tartufo nero di Norcia, c’è sempre il fiuto di un cavatore esperto e il
prezioso tartufo del suo cane.
L’addestramento del cane è una della parti difficili del lavoro. In genere si parte da un cucciolo di buona genealogia. La discriminante è molto semplice: il cane deve amare il tartufo. Agli aspiranti cavatori a quattro zampe vengono offerti dei piccoli tartufi e solo i cuccioli che mostrano interesse, che ci giocano e li tengono in bocca, vengono addestrati.
La chiave, come sempre, è la ricompensa. Il cane lavora per amore: un amore spesso viscerale, istintivo, che lo lega al suo compagno. Non si può né imporre né insegnare. Non accade spesso, ma quando si vede è una cosa bellissima.
Ogni buona azione sarà una carezza, una parola d’affetto, un biscotto. Ogni errore
sarà un no: sillaba secca e ferma e chiara, niente di più. Comunicazione diretta, esplicita. Mai violenta, paziente piuttosto. Anche i no vanno detti con il cuore.

Nicola ha recentemente iniziato degli esperimenti molto interessanti impiegando i suini al posto dei cani. In effetti, l’antica iconografia è ricca di immagini con uomini e maiali in cerca di tartufi. Nicola però mi spiega che si tratta soprattutto di folclore. Impossibile addestrare un maiale come un cane, impossibile gestirlo quando è poco più di un cucciolo, impossibile togliergli dalla bocca un tartufo. In origine, spostando gli animali da un recinto all’altro, i contadini dovevano aver notato l’abilità dei suini nel trovare – oltre a ghiande e bacche – anche tartufi. Da lì l’idea che fossero grandi cercatori.
– Forse… – dice Nicola, – ma solo per se stessi; non certo per l’uomo in cambio di un biscotto.
– E allora?
– Allora lo faccio per gli americani.
– Americani?
– Turisti, in cerca di piccole emozioni…
– Quindi è solo folclore?
– Per adesso sì, – conclude Nicola. – Un po’ di folclore, un po’ di tradizione… piccole emozioni.

Bene, ora è tempo di andare. Ci aspettano altri paesi e altri paesaggi.
Venite a Norcia e nei boschi del Parco Nazionale dei Monti Sibillini; ma non come
turisti – mi raccomando – come ospiti!

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