25 ottobre 2013 - I signori del Mediterraneo.

Oggi siamo in Sicilia. Il paese è Marsala, il paesaggio quello di Capo Boeo.
Siccome chi dorme non piglia pesci, avevo deciso di svegliarmi presto. Nella notte avevo raggiunto il porto di Orio al Serio ascoltando e riascoltando un cd di mia figlia. C’era un brano che mi restituiva il ricordo di Bob Dylan, quando avevo i suoi quattordici anni. Nastri consumati, rotti e rimessi insieme con lo scotch. Fantasie fragili, castelli d’aria costruiti sulle note di una ballata.

La barca su cui mi accingo a navigare si chiama FR9091, della flotta Ryanair. Molliamo gli ormeggi alle otto in punto e navighiamo sull’Italia mentre la luna scivola dall’altra parte del mondo. Quando sbarco a Trapani, è giorno fatto. Una corsa veloce a passo svelto lungo il litorale di Capo Boeo, tanto per salutare Favignana, Levanzo e Marettimo, poi vado in porto, quello vero.

Ho appuntamento con Marco, il protagonista della puntata.

I pescherecci sono tutti lì, in banchina. Messi all’inglese, con i parabordi uno a fianco dell’altro, che sembrano tenersi per mano e farsi compagnia. Escono poco e hanno molto da raccontarsi. Storie di pesca e di naufragi, vicende di pesci ed esseri umani nel turbine delle acque.

Marco è un uomo che chiunque abbia amato Il vecchio e il mare dovrebbe incontrare. Lui è Santiago. Le stesse rughe, lo stesso portamento lieve, la stessa pelle anziana cotta dal sale. E poi gli occhi vivi, che lasciano affiorare tutto ciò che hanno visto. Slanci nobili e infime bassezze del genere umano. L’occhio buono è sempre in movimento, l’altro è fisso verso l’alto, come se sbirciasse il cielo e ogni tanto chiedesse consiglio.

Le sue mani, segnate dai morsi della lenza, sono forti eppure gentili. Hanno tenuto tonni da centinaia chili e corpi alla deriva, uomini e donne ancora da salvare oppure cadaveri cui donare sepoltura. A un tratto, a tavola, accarezza la schiena della moglie. Si capisce quanto sia importante per lui. Come la terra ferma, quando tutto si muove intorno.

In banchina è il più anziano e il più minuto. Quasi fragile. Eppure è lui il capo. Lui è Santiago; gli altri, pur esperti e solidi, sono Manolin.
All’imbrunire, mentre Davide atterra e Massimo gironzola per il porto rubando immagini di copertura, io estraggo dallo zainetto la sceneggiatura.
Nessuno sa cosa abbia scritto.

Ma le aspettative sono tante, perché i pescatori di Marsala vedono la nostra trasmissione come una possibilità concreta per invertire la rotta del destino. Noi siamo arrivati sulla costa di Capo Boeo attratti dalla poetica del mare e dalla romantica perfezione della pesca al tonno con l’amo, inventata proprio qui a Marsala.

Abbiamo però scoperto che una serie di leggi ingiuste favoriscono le reti a circuizione, penalizzando la pesca con l’amo, l’unica veramente sostenibile e selettiva.
La mia sceneggiatura spiega tutto questo. È una scrittura precisa, ma incompleta; le parole scorrono rapide, ma restano ai margini del problema.

In banchina sono circondato dai pescatori. Leggo il testo ad alta voce.
Le parole dovrebbero essere armi; avere sempre la forza di chiamare le cose con il loro nome.
I tonnaroti ascoltano in silenzio, poi mi domandano qualcosa. Rileggo parte del testo mentre con gli occhi cerco quelli di Marco.
Con la bocca non dice niente, con gli occhi sì. Allora rimetto la sceneggiatura nello zainetto e dico: «Vado in albergo. Torno tra mezz’ora».

Quando mi ripresento in banchina, Davide è già salito a bordo. Carico di energia, come sempre. Anche Massimo è pronto a salpare. Ormai è notte. Lasciamo il porto con la sedia ancora appoggiata al bordo interno dello scafo, sotto le boe-radio del palangaro. Quando Davide la prende e se la mette in spalla, caracollando verso poppa, siamo già in mare aperto. La luna è alta, l’acqua increspata da uno scirocco fresco. Noi del Nord pensiamo sempre allo scirocco come a un vento caldo, ma qui, sulla costa meridionale della Sicilia, è quasi fresco.
Viene dall’Africa, ma si raffredda sul canale.

Davide spiega che «in Sicilia, c’erano ben 400 pescherecci che usavano il palangaro, ma oggi ne sono rimasti meno di 30, quasi tutti a Marsala!»
Poi aggiunge che «i pescatori come Marco sono destinati a sparire se non cambiano le leggi che favoriscono i sistemi industriali e uccidono la pesca con l’amo, che invece dovrebbe essere conosciuta e sostenuta».

Massimo intanto comincia a stare male. La barca fila veloce mentre i pescatori simulano le azioni di pesca davanti alla telecamera. Il movimento continuo delle onde, il panino appena mangiato, i continui cambi di messa a fuoco: tutto aiuta a rivoltare lo stomaco. Un minuto di riprese, un minuto fuori bordo. Il grande faro del pozzetto è impietoso. Sbiancherebbe chiunque. Massimo adesso è spettrale.

Davide invece è in piena forma e anch’io me la cavo bene. Saltelliamo baldanzosi di qua e di là, da un lato all’altro del peschereccio. Anche i pescatori, che il mal di mare non sanno cosa sia, ridono e scherzano vicino a Massimo che vorrebbe essere ovunque tranne che lì.

Poco prima che Davide reciti la nuova battuta, incrocio lo sguardo di Marco. La sua presenza è ferma e piena di dignità. Santiago non soffre il mare e non sente il bisogno di farlo sapere. Non deve dimostrare niente a nessuno.
Dice a voce bassa: «Mettiamoci al traverso e rallentiamo», accompagnando le parole con un movimento lento del braccio. La barca si calma.

Mi quieto anch’io e leggo a Davide le parole che ho riscritto in albergo. Lui annuisce convinto. Nel frattempo, Massimo torna dietro la telecamera. Sembra stare meglio anche lui. Avvia la registrazione e ascolta in cuffia Davide che dice: «Il mare ha da sempre nutrito i popoli. Oggi è ricchissimo di tonno, ma le quote per il palangaro sono così basse che i pescatori le superano in una sola calata! E poi devono restare in porto».

La notte del 20 maggio 2013, i pescherecci di Marsala erano usciti in mare e avevano tutti pescato molto più di quanto fosse consentito dalla legge per un anno intero! Ma i pescatori non potevano scendere in acqua e impedire ai tonni di abboccare ai loro ami. Così erano sbarcati con il pescato; avevano venduto la quota legale e pagato una multa su quella eccedente, sequestrata dalla Capitaneria.

Poi non erano più usciti. Adesso sperano che succeda qualcosa. Non nel mare, sempre più ricco di tonni, ma negli uffici dei politici, nelle stanze di chi fa le leggi, in Italia e in Europa.
Mentre rimetto a posto le mie cose e scatto qualche foto, vedo Marco e Davide che discutono appoggiati al bordo del peschereccio. Parlano del presente e del futuro, di ciò che potrebbe succedere, delle speranze di questa marineria che va sparendo.

L’indomani, mentre filmiamo le ultime scene in riva al mare, Marco mi racconta di quando pescava il corallo. Mi descrive in dettaglio l’attrezzo che usava e le manovre che doveva compiere. In mare ha pescato di tutto.
Un paio di giorni dopo ci salutiamo in aeroporto. Ci abbracciamo e scambiamo poche parole, giusto un gioco di sguardi.
Lui prende dalla tasca un involto e mi dice: «Ho una cosa per te». Nel panno di carta ci sono due rametti di corallo.
Rosso vivo, sulla pelle scura di Marco, sotto le luci fredde dell’aeroporto.
Aggiunge a bassa voce: «Portano fortuna».

Allora mi viene in mente un altro riferimento letterario. Marco non è solo Santiago, ma anche Bruno Schulz, che nella fantasia di Grossman invece di morire a Varsavia nel 1942 diventa un salmone e si unisce al branco.
Anche Marco, un giorno, diventerà un tonno e si unirà al branco. Scenderà in profondità e con un gesto secco del muso staccherà un rametto di corallo dallo scoglio. Un riflesso rosso che lentamente salirà verso la superficie.
Io lo prenderò e lo terrò sempre con me.

Bene, adesso è tempo di andare. Ci aspettano altri paesi e altri paesaggi.
Quando venite sul litorale di Capo Boeo, ricordatevi di guardare la linea dell’orizzonte e salutare il passaggio dei tonni. Sono loro i veri signori del Mediterraneo.
E come dice Davide: «Venite a Marsala, ma non come turisti, mi raccomando, come ospiti!»

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