20 ottobre 2015 - I peperoncini della Carnia.

Oggi siamo in Friuli VeneziaGiulia. Il paese è Tolmezzo, il paesaggio la Carnia. Le coordinate geografiche sono 46°24’ Nord e 13°1’ Est.

La cena è una prova generale. Si legge la sceneggiatura, si decidono le inquadrature, si pianificano le riprese. Soprattutto ci si conosce. L’osteria si trova a Verzegnis e l’oste è un personaggio molto particolare: albergatore, ristoratore, politico. Oggi però si parla solo di cibo e di cultura della terra. Il suo ristorante è diventato il centro dell’attività di Pietro e Marco, i protagonisti della puntata. Nelle cucine, Marco realizza alchimie a base di peperoncini piccanti mentre nel laboratorio – ricavato sotto il locale – Pietro essicca, trita e lavora oltre cento varietà di questi variopinti frutti esotici.

La storia che siamo venuti a raccontare qui a Tolmezzo è al tempo stesso un sogno e una sfida: una vicenda che si ambienta perfettamente in Carnia, proprio perché sembra non avere niente a che fare con questa terra. Qui le montagne sono più rocciose che altrove. Oltre una certa quota, infatti, gli alberi svaniscono e il bosco lascia spazio alla pietra. È una questione di clima, troppo rigido per le piante. Le pareti sono verticali, come gli stipiti delle porte. Il Tagliamento è un immenso letto di ghiaia percorso da un intreccio di corsi d’acqua; visto dall’alto sembra un merletto, come la laguna di Venezia. Tutt’intorno sassi e arbusti: la nostra piccola steppa.

Lontani da tutto, però, è più facile avvicinare se stessi. Qui, dove solo il 2 per cento del territorio è seminato, Pietro e Marco hanno deciso di coltivare il peperoncino. Un sogno e una sfida, dicevamo. Ma anche un’idea geniale, frutto di un’antica passione per queste piante e una naturale inclinazione a complicarsi la vita.

Ma come può crescere il peperoncino in Carnia?

La risposta è nella qualità del terreno, nella salubrità dell’aria e nella purezza dell’acqua, ma soprattutto nel clima, caratterizzato da forti escursioni termiche. È proprio la variazione di temperatura tra il giorno e la notte che esalta l’ampiezza della gamma aromatica del peperoncino, senza modificarne la piccantezza. Pietro e Marco ne coltivano oltre cento varietà, tra cui l’Ibrido Carnia, creato proprio da loro e ormai pronto per essere certificato dall’Università del New Mexico, la banca mondiale del peperoncino. Aiutati da alcuni agricoltori locali, Pietro e Marco lavorano piccoli appezzamenti di terreno tra Caneva e Gemona, in varie zone di pianura e montagna. Spesso, dove tutto sembra impossibile, si realizzano le cose migliori.

L’indomani mattina, l’acqua della doccia si confonde con quella che scroscia nella grondaia accanto alla mia camera. Piove a dirotto da ore e non accenna a smettere. Apro le finestre, in cerca di uno squarcio sereno. Quando scendo in strada, Massimo – il nostro regista – è già lì che fuma e scruta il cielo. Arriva l’auto di Pietro. Con lui c’è un amico e collaboratore, un giovane vivaista. Oggi è giorno di mercato e mi stupisco di vederlo con noi.
– Non sei al banco?
– Oggi non è giornata. Non apro nemmeno il gazebo, tanto non viene nessuno…
Se lo dice lui, significa che il tempo non cambierà. Potrebbe essere il colpo di grazia, invece è solo l’inizio della giornata.
Cambiamo il programma delle riprese e ci dirigiamo nel ristorante-laboratorio, montiamo le luci e ci diamo da fare per valorizzare i peperoncini di Pietro e Marco. Abbiamo a disposizione ceste intere di varietà multicolori. Ce ne sono di ogni tipo e dimensione. Sono bellissimi e non è difficile renderli preziosi.

HabaneroHot lemonCajennaEspeletteSerranoUngarico. Dopo la raccolta, una sapiente lavorazione permette di realizzare blend secchi per ogni preparazione, sali aromatizzati, gelatine piccanti di frutta e confetture rosse, verdi e gialle, con diverse percentuali e combinazioni di peperoncini.

Davide li presenta davanti alla telecamera, assaggiando le confetture e le gelatine su scaglie di formadi frant, il formaggio di malga tipico friulano, realizzato riutilizzando le forme avanzate o difettose, che vengono opportunamente tagliate a striscioline o grattugiate, amalgamate con il latte e ricomposte nelle fascere. Una vera specialità nata – come spesso accade – dalla necessità di non buttare via niente. Un mondo di sapori e di profumi che stimolano la cucina creativa. La cuoca del ristorante prepara davanti ai nostri occhi uno straordinario tempura di Ancio e Jalapeño, poi un frico piccante e i cjarsons con una spruzzata di cioccolata montezuma.

Quando proprio non c’è più niente da riprendere negli interni, indossiamo la mantella, copriamo di plastica la telecamera e saliamo in macchina. La prima sosta è sul Tagliamento, tra i rovesci di pioggia, i fumi bianchi della cartiera e le nubi basse che chiudono l’orizzonte e risalgono i monti. Davide è in gran forma. Come sempre nelle avversità, risolve a colpi di carattere. E poi ama il Friuli e il Tagliamento; un giorno mi racconterà cosa lo lega a questa terra e al suo grande fiume. Poi facciamo tappa nella rivendita di prodotti agricoli e ognuno di noi acquista un paio di stivali. Ci siamo anche fatti prestare il gazebo dall’amico vivaista e siamo pronti a tutto. Risaliamo in auto e ci dirigiamo nel campo di Gemona, pieno di peperoncini maturi che i contadini stanno raccogliendo in questo periodo. Sulla strada passiamo davanti a Venzone. C’è sempre da restare sbalorditi di fronte alla poesia di questo luogo, che l’uomo ha realizzato, la natura ha distrutto e l’uomo ha ricostruito, identico a prima. La chiesa, le mura, le case: tutto come l’originale, con le stesse pietre recuperate tra le macerie del terremoto e rimesse a dimora. Un’altra storia di tenacia incrollabile, possibile solo qui. Mani forti e pazienti, mai stanche di realizzare ciò che la testa e il cuore comandano.

Nel campo, sotto la pioggia, i contadini oggi non lavorano. Sono tutti nella rimessa e ci aspettano per fare festa. Hanno i salumi, i formaggi, il vino. Ci riempiono di attenzioni e noi cerchiamo di ricambiare montando il gazebo e filmando Davide che posa la sedia tra i peperoncini fradici, affermando di sentirsi come a casaSiamo al centro di una piccola pianura, ma intorno a noi le montagne chiudono ogni varco. Cielo bagnato e nuvole che salgono le chine rapide. Massimo – il regista – cattura tutto, anche di più. Frammenti che in gergo chiamiamo fegatelli e che spesso dicono più delle parole. Ma il vero colpo di genio arriva quando il cielo improvvisamente si apre e noi raggiungiamo il poligono militare alla base del Monte Amariana. Una cresta piramidale, con una vasta distesa di rocce bianche che attraversa, come una colata di candida lava, un bosco di alberi radi a basso fusto. In sottofondo, i colpi delle esercitazioni. Un paesaggio lunare, ipnotico, che racchiude il carattere della Carnia: durezza severa da un lato, tenacia quieta dall’altro; capacità di dialogare con la sofferenza per poi sorridere del riscatto. I colpi di mortaio scuotono le viscere e ci ricordano la guerra, che qui si è combattuta più che altrove. In questi lembi d’Italia, la terra ricopre le nostre radici.

Bene, ora è tempo di andare, ci aspettano altri paesi e altri paesaggi.

Prima però torniamo rapidamente a Tolmezzo per restituire il gazebo, gustare al volo un’ultima fetta di frant con la gelatina piccante e salutare Pietro e Marco. Ma l’ospitalità friulana è come la nebbia: nemica della fretta. Ci aspettano tutti al ristorante, per stappare del vino e mangiare la torta che hanno preparato mentre eravamo al lavoro nei campi.

Venite anche voi a Tolmezzo, in Carnia; ma non come turisti – mi raccomando – come ospiti.

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