9 giugno 2014 - Gli olivi di Dante.

Oggi siamo nelle Marche; il paese è Serrungarina, il paesaggio quello della Valle del Metauro.
Incontro Davide a Milano, in piazza Cadorna. È mattino, neanche tanto presto. Dopo tre ore di chiacchiere filate, raggiungiamo l’uscita di Fano. Le previsioni minacciano brutto tempo e invece la giornata è scintillante. Il cielo si mantiene terso, spazzolato di continuo da un vento fresco che increspa il mare e accarezza le spighe di grano.

Le colline che costeggiano il Metauro sono coperte di macchie boschive e campi coltivati, interrotti ogni tanto da fattorie e borghi. Già a prima vista colpisce la qualità del territorio, privo di sbavature, segno di una felice armonia tra gli esseri umani e la natura circostante. Procediamo lentamente, continuando a salire e scendere lungo la direttrice della Flaminia, l’antica consolare che portava da Roma all’Adriatico.

Per secoli, questa è stata una grande via di transito. Una strada veloce, quasi tutta rettilinea, e proprio per questo piena di ponti, viadotti e opere di ingegneria civile. Lungo il tragitto, scandito dalla regolare successione di pietre miliari, si trovavano grandi mansiones per i facoltosi viaggiatori, tabernae per i più modesti viandanti e mutationes per gli animali, dove riparare i carri e foraggiare le bestie. Da queste antiche “stazioni di servizio” sono nati i villaggi della valle, come ad esempio Tavernelle, dove siamo diretti per incontrare gli amici di Striscia.

Da lì, andremo tutti a Serrungarina, da Giuliano e dai suoi ulivi, protagonisti della puntata. In soli due chilometri e mezzo, da Tavernelle a Serrungarina, cambia tutto. Questa è la magia del territorio italiano. In basso la stazione di posta, aperta e accessibile, in alto un borgo arroccato, progettato per difendere il territorio di Fano dei Malatesta.

In mezzo gli ulivi. Un orto impregnato di mistica quiete. Giuliano ci guida lungo le mura della città. Davide lo segue lentamente con la sedia in spalla e raggiunge un angolo delle fortificazioni da cui la vista spazia sulle colline.

Giuliano mi racconta che fu proprio all’interno di queste mura che nel Quattrocento i Malatesta sconfissero le milizie del Papa. Sigismondo Malatesta contro Papa Eugenio IV, per l’esattezza.

Parlare di Papi con Giuliano è un’esperienza unica. Ha lavorato tutta la vita in Vaticano, come responsabile della sicurezza. Da Paolo VI a Giovanni Paolo II, lui era l’uomo che correva accanto alle loro auto, quando salutavano le folle e quando cadevano sotto i colpi degli attentatori. Una vita ad alta tensione, poi la pace di questa terra sospesa nel tempo.

Lasciamo il borgo e raggiungiamo il fiume, prima di risalire tra gli ulivi. Troviamo un buon punto per le riprese, nei pressi di un grande ponte. La strada e l’acqua sembrano un insieme compatto. Non è un’illusione ottica, il livello del fiume è altissimo.
«È in piena?» chiedo a Giuliano.
Lui scuote la testa.
«Gli ambientalisti…»
«Gli ambientalisti?»
«Il letto del fiume è profondo quasi dieci metri,» mi spiega, «ma nel corso del tempo si è alzato. Adesso sarebbe da dragare, ma questo distruggerebbe l’ecosistema che si è creato. Gli ambientalisti si oppongono e hanno le loro ragioni, però così il Metauro è troppo alto…»

Alessandro, suo figlio, mi mostra i campi alle nostre spalle e dice che quest’inverno erano tutti sommersi d’acqua.
Davide cammina sulla riva del fiume, saluta i pescatori nel canneto e si allontana con la sedia in spalla. Si dirige verso il campo di ulivi, dove finalmente dirà: «Qui mi sento come a casa».

Gli ulivi di Giuliano sono tremila. Una coltivazione rigorosamente biologica; anzi, più che biologica! Il campo è infatti circondato da un fitto bosco di querce che gli insetti e i parassiti non riescono ad attraversare.
«Altro che veleni…», esclama Davide guardando la telecamera, «qui ci pensa la natura!»

La raccolta avviene a mano, con un piccolo rastrello, per non rovinare la pianta e i suoi frutti.
«Vedi,» mi spiega Giuliano, «la natura ha una sua perfezione, che noi possiamo solo guastare. Se vuoi fare un olio davvero di eccellenza, devi pensare che dal momento in cui stacchi l’oliva dalla pianta, la qualità inizia a peggiorare».

Gli chiedo cosa significhi e lui mi dice che è questione di tempi e di modi. La raccolta si svolge verso la metà di ottobre, seguendo il diverso grado di maturazione delle olive, e la spremitura avviene entro 24 ore. All’interno dell’azienda, Giuliano ha realizzato un frantoiocon un impianto a ciclo continuo senza i “fiscoli” – i tradizionali filtri che spesso si intasano di polpa di olive – che gli garantisce la massima qualità del prodotto finale, sia igienica sia gustativa. L’olio nuovo viene poi conservato in botti di acciaio a temperatura controllata e imbottigliato solo al momento dell’ordine.

Davide ama l’olio ed è un profondo conoscitore di questo prezioso alimento della cultura mediterranea. Durante una pausa chiede alla moglie di Giuliano un cucchiaio e inizia ad assaggiare. I suoi gesti sono semplici ma precisi, sembrano quelli di un sommelier: osserva il colore, la densità, poi l’aroma e infine il gusto, lasciando che il sapore dell’olio accarezzi il palato e svanisca lentamente, lasciando in bocca il ricordo di sé. Ottimo. Gli offro un pezzo di pane, ma lui rifiuta. Riempie nuovamente il cucchiaio e continua la sua personale degustazione.

Se l’olio biologico è il cuore della produzione di Giuliano, il suo prodotto più innovativo è invece il liquor d’ulivi, una specialità di cui parlava già Dante nel Paradiso. Siamo nel canto XXI, quando san Pier Damiani, monaco e priore del monastero di Fonte Avellana, sulle pendici del Monte Catria, a pochi chilometri dagli ulivi di Giuliano, diceva: «Quivi al servigio di Dio mi fei sì fermo, che pur con cibi di liquor d’ulivi lievemente passava caldi e geli, contento ne’ pensier contemplativi».

Dal Trecento a oggi, il liquor d’ulivi s’era smarrito nelle pieghe del tempo, finché Giuliano venne a conoscenza di un’antica e misteriosa ricetta. Provò a realizzarla una volta messi a dimora i suoi ulivi, e per anni continuò a fare esperimenti, prove e tentativi.

La ricetta rimane segreta, per questo non è brevettata. «Se la dichiaro,» mi dice Giuliano, «basterebbe mettere un grammo in più o in meno di uno degli ingredienti, per fare un prodotto uguale e non avere problemi!»

Dell’ulivo c’è la corteccia, che viene pelata come la buccia di una patata, poi le foglie, intere o sminuzzate, naturalmente alcol per l’infusione e poi zucchero e aromi naturali come bucce di agrumi.

Per la gioia della nostra telecamera, Giuliano abbozza il rito della preparazione. Un riassunto per sommi capi, tanto per dare l’idea. Alla fine, il risultato è sorprendente; un liquore dalle virtù digestive, di colore ambrato, dal dolce sapore balsamico, con un leggero sottofondo amarognolo ad una gradazione alcolica di 30 gradi.

Lascia il palato pulitissimo e si può gustare al naturale, fresco o con ghiaccio d’estate oppure caldo in inverno, con una fettina di limone. Giuliano assicura che è ottimo anche sul gelato, sulle crepes e nei cocktail. C’è da credergli. E poi, è forse l’unico liquore al mondo veramente biologico!

Con un bicchiere in mano e la sedia in spalla, Davide cammina lungo i filari di ulivi. In alto, il tramonto dilaga nel cielo limpido mentre in basso il viale s’interrompe davanti alle mura del convento di San Francesco. È proprio qui che nel 1219 il santo aveva soggiornato prima di partire per la Terra Santa.
«Magari bevendo un sorso di liquor d’ulivi…» abbozza Davide, assaporando ancora un goccio di liquore.
«Venite nella Valle del Metauro,» dice chiudendo la sedia e allontanandosi verso nuovi paesi e nuovi paesaggi. «Ma non come turisti, mi raccomando, come ospiti!»

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