14 aprile 2014 - Farine integrali e pietre naturali.

Oggi siamo in Piemonte; il paese è Cossano Belbo, il paesaggio quello dell’omonima valle.
Vento lieve, aria di primavera, strada dritta e piatta. L’autostrada fuori Torino tace, finché il paesaggio comincia a muoversi. Nei finestrini laterali s’inquadrano piccole scosse superficiali, come l’inizio di un racconto. Quando il terreno si alza con decisione, è tempo di uscire.

Ad Asti imbocco la strada per Alba, poi a Isola svolto a sinistra, verso Sud, e comincio a curvare. Sono curve della strada, ma anche della vita. Nei paesi cerco i volti dei figli e dei nipoti del partigiano Johnny, nelle campagne gli scorci aspri della “malora”.
Pagine letterarie macinate dalla pietra naturale dell’esistenza.

Attraverso la terra di Fenoglio e Pavese e mi fermo a Cossano Belbo, un piccolo centro racchiuso tra i vigneti del Moscato d’Asti e i noccioleti delle Langhe dove è ancora in attività un mulino che macina a pietra naturale.

Pietra di cava della fine dell’Ottocento, da martellare a mano per mantenerne la giusta rugosità. Piccoli rilievi che il mugnaio incide a colpi di scalpello, il braccio appoggiato su un sacco di farina per dare stabilità al polso impegnato in un gesto che non ammette errori.

Il nonno Felice aveva acquistato il mulino negli anni cinquanta, spinto dalla necessità di un’attività che garantisse cibo. Scoprì invece un lavoro artigianale con il sapore dell’industria e l’aroma della terra.
Bisogna vederla girare, la macina del mulino, quando il motore muove la pietra e genera attriti che sprigionano profumi di pane e dolci. Tutt’intorno la campagna. Uno spettacolo.

Arrivo al mulino all’ora di pranzo. Il nonno Felice siede a capotavola, com’è giusto che sia. È ancora lui il tronco dell’albero. Ai lati, i rami della sua numerosa famiglia: Flavio, Ferdinando, Fulvio, Fausto, Federico… Tutti mugnai, con i nomi che iniziano per “effe”, come farina.

Davide siede tra loro, in cerca di riposo. Oggi non sta bene, ha la febbre e l’influenza. La voce roca, il fiato corto che brucia in gola.
Gli leggo il testo e gli suggerisco di recitare lentamente, senza affanni, mentre gli offro una caramella svizzera. Lui è stanco ma tiene duro. Mi stupisco ogni volta della sua tenacia, della sua resistenza mentale che diventa fisica.
Il corpo fa ciò che la mente comanda.

Si alza, imbraccia la sedia e raggiunge il grande albero cresciuto di fronte al mulino. Lo sfondo è un muro di pietra. Lui è un puntino elegante alla base dell’inquadratura. Con un sospiro dice: «Ecco, qui mio sento come a casa…».

Poi legge il testo, con la voce di cui oggi dispone. È paziente e disciplinato, se sbaglia ripete, senza scuse. Davide possiede una cultura del lavoro contadina, misto di tenacia, volontà d’azione e capacità d’attesa.

Dopo aver descritto il territorio e le sue curve, ci trasferiamo nel mulino. A motore spento, assomiglia a una cantina o a un’antica stazione ferroviaria. La struttura è in legno, come una grande botte posta su un piano rialzato davanti ai binari. C’è anche una campanella di ottone che ricorda i tempi degli arrivi e delle partenze.
Flavio accende il motore mentre Fulvio, Fausto e Federico lavorano sulla macina. Sbuffi di polvere biancastra spazzano l’oblò e diventano farina che scivola sulla piastra di metallo e si deposita nel sacco.

Davide osserva le fasi di questa lavorazione artigianale, quasi a freddo, che permette di ottenere una farina viva, con tutte le fibre del chicco: crusca, cruschello, germe, e poi vitamine, oligoelementi e sali minerali.

Infine guarda nella telecamera e spiega che «Fulvio e la sua famiglia lavorano cereali a chilometro ‘doppio zero’: segale, farro, meliga e grano saraceno che vengono dall’Alta Langa, a un passo da Cossano Belbo, coltivati nei terreni in quota dove l’uva e la nocciola non maturano».

Fulvio mi presenta le farine del mulino come fossero altri membri della famiglia. Ci accomuna la passione per il pane e la pasta madre; parliamo di lievitazioni, impasti e cotture. La sua però non è solo passione, ma professione. Scopro infatti che un buon mugnaio deve essere anche fornaio, per conoscere le sue farine e sapere come diventano cibo.

Davide ascolta le nostre discussioni. Annuisce e insegue con lo sguardo Massimo che gli gira intorno, uno stacco dopo l’altro. Pronuncia brandelli di frasi che una volta montati diranno al pubblico: «Le farine sono ingredienti primari di tanti cibi, come i colori di un quadro…».

Poi la macchina da presa si ferma e lui, tutto d’un fiato, aggiunge: «Mi chiedo cosa aspettino i nostri artisti chef e pasticceri a usare solo farine biologiche, integrali e naturali, come queste!»

Al termine della giornata, mi trattengo ancora un po’ a chiacchierare con Fulvio. Lo scrittore e il mugnaio: echi di fiabe nordiche e pagine di Pavese e Fenoglio, amico di gioventù del nonno Felice.

Quando risalgo in macchina non è per tornare a casa. Voglio prima salire alla Madonna della Rovere.
La gola è selvaggia ma docile al tempo stesso. I vigneti si distendono lungo le curve di livello, interrompendosi quando incontrano rocce, anfratti, oppure cascinali in pietra abbandonati.

Il partigiano Johnny è ancora qui, da qualche parte. Forse in compagnia di un gatto con gli stivali, lasciato in eredità dal vecchio mugnaio.
La vista dal Santuario è davvero notevole. Calata la sera, il tramonto s’accende a ponente mentre la luna gli sorride di fronte.
È un attimo che si prolunga senza fretta.

Leggo Pavese, il libro illuminato da questa luce di taglio. Il racconto Storia segreta parla anche del Santuario della Madonna della Rovere e della sua collina.

Una siepe di prugnole chiude l’orizzonte, e l’orizzonte sono nuvole, cose lontane, strade, che basta sapere che esistono…

Dentro, la luce è colorata, il cielo tace…

Se una vetrata della volta è schiusa, si sente un soffio di cielo più caldo, qualcosa di vivo, che sono le piante, i sapori, le nuvole…

Bene, adesso è tempo di andare; ci aspettano altri paesi e altri paesaggi.

Mi dirigo verso l’autostrada ma la Valle del Belbo mi cattura. Così mi ritrovo al buio, sulla statale per Ovada, con il finestrino mezzo abbassato e la musica in sottofondo. Ascolto Verdi; Macbeth e le voci delle streghe che danzano tra i filari. Il paesaggio comincia a popolarsi di ombre. Ancora una volta mi pare di scorgere un gatto che attraversa la strada…

Venite nella Valle del Belbo, terra di letteratura e grano macinati a pietra naturale; ma non come turisti, mi raccomando, come ospiti.

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