10 dicembre 2014 - Dalla terra alla tavola.

Oggi siamo in Puglia. Il paese è Orsara; il paesaggio, la Daunia. Le coordinate geografiche sono 41°16’ Nord e 15°16’ Est.

L’amico Peppe, cuoco, agricoltore e allevatore di Orsara di Puglia, ci aspetta nel suo eremo di Piano Paradiso mentre Davide e io guidiamo lungo la Bari-Napoli.
Dall’autostrada al Paradiso di Peppe la strada è facile, basta non distrarsi: si esce a Candela e si sale verso Nord. Noi, invece, riusciamo ad andare dritti. Arriviamo a Orsara tardi e sbagliamo nuovamente strada. Finiamo nel bosco, persi tra casolari, alberi e stelle che s’insinuano tra i rami. Cominciamo a ridere: una risata lunga e irrefrenabile, liberatoria. Ridiamo e stiamo benissimo: forse siamo davvero in Paradiso.

Le stanze dove passiamo la notte poggiano direttamente sulla cantina di Peppe: un luogo realizzato con grande attenzione all’ambiente e ai materiali del posto. Siamo nelle viscere della Daunia, eppure sembra di essere in America, quel grande mondo dove Peppe ha vissuto e lavorato a lungo prima di tornare a casa per dedicarsi alla cucina della sua terra.

La cantina ha la forma di un lungo corridoio in salita, costruito con le pietre tolte ai campi e oggetti di architettura contadina inseriti nelle pareti come quadri. Appoggiate ai muri, tante bottiglie di Tuccanese, il vitigno autoctono che Peppe coltiva in maniera rigorosamente biologica.

Per iniziare le riprese, l’indomani mattina, lasciamo Piano Paradiso e scendiamo verso valle. La prima tappa è nell’Orto dei Miracoli. Siamo in autunno e la zucca è la signora del campo. Ce ne sono di bellissime, arancioni e tonde come sfere. Non serve neanche disporle, sono già tutte lì, come in attesa di Davide e della sua sedia.

L’orto di Peppe è un’esplosione di colori e profumi. Ci sono cavoli, verze, bietole, broccoli, porri, peperoncini, scorzonera, innumerevoli varietà di erbette e molto altro ancora. È qui che il nostro cuoco agricoltore viene a fare la spesa tutti i giorni.
È proprio qui, ma soprattutto nel bosco, che nascono i suoi piatti: «simple food for intelligent people», come dice lui.

Il bosco è uno scrigno di sapori perduti, spontanei e selvatici. Peppe mi spiega quanto sia importante per lui realizzare una cucina basata soprattutto sulle varietà vegetali spontanee, quelle erbe e fiori che in ogni stagione dell’anno il bosco regala con generosità. Alimenti che nelle sue mani diventano ingredienti preziosi.
Il bosco di Peppe è un luogo lieve e armonioso, dove la natura resta sovrana ma controllata dalla mano dell’uomo. Pensando ai bambini delle scuole, ha realizzato un percorso guidato che si snoda tra le piante e permette di scoprire un patrimonio quasi perduto di profumi e sapori.

Peppe ha una piccola cesta in braccio e un coltellino in mano. Davide lo segue. I due chiacchierano e hanno molto da dirsi. Si chinano spesso a terra, tagliano e mangiano. Mangiano di tutto: cicorielle selvatiche, bietole, biancospini, foglie di lauro che sanno di liquirizia, timo, ginepro. Colgono, sfregano, strappano, schiacciano, annusano e assaggiano. Il vero banchetto è sotto alcuni meli spontanei. Davide gusta i frutti con voracità: mele gelata, limoncella, zuccarina. Io scatto le foto di scena e osservo con attenzione i suoi gesti. Mi pare evidente che l’essere umano sia stato un raccoglitore, molto prima che un coltivatore e un allevatore.

Il viaggio prosegue tra famiglie di funghi che invadono interi spiazzi di prato, piante officinali tra cui la borragine, cui noi in Liguria siamo abituati fin da piccoli: pesto, focaccia e ravioli di borragine. È una pianta dalle infinite proprietà benefiche, ma in cucina ha un caratteristico gusto fresco di cetriolo e anguria. Peppe però ne prende alcune foglie e le sfrega energicamente, poi le mette in bocca e ci invita a fare altrettanto.
– Sanno di mare! – esclama Davide. – Sembra di mangiare ostriche…

Peppe sorride; è un gioco che gli riesce sempre. Lavorando creativamente sulla borragine, ha inventato un piatto che chiama “ostriche di montagna”, con foglie di Borago officinalis fritte e servite come antipasto.

Fatta la spesa, è tempo di tornare in cucina. La prima ricetta sarà proprio una parmigiana di borragine. Peppe mi spiega che si fa sempre confusione parlando di “parmigiana” che è una semplice stratificazione di elementi e che non ha niente a che vedere con i piatti preparati “alla parmigiana”.

Poi un primo a base di cavatelli di grano arso. I cavatelli sono una pasta tipica della Daunia che Peppe impasta al momento. È interessante vederlo “raviolare” dei filoncini di pasta e tagliarli in segmenti di tre misure diverse: da un dito, due dita e tre dita.
– One, two, three, – esclama il cuoco. Un dito se si vuole poco sugo, due per una giusta via di mezzo, tre per raccogliere tanto condimento.

Ma la cosa veramente interessante è la materia prima di questa pasta: il grano arso. Mi viene in mente la storia del Libro di Rut, nell’Antico Testamento, dove si racconta di una giovane moabita che andava a spigolare durante il raccolto per procurarsi da mangiare. Ecco, il grano arso in Puglia era il cibo di quei poveri così poveri che raccoglievano i chicchi tra le stoppie bruciate. Peppe ha recuperato e valorizzato quella tradizione umile, lavorando farina grezza di grano tostato.
Una scuola di vita, oltre che di cucina.

Infine prepariamo una minestra della Daunia, con cicoria, borragine, finocchietto selvatico e marasciuolo, un’erba spontanea tipica del luogo e simile alla rucola.
Gli chiedo le dosi e lui sorride: – Metti quel che serve; basterà…
Taccio e lo guardo lavorare. A occhio, per quattro persone utilizza un chilo di verdure spontanee, poi mezzo chilo di fagioli bianchi, ceci e cicerchie secchi, un po’ di aglio, peperoncino e olio extravergine d’oliva.

Ci sediamo all’aperto e aspettiamo Peppe. I cuochi come lui stanno poco in cucina: come i maestri di bottega sono circondati da allievi di talento. Infatti, dopo un po’, ci raggiunge con una bottiglia di un bianco frizzante prodotto da un gruppo di giovani del posto. Il vino è buono e le chiacchiere si levano spontanee come bollicine, poi a un tratto Peppe si alza di scatto e corre verso la cucina.
– Ho la minestra sul fuoco! – esclama sparendo all’interno del ristorante.
Forse la nostra minestra della Daunia la sta cucinando proprio lui!

Dopo qualche minuto di attesa ricompare con la pentola in mano. È la sua zuppa, direttamente dalla terra alla tavola. Ne è evidentemente orgoglioso.
L’assaggio e trovo che sia la migliore minestra che abbia mai mangiato.

Marco, il nostro operatore che viene da Savona e di minestre ben cucinate da nonne e mamme se ne intende, dice che è la migliore della sua vita.
Massimo, il regista, è uno di Bastia, svezzato a basilico e olio d’oliva. Anche lui si unisce al coro.
Pietro e Gianluca invece sono lombardi. Forse hanno altri piatti nella memoria, ma anche per loro è la migliore di sempre.

Manca Davide, il gourmet. Lui sembra non ascoltarci; si limita a mangiare con silenzioso raccoglimento. A un tratto solleva la testa, si toglie gli occhiali e dice che è buona, molto buona.
– La migliore della tua vita? – gli domando.
Lui sorride. Non mi risponde, però riprende a mangiare e finisce il piatto.

Bene, ora è tempo di andare, ci aspettano altri paesi e altri paesaggi.
Venire a Orsara di Puglia, sui monti della Daunia; ma non come turisti, mi raccomando, come ospiti.

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