14 febbraio 2013 - “Diario d’inverno”

Mentre andavo a Venezia per presentare “Il sarto di Picasso” in forma di spettacolo, ho letto “Diario d’inverno” di Paul Auster, uno dei miei autori preferiti.

E’ una sorta di autobiografia, e io adoro le biografie. Si tratta di un genere che frequento spesso, sia da lettore sia da scrittore. In genere amo i libri che mi permettono di entrare nella testa della gente. Un paio di settimane fa – ad esempio – ho letto “Open”, e con piena soddisfazione sono entrato nella testa di Agassi. Da scrittore cerco di fare la stessa cosa in senso inverso: offrire al lettore i pensieri nascosti dei personaggi. In qualche misura, tutte le cose che scrivo sono biografie.

Di Paul Auster posso dire che la sua narrativa mi ha sempre regalato qualcosa di cui ho fatto tesoro. Sembra scrivere come un buon insegnante di liceo che non sbaglia mai un congiuntivo e non cerca mai di sbagliarne uno apposta, tanto per vedere l’effetto che fa e sperimentare l’azione di una nota dissonante sull’andamento della composizione. Però le sue storie sanno prenderti a sberle. Mollano ceffoni le unicità dei suoi personaggi, l’asciuttezza logica e grammaticale di certe sue frasi che racchiudono senza sforzo abissi umani. In questo è un maestro.

C’è forse qualcosa di vagamente perverso nello scrivere pubblicamente di se stessi. Forse. Devo dire che nel caso di “Diario d’inverno” la cosa non mi ha dato alcun fastidio, tanto è distante il tono di voce di Auster da quello dell’autocelebrazione. Seguendo le sue riflessioni nel tempo e nello spazio si fatica quasi a capire che il suo mestiere sia scrivere: pochi accenni sempre di taglio, quasi per inciso.

Ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto incontrare Auster a cena e parlare con lui del più e del meno. Prima di leggere “Diario d’inverno” l’avrei portato sul terreno della scrittura; adesso resterei nel campo aperto della vita, di cui la scrittura fa parte, ma di taglio, quasi per inciso. Cercherei magari di parlargli dei nostri corpi, e del Dio che forse li abita.

Altre due riflessioni in ordine sparso. Sono sicuro che Paul Auster adora le liste. Di solito i lettori le saltano, io invece mi ci immergo. Mi perdo nella metrica esatta di una lista ben scritta. Sono sicuro che Auster quando ne incontra una, si alza in piedi e la legge a voce alta, magari camminando, per sincronizzare meglio il battito dell’elenco con il suo respiro. Gli eroi dell’Iliade, le stirpi dei Numeri…

La seconda è che pensavo a Paul Auster come a un uomo di successo, intelligente e pieno di attività intellettuali e sociali. Adesso che ho letto dei suoi mille inciampi, lo vedo come un personaggio di Carver, e di questo gli sono grato.

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