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Il gelato alle terme.

Oggi siamo in Emilia-Romagna; il paese è Salsomaggiore Terme, il paesaggio quello delle colline emiliane.
Salsomaggiore mi accoglie sonnolenta; pioviggina, le Terme sono ancora chiuse e le strade quasi deserte. Raggiungo la piazza principale, quella dedicata al popolo, e cerco l’insegna della gelateria di Corrado.

Un piccolo mondo, davvero molto piccolo. Il laboratorio dove la sua abilità artigiana riesce a trasformare qualsiasi cibo in gelato è una stanza non più grande di tre metri per due. Un paio di macchine con il cestello verticale, un tavolo da lavoro, un lavello, qualche ripiano e poi lui, una persona alta e asciutta, sola nel suo ambiente naturale, quello che negli anni si è cucito addosso.

Corrado si muove nel suo spazio come un astronauta in un modulo spaziale. Minime torsioni del busto, rapidi slanci delle braccia, agili prese della mani; ogni cosa ha un suo posto e lui trova tutto a occhi chiusi. Finito il lavoro, subito la pulizia; rimettere in ordine per poi fare altro gelato, trasformare altri cibi.

“Alle volte mi piacerebbe avere più spazio,” mi confida senza interrompere l’attività, “però farei un gelato diverso…”
“In che senso, diverso?”
“Non so, è difficile da spiegare… Penserei in maniera diversa…”
Il territorio plasma la testa della gente e cambia il loro modo di vedere il mondo. Anche al chiuso, in pochi metri quadrati.

Intanto Corrado inizia a grattugiare il parmigiano, poi tagliuzza i fiori di sambuco, versa del vino rosso di Busseto. Tutte materie prime della sua terra che stanno per diventare gelato. In diretta, davanti ai nostri occhi. È una produzione quasi istantanea, tutta qualità e senza aria aggiunta.

Il primo gusto della sua carriera di mastro gelataio è stato la zucca; adesso nel suo repertorio propone specialità come il gelato alle cipolle, al pesce, al gorgonzola, alle castagne. Li chiamano gelati gastronomici, ma per Corrado sono solo gelati buoni e sani.

“Il gelato si fa con tutto,” mi confida mentre pulisce con cura il piano di lavoro, “basta conoscere le regole del bilanciamento dei grassi, degli zuccheri, dei solidi, dei liquidi…”

Penso a chi dice che fare il gelato sia facile. Davide fa capolino e Corrado gli porge un cucchiaino di mandorlato,suggerendogli di masticare bene i frutti.

Torno ai miei pensieri sui gelati facili, quelli dei franchising e dei semilavorati industriali. Oli vegetali di bassa qualità e scarti animali, gusti di sintesi e tanta aria. Corrado cammina su un’altra strada. Insieme a lui una manciata di maestri italiani, dalla Sicilia al Piemonte. Ci sono, ma servono nuove leve, giovani di stampo antico che non si squaglino al primo sole.

Corrado aveva iniziato da bambino, aiutando la madre che vendeva il latte ma aveva la passione per il gelato. Le amiche che lavoravano nei bar di Salsomaggiore le avevano dato le prime ricette e con quelle aveva cominciato a fare degli esperimenti. Il figlio l’aiutava a mescolare il latte sul fuoco perché non si attaccasse. Poi ha proseguito da solo, studiando sui testi di Luca Caviezel e lavorando al fianco di altri artisti artigiani.

Intanto è pronto il gelato al sambuco. Davide entra di nuovo nel laboratorio, ma non c’è posto per tutto il corpo. Allunga il collo e assaggia il nuovo gusto prima che sia offerto al pubblico. È felice. Quando la testa di Davide sparisce, Corrado torna al lavoro. Prende dal frigo un contenitore di uova fresche e le sguscia a una a una per fare la pastorizzata. Mi spiega che nei suoi gelati non usa mai emulsionanti, solo uova fresche.

“Non dico che gli emulsionanti facciano male,” ammette, “però appesantiscono lo stomaco.”
“Con gli emulsionanti il gelato rimane bello per tre giorni,” aggiunge, “ma io non vendo mai un prodotto di tre giorni!”

Corrado è convinto che il gelato debba sempre lasciare una sensazione di leggerezza. Mi tornano alla mente le lezioni americane di Calvino: leggerezza, esattezza, coerenza..
Cibo e letteratura s’incontrano nelle gelaterie delle città invisibili.

Quando usciamo dal piccolo regno di Corrado, entriamo nel grande mondo delle Terme Berzieri. Un luogo che sembra scaturito dalle menti visionarie di Marco Polo e Kublai Khan.
Venendo dalla piazza del popolo, non le noto subito. Chiedo l’indicazione a una giovane coppia di ragazzi che devono aver marinato la scuola.

“Scusate, dove sono le Terme?”
“Quali?”
“Quelle grandi…”
Il ragazzo solleva stancamente un dito e indica una casa alle mie spalle.
“Là dietro ci sono le Terme Berzieri,” dice con una parlata lenta, in linea con il paesaggio. Mi volto e dietro l’abitazione scorgo l’apice dell’edificio, lavorato come un mobile orientale intarsiato d’oro.

Raggiungo Massimo e Davide di fronte all’ingresso principale. Davanti a noi teste di animali, fanciulle in perizoma, leoni azzurri posti a difesa dell’insegna; è un mondo complesso, fatto di stanze segrete che si svelano solo a chi ha tempo di osservare. Nel sogno Liberty e Art Decò aleggiano aromi orientali, la passione dell’architetto Chini per l’oriente magico del Siam.

Entriamo e Davide si accomoda su una rampa dello scalone monumentale. Dice di sentirsi come a casa mentre si posiziona di fronte a un’immensa specchiera.
Non sarà troppo?
Massimo ha un fremito d’emozione. Lo specchio che riflette ornamenti di marmo, affreschi e stucchi è una specie di luna park delle riprese. Gli basta spostare di pochi centimetri la macchina da presa per inquadrare nuovi mondi, architetture ardite come labirinti mentali.

Ci sono pochi clienti. Ogni tanto qualche anziana coppia avvolta in morbide spugne bianche attraversa il campo; transitano da un bagno termale a una sala massaggi. Difficile pensare a un luogo come questo in un paese in crisi come il nostro.

“Teniamo duro,” mi confida un impiegato. Mi spiega che il turismo internazionale frequenta le spa e si muove solo per il fine settimana, mentre le Terme di Salsomaggiore sono strutture curative, nate per lunghi soggiorni di anziani.

“Teniamo duro,” ripete mentre torniamo all’aperto e guardiamo gli alberghi tutt’intorno. Finestre chiuse come palpebre abbassate. Questi erano i luoghi dell’elite europea tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, quando si scendeva dall’Orient Express e ci si tuffava nelle acque termali.

Torniamo da Corrado per il gran finale. Ci apprestiamo a compiere un salto nel tempo; aprire uno squarcio di futuro per vedere il passato, quando il gelato si faceva senza macchine e senza elettricità, con il bigoncio e la salamoia di acqua e sale.

Il trucco è l’azoto liquido, che un tradizionalista accanito ma intelligente e curioso come Corrado usa per raffreddare in tempi brevissimi e ottenere un gelato dalla struttura delicatissima.

Mentre lui scompare nel fumo e agita la frusta nella pentola, Davide guarda nella macchina da presa e dice: “Sembra una magia: una nuvola bianca e in pochi secondi Corrado crea un gelato morbidissimo, con cristalli di ghiaccio 700 volte più piccoli!”

Bene, ora è tempo di andare. Prima però bisogna tentare di capire il territorio e vedere dall’alto la vallata che un tempo era mare. Il verde dei boschi e dei prati, in origine era blu. Ecco perché le acque di Salsomaggiore sono così ricche di sali.
Mentre seguiamo il motorino di Corrado, Davide mi ricorda che il nome della città deriva proprio dal latino Salso Maiore.

Dopo una manciata di curve raggiungiamo una distesa di prati. Il paesaggio sembra incontaminato, ma Corrado mi mette in guardia e dice che un tempo non era così: “Il nostro pericolo è l’inquinamento edilizio…”

Parla a bassa voce, come se non volesse spaventare i fiori di sambuco, gli alberi e l’erba di questo angolo di mondo, piccolo e prezioso come il suo laboratorio. Davide chiude la sedia e s’incammina verso altri paesi e altri paesaggi.

Noi lo perdiamo sullo sfondo della collina. Sentiamo solo l’eco delle sue parole: “Venite a Salsomaggiore Terme, ma non come turisti, mi raccomando, come ospiti!”

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