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Lo zafferano del lago.

Oggi andiamo in Lombardia. Il paese è Pozzolengo, il paesaggio quello del Basso Garda.
La sveglia suona presto, quando il gallo del vicino dorme ancora. Dalla finestra della cucina guardo il porto di Genova. Bevo il caffè nella mia tazzina preferita, quella di vetro senza manico, mentre la Lanterna mi abbaglia a intervalli regolari. La giornata inizia bene, anche se le previsioni del tempo sono pessime.

In effetti, a mano a mano che salgo verso Nord il cielo si copre di nuvole bianche alternate a chiazze d’azzurro sempre più rade. Si procede nell’incertezza fino al casello di Desenzano, poi imbocco la statale e mi dirigo verso Pozzolengo, dove mi aspetta lo zafferano purissimo di Mauro. Al freddo della Lombardia che confina con il Veneto, sulle rive umide del Lago di Garda, Mauro produce uno zafferano tra i migliori d’Italia, cioè del mondo.

Miracoli del microclima italiano, dove ogni dieci chilometri cambia tutto: il territorio, il clima, la cultura, la lingua, la testa della gente.
Lo zafferano è un prodotto antico e prezioso. Lo stesso Mauro, mi ricorda che il Crocus Sativus era coltivato già nel Terzo Millennio prima di Cristo tra il Tigri e l’Eufrate, nella culla della civiltà Accadica. Anche il Cantico dei Cantici e l’Iliadecitano lo zafferano come pianta aromatica, ma se ne trova traccia persino a Creta, nelle pitture del palazzo di Cnosso, così come in molti papiri egizi.

La storia dello zafferano in Italia è avvolta nel mistero come quella del caffè. Pare che sia stato un monaco abruzzese dell’Inquisizione a trafugare la nobile pianta dalla Spagna del Trecento.

La sorella di Mauro si chiama Valeria, ed è un’archeologa. Lavora anche lei in campagna, ma continua a studiare il passato delle cose. La loro casa di Pozzolengo è piena di vasi, piatti e attrezzi agricoli dell’antichità, che riprende dagli scavi e riproduce fedelmente.

Mauro invece è un meccanico, esperto in macchine industriali. Anche lui un agricoltore di seconda generazione, nato in campagna e tornato alla terra per scelta e per passione.

La vocazione agricola del territorio del Basso Garda risale anch’essa all’antichità. Milioni di anni fa, al posto del lago c’era un immenso ghiacciaio, che sciogliendosi aveva portato a valle i detriti che formano oggi le coline moreniche tra Verona, Mantova e Brescia.
Un vero anfiteatro con lievi ondulazioni del terreno che sembrano abbracciare la parte meridionale del lago. L’abbondanza d’acqua e il clima mite, quasi mediterraneo, hanno fatto di questa terra una specie di mondo a parte, abitato e coltivato fin dalla preistoria.

L’avventura agricola di Mauro era cominciata molto prima dello zafferano, con la vite, l’ulivo, le piante da frutta e gli ortaggi che il padre coltivava in maniera già biologica, quando il rispetto per la terra sembrava una follia priva di senso.

Le pesche e i kiwi maturavano benissimo, ma erano facile preda degli insetti delle colline moreniche. Mauro aveva allora iniziato la ricerca attenta di una nuova pianta da coltivare nel suo terreno; qualcosa che vivesse più sottoterra che alla luce del sole. Scoprì lo zafferano.

Studiò Storia con la sorella e Agraria con il padre, poi si trasferì a San Gimignano e nella Piana di Novelli, dove si produceva lo zafferano migliore.
Imparò le tecniche, sviluppò nuove idee e nel 2001 comprò i suoi primi quaranta bulbi.

Alle nove in punto entro nel cortile della sua casa e attraverso filari di kiwi pronti per essere raccolti. Insieme andiamo al campo di zafferano e intanto parliamo della sua attività. Mi spiega che lo zafferano è una pianta sterile e che non perdere i bulbi costituisce una parte fondamentale del suo lavoro. Il terreno dove stiamo andando adesso è stato scelto non solo per le qualità organiche, ma anche per l’esposizione alla luce e per la naturale pendenza, che permette la realizzazione di efficaci canalizzazioni di drenaggio dell’acqua.

Quando arriviamo al campo, mi aspetto di vedere una distesa di fiori viola. Invece il terreno sembra solo perfettamente arato. Non dico niente e guardo con attenzione il punto dove abbiamo deciso di posizionare Davide con la sua sedia. I fiori ci sono, ma sono piccole pennellate sottili che si perdono nella massa scura del terreno.

All’improvviso Massimo diventa frenetico: vuole iniziare subito le riprese perché la luce è bellissima! Tra poco verrà giù il finimondo e sarà tutto buio. Davide si siede e racconta degli straordinari risultati di Mauro con quei primi quaranta bulbi.
Guarda verso la macchina da presa e spiega che «i valori della picrocrocina – cioè il potere amaricante dello zafferano – e della crocina – cioè il potere colorante -, sono stati subito altissimi…».

Mauro mi dice a bassa voce che il suo zafferano raggiunge valori anche del 90% superiori a quelli richiesti dalle norme di legge per essere considerati di prima categoria.

Davide prosegue svelando il segreto di questo successo: «Il terreno, naturalmente, ma anche una coltivazione biologica e manuale. Alla fine di ottobre, i fiori vengono raccolti al mattino prima che il sole li schiuda e inizi l’ossidazione».

Oggi non c’è sole e sta iniziando a piovere. Prima piano, poi sempre più forte, fin quasi a diluviare. Ci rifugiamo in casa, mentre il padre di Mauro rimane nel campo. I fiori che si sono schiusi devono essere raccolti.

Mentre il contadino si bagna, noi all’asciutto riprendiamo la famiglia che in camice bianco maneggia i fiori dello zafferano.
Il banco di metallo è coperto da una distesa di fiori viola. Sullo sfondo della stanza brilla il camino acceso, con le braci pronte per la tostatura.

Davide si siede accanto a loro e spiega: «Gli stimmi vengono staccati a uno a uno; si tiene solo la parte rossa che viene tostata su braci di legna nobile. Un lavoro minuzioso, quasi da orafi, utilizzando bilance di precisione. Pensate che un solo grammo di zafferano purissimo di Pozzolengo basta per un risotto alla milanese per 60 persone!»

Le parole di Davide sono come un richiamo irresistibile. La madre di Mauro aveva già messo sul fuoco il riso e adesso lo sta facendo mantecare con burro e Parmigiano. Lo zafferano di casa è già al lavoro tra i chicchi.

Divoriamo il risotto alla milanese, ormai diventato una specialità di Pozzolengo, e lo accompagniamo con la coppa e la pancetta del padre di Mauro, il suo vino e la sua frutta.
Fuori diluvia e il paesaggio è bellissimo proprio per questo. Usciamo per terminare le riprese, sulle rive del lago e nell’antico borgo medievale di Castellaro Lagusello.

Massimo e la sua telecamera scorgono angoli di delicata raffinatezza. Salici che sfiorano l’acqua sotto il peso della pioggia, scafi allungati di legno che accarezzano il pontile, il portale di una chiesa, un arco in pietra lavorata, un vecchio chiavistello in ferro battuto e il selciato bagnato che riflette la luce diffusa.

Infine, Pozzolengo. Scopriamo che anche attorno ai campi di zafferano sorgono antiche mura. Con sommesso orgoglio, Mauro ci parla del castello di Pozzolengo, del suo borgo e delle pietre dove si arrampicava da ragazzo.

La torre è una snella costruzione cilindrica con una serie di campane che sembrano intatte. Chiedo a Mauro se funzionino, se qualcuno le suoni, magari in occasione di qualche festa religiosa. Lui mi sorride e mi spiega che sono campane laiche.
«Suonano sempre», dice. «Tutti i venerdì, alle nove di sera, in paese si spegne la televisione e si ascoltano le campane!»

Bene, adesso è tempo di andare. Ci aspettano altri paesi e altri paesaggi. Venite nel Basso Garda, ma non come turisti – mi raccomando – come ospiti!
E quando passate dalle parti di Pozzolengo, ricordatevi di ordinare un risotto alla milanese; non ve ne pentirete.

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